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Ep.2
Nuda proprietà
di Edoardo Bucci

Puntata due.

«Vai a rispondere al citofono?»
«Chi è nonno?»
«Sarà da mangiare».
«Ancora ravioli, immagino».
«Se non ti vanno bene c’è del pane in cucina».
Alla porta trovo il cameriere del ristorante sotto casa, ci ha portato i soliti ravioli ricotta e spinaci al pomodoro. C’è di meglio e c’è di peggio ma mio nonno non sembra informato sull’esistenza di altro cibo.
Non ha mai saputo cucinare per cui, tutti i giorni, utilizzando uno dei ultimi cordless in Italia, ordina dei ravioli.
Allo stesso ristorante.
Due volte al giorno.
Apparecchio velocemente sul terrazzo. L’altana crea una zona d’ombra nelle ore più calde e non si sta affatto male.
Finiamo i ravioli, poi sparecchio e lavo i piatti. Nonno rimane in terrazzo senza dirmi nulla.
Da come si comporta sembra fingere di avere ancora la servitù: «Signor Eugenio desidera un caffè?»
«Sì, senza zucchero».
Dovrei passare la mia estate in sessioni di studio intenso e invece sto tutto il giorno appresso ai capricci del vecchio rompicoglioni.

«Federico, per cortesia, puoi andarmi a prendere i giornali?»
«Nonno devo studiare, per favore!»
«Dai così ti compri anche tu quello che vuoi».
«Un manuale per fare dei cappi».
«Comprati una rivista di architettura...a te piacciono quelle cose».
«No, fa troppo cal…»
«I soldi sono sulla consolle all’ingresso».
«Che giornali vuoi?»
«I soliti, il giornalaio lo sa».

Una volta arrivato al chiosco mi trovo di nuovo a riflettere sulla necessità di acquistare quattro quotidiani, la retorica del confrontare le idee non mi mai convinto.
ininfluente cosa legga ogni pagina nella sua testa, è una trascrizione letterale del suo pensiero. Ogni giorno quattro quotidiani – passibili di violare una buona metà dei diritti fondamentali dell’uomo – gli vengono recapitati, senza alcun tipo di censura. Il giornalaio comunque mi riconosce, pago e me li dà.
Mi suona il telefono. Ottimo momento per una conversazione.
Continuo a camminare ma la frustrazione di perdere le chiamate è da sempre una mia cifra distintiva.
Rimugino sulla scelta di aver rifiutato una busta per qualche vago motivo ecologista.
Sullo scadere di quello che penso sia l’ultimo squillo mi decido a rispondere.
Già prendere in mano il telefono è stato complesso, tenerlo stabile risulta proibitivo. Così patteggio per appoggiarlo tra la spalla sudata e l’orecchio inclinando la testa. La classica posizione da persona indaffarata che sa quello che fa. Io invece non lo so tant’è che credo che il giornalaio stia ridendo.
È zia Luisa, la più piccola dei figli di nonno nonché la più gentile.

«Ciao tesoro di zia, ho parlato con tua madre e abbiamo deciso che domani vengo io a darti una mano con la vecchia».
«Meno male zia guarda mi hai salvato. Non avrei saputo come fare».
«Tu non ti preoccupare, ci penso io. Domani ci risentiamo e capiamo come organizzarci, che io su queste cose mi impiccio ma un modo lo troviamo».
«Se vuoi posso rimanere durante la visita e tu fai una passeggiata con nonno».
«Fede, figurati se nonno ti lascia a casa da solo, lo sai com’è fatto. Comunque domani mattina ne riparliamo che ora devo accompagnare un piccoletto al centro diurno, baci baci».

Zia è una specie di sotto-categoria degli assistenti sociali. Svolge mansioni di basso livello all’interno di una struttura per il supporto agli adolescenti con difficoltà. Accompagna i ragazzi a fare sport, gioca con i bambini più piccoli, spiega agli adolescenti che è sbagliato farsi di eroina e cose di questo tipo.
Le piace molto il suo lavoro.
È l’unica a non essersi laureata tra i tre fratelli, che la confortano bullizzandola con tecniche da cinquantenni. La cosa mi ha sempre fatto ridere.
La pressione dei fratelloni deve essere parte del motivo per cui hanno mandato lei per affiancarmi domani con la vecchia. Il motivo “ufficiale”, invece, è che lei lavora part-time e mamma era stata categorica “se non riesco a fare ripetizioni tutti i giorni durante l’estate ci scordiamo le vacanze a settembre”. Zio Tancredi, invece, non ci avrebbe mai aiutato.
«Io sto lavorando come uno schiavo con papà fate voi. Poi facciamo i conti» aveva detto qualche giorno prima a mia madre.
Ci tiene per qualche motivo a far finta di non aver tanto bisogno di quei soldi. Tutti lo sappiamo che spende un'enormità per pagare gli alimenti ai suoi figli poco svegli il resto del patrimonio lo ha dilapidato cercando di vincere una causa per il mancato rispetto di alcune norme igienico-sanitarie del suo studio odontoiatrico. Causa ancora in atto, a ben pensarci.
Non è un caso se mamma ci tenesse così tanto al fatto che nessun dente della famiglia venisse addrizzato dalle sue mani.

Ad ogni modo, tra i tre, Zia Luisa rimane la persona meno adatta. Fuori dal lavoro non sa gestire situazioni più tese del Suonare il Clacson Quando Scatta il Verde. Una volta le prese un divertente attacco di panico all’aeroporto prima di imbarcarsi per un viaggio di famiglia a Sharm el-Sheikh. In pratica si era convinta che la sua capsula di metallo ai denti avrebbe suonato al metal detector. Stava per tornarsene a casa pur di non dover affrontare la brutalità delle guardie aeroportuali di Ciampino.
Sulla moralità della vendita aveva espresso molti dubbi. Sono stati superati su pressione dei fratelli e del marito nella famosa cena di qualche settimana prima. Alla fine si è convinta quasi del tutto e adesso con quella chiamata mi ha tolto una buona parte di perplessità.

«Ecco i giornali».
Li lascio accanto a lui, sul tavolino basso in mogano a centro sala.
Ne prende uno, lo gira, vede la pubblicità di un'auto tedesca sul retro e poi lo riposa. «Ti ricordi quando fumavo?»
Io rimango in silenzio, tanto lo so che è retorico.
«Un tale dottor Pezzone o Pezzini disse che i miei polmoni stavano collassando. Tua nonna si preoccupò talmente tanto che mi obbligò a fare un fioretto. Siccome non volevo farla preoccupare fumavo di nascosto una volta al giorno; tre o quattro sigarette andando a comprare il giornale».

Mi coglie di sorpresa con un tono di voce più delicato del solito. Cerco di farmi venire in mente qualcosa per farlo sentire ascoltato. Dico una banalità del tipo “Che bel ricordo” effettivamente di bello non ha nulla e nonno me lo fa capire con lo sguardo.
«Comunque, maledicevo chi avesse deciso di togliere l’edizione della mattina e quella della sera. Avrei fumato in due momenti della giornata e sarebbe stato perfetto».
«Sono contento che almeno ora hai smesso, ti allunga la vita».
Mi fulmina.
«Io per niente, quell’idiota aveva guardato i polmoni sbagliati e poco dopo tua nonna si è beccata un tumore ai polmoni».
«Vabbè, ma che ne poteva sapere lui poveraccio?»
«Era lui il medico, non io. Disse anche che era colpa del fumo passivo – quindi mia – e mi aveva citato uno studio sui topi»
Mi viene in mente di suggerirgli che il medico forse non aveva tutti i torti ma mi interrompe. «Ho passato trent’anni in acciaierie a respirare carbonio e secondo lui mia moglie è morta perché io fumavo delle sigarette?»
«Lo so nonno purtroppo sono cose difficili da spiegare».
Quel discorso al dire il vero non è nuovo. Nonno spesso parla della nonna quando ha a che fare con i suoi giornali. Mia madre sostiene sia perché nell’ultimo periodo della loro relazione lui si fosse ostinato a portarglieli; anche se era palese che non avesse né la voglia né la forza di leggerli.
Li andava a prendere e glieli portava a letto per distrarla.
Lei amava l’arte e l’arredamento d’interno e non condivideva la passione del marito per approfondire, svariate volte al giorno, la stessa notizia di politica nazionale. Nonostante questo, continuò a far finta di leggerli, anche poco prima di morire.
«Nonno e poi come mai hai smesso?»
«Nell’ultimo periodo della malattia ho pensato che fosse giusto smettere».
«Ti lascio leggere, io vado a studiare che oggi non ho fatto niente».

La mia fallimentare base di studio era un tempo una specie d’atelier di mia nonna. Lì faceva modellini per gli oggetti che progettava e ogni tanto ci scolpiva.
C’è una grande finestra che fa entrare l’aria ma non ci batte quasi mai il sole. Come quasi in ogni stanza di casa ci sono pile di giornali accumulati negli anni.
Mi ricordo in maniera molto vaga che, appena morta nonna, in quella stanza lui avesse fatto appendere quattro necrologi usciti sui quattro giornali canonici.
Forse era un falso ricordo dedotto da qualche conversazione tra gli zii o tra mia madre e mio padre.
Ora per fortuna sono spariti. Incorniciare dei necrologi su dei quotidiani regalati forzosamente a tua moglie malata.
Un’idea romantica solo per un sociopatico.

In uno sprazzo momentaneo di spirito di scoperta, esco dalla stanza e mi reco in salone per chiedere a nonno della faccenda.
Arrivo davanti a lui prima di rendermi conto che anche questa è una pessima idea, ma ormai sono in salone con lui che mi guarda ed è evidente che devo dire qualcosa. Riesco a improvvisare una frase che rispetto all’adeguatezza del momento suona tipo “moglie e buoi dei paesi tuoi”.
Poi torno sconsolato a studiare.