Nuda proprietà
Ep.4

di Edoardo Bucci

20/08/2020

 

Il mio cane non va in chiesa, non perché sia ateo ma perché i cani non vanno in chiesa. Questo non lo rende però ateo.

Lascio a lui la mia eredità.

In fede.

La sorella di nonno è morta questa mattina in una casa di cura.
Il messaggio di addio di Zia Margherita è alquanto bizzarro e poco veritiero dato che non aveva nessun possedimento.
Il cane stesso, a quanto pare, è la sua unica eredità.
Nonno è stato informato da mia madre, non ha detto nulla ma poco dopo lo ha visto piangere in camera da letto.
Zia era malata della demenza a corpi di Lewi ed era da un anno circa che non riconosceva nessuno, il che ha sicuramente alleggerito la perdita.

La seconda notizia tragica della giornata mi riguarda più della prima.
«Vi chiederei di accompagnarmi al funerale della Zia, ci terrei particolarmente».
Dato il generale contesto di colpa tra i suoi figli nessuno ha rifiutato. Il problema non è il funerale, il problema è il dove. In un paese in provincia di Cuneo, posto sperduto dove la zia si è trasferita dopo la pensione.
L’appuntamento è alle otto di mattina con due macchine. Questa volta i fratelli sono tutti presenti, le defezioni hanno riguardato soltanto i congiunti: mio padre e Zio Enrico hanno fatto valere le necessità della busta paga. La moglie di Tancredi, mia ex-Zia, neanche a dirlo ha un alibi di ferro.
Sotto il sole di metà luglio in un piazzale d’asfalto circondati da dei piccoli platani appena piantati – e già destinati a morire – aspettiamo il fatidico arrivo dello Zio Tancredi, suo figlio Giorgio e il nonno al seguito.
La grande tensione riguarda l’assetto finale delle macchine.
Tancredi arriva con mio cugino dietro e il padre al fianco che si regge sulla maniglia in alto a destra. Ci salutiamo con un’aria ostentatamente addolorata prima del fatidico momento.
«Papà in quale macchina preferisci andare?»
«Con Vittoria, Tancredi guida male».
Sul volto di mia madre compare un’espressione gloriosa, è un successo straordinario sul fratello maggiore.
Poco dopo in uno sguardo parzialmente complice realizziamo che l’esito del contenzioso non ci giova. Tancredi e Cugino Giorgio hanno portato a casa il risultato più auspicabile.
La Zia Luisa fa da sottofondo a tutto questo, tra i suoi attestati di inferiorità c’è senza dubbio quello di non aver alcun titolo di guida. Io la seguo di poco nella gerarchia: con patente ma inadatto alla guida.
Saliamo sulla vecchia Ford Focus grigia di mia madre con nonno davanti, io e zia dietro.Tancredi ci fa strada sulla sua berlina coreana di seconda mano, spacciata più volte alle sorelle come un’auto di classe.
«Margherita non capiva più niente è inutile rattristarci».
«Papà è normale essere tristi anche se la zia era malata».
«E perché? Era una specie di manichino che blaterava cose senza senso».
« Sei ingiusto, lo sai che è stata una gran donna. Dobbiamo ricordarla com’era prima, non nell’ultimo periodo. O no?»
Zia ha da poco finito un ebook di centoventi pagine sull’accettazione del lutto.
Nonno sembra estraniarsi dalla conversazione, guarda oltre il finestrino con la mano fissa sulla maniglia in alto. Non ho mai capito il senso di quegli elementi finché non ho visto mio nonno in macchina. Senza sarebbe perso.
«Margherita si è lasciata morire».
«Perché pensi?»
«Passare la vecchiaia da sola non ha senso, le avevo detto di venire a Roma».
«Forse non era una cattiva idea».
«Metà della mia vita l’ho vista tutti i giorni, l’altra metà a Natale e ai funerali».
«…Da quanto non vi vedevate?»
-Natale di qualche anno fa
-mi ricordo ti scriveva
-si facevamo anche delle chiamate
-ultimamente mandava solo lettere sul cane ma le suore della clinica non gliele facevano spedire per non sprecare soldi»
«E come lo sai?»
«Ti ho detto che mi chiamavano».Nonno si tira fuori il fazzoletto di stoffa dalla tasca e se lo passa sulla fronte poi lo ripiega e lo rimette dentro.
«Ti ricordi quando la zia ha salvato Federico che si stava strozzando con un soldatino?»
«Era in chiesa, ad un funerale».
«Che funerale?»
«Mi sa di Agostino».
«Non mi ricordo».
Tira fuori nuovamente il fazzoletto di stoffa dalla tasca lo passa in fronte ma questa volta non ha neanche una goccia di sudore.
«Era al funerale di tuo fratello sono sicura».
«Può darsi».
«Qualche anno prima che morisse mamma».
«…»
«Non ti ricordi proprio, papà?»
«Del funerale di Agostino non mi ricordo nulla».
«Ma come? Ti sei accorto tu che Fede stava soffocando!». Avvolge il fazzoletto intorno all’indice e lo stringe con forza.
«Potevo anche non andarci».
«Mamma era molto dispiaciuta».
«Viveva male che si aspettava… di campare in eterno…»
«Dai papà. Sono passati anni».
«E che significa non posso dire quello che penso?»
«Certo che puoi, ma oggi è già una giornata triste, evitiamo di appesantirla più del dovuto con vecchie storie tra fratelli».
«Agostino non era mio fratello».
«E che era?»
Era un socio, al massimo un fratellastro».
«Vabbè nonno, ma che c’entra, anche Margherita era tua sorellastra allora».
«Che vuoi saperne tu che ti strozzi con i giocattoli».
La mia frase e un’idiozia. Mi salva però da una conversazione ingestibile il più deficiente dell’armata che mette la freccia per l’autogrill. Il figlio dovrà pisciare. Mamma lo segue e gli posteggiamo a fianco.«Giorgio doveva andare al bagno, almeno vi offro la colazione!»
Nessuno sembra avere troppa fame, Tancredi accompagna Giorgio e il nonno al bagno.
Io e le due sorelle rimaniamo soli.
«Scusate pensavo che il discorso dei fratelli d’adozione non fosse un problema».
«Ma infatti non lo è! Solo che quando si parla di Agostino si stranisce».
«Mi dispiace, non volevo appesantirlo ulteriormente».
«Fede non ti stare a preoccupare, era inevitabile parlarne».Raggiungo anche io i maschi al bagno.
Dobbiamo avere un codice genetico che garantisce scarsa capacità alla vescica con opzionali problemi giovanili alla prostata.
Rimugino sul discorso di prima. Mi dispiace aver obbligato mio nonno a pensare alla morte di suo fratello il giorno dopo la morte di sua sorella.
Puntualizzare il fatto era del tutto ininfluente nella conversazione.
È una cosa che so da sempre. A nonno erano morti i genitori da piccolo ed è stato adottato da amici di famiglia con cui è cresciuto come un figlio.
Dovevo essere più delicato, non ho scuse.
Mentre Zio, Nonno e cugino Giorgio consumano la colazione torno da mia madre e sua sorella che continuano per qualche motivo a parlare del rapporto tra il padre e Margherita.

«Ma il punto è che Zia è nata dopo che papà è arrivato dai nonni quindi lui l’ha vista sempre come una sorella vera e Agostino come un fratellastro».
«Luisa però te la pianti di psicanalizzare papà senza nessuna conoscenza?»
«Io lo dico perché me lo aveva detto papà, poi ne ho parlato pure con il mio analista e dice che è un conflitto ricorrente nelle adozioni».
«Ma che ne sa il tuo psicanalista di una cosa successa ottant’anni fa, mi chiedo».
«Stavo provando a riflettere, senza che ti innervosisci eh?»
«Il problema vero è che erano soci».
«Il problema vero è papà.
«Fede, vai a dire a Tancredi di sbrigarsi va»

Tancredi sta parlando con mio nonno di cibo, lui non sembra interessato all’argomento e guarda il bancone con sotto dei costosi panini con la cotoletta.
Cugino Giorgio invece fissa il telefono. Gioca ad un’applicazione di slot machine senza soldi. Deve aver preso la fissa dal padre che un tempo sperperava denaro con quelle vere e che per smettere ha virato su questa alternativa per ludopatici pentiti. A dire il vero lo aveva obbligato la Ex-zia.
Delle immagini di Cleopatra in bikini si alternano a motocicliste tettone in Harley-Davidson che impennano quando si fa “jackpot”. Un’adrenalinica vittoria dell’ingombrante cifra di zero euro gli disegna un sorriso sotto quel surrogato di baffi che da qualche anno ostenta come trofeo di virilità.
La scoperta della masturbazione nel sesso maschile coincide con un’età spiacevole: nessuno escluso.
Io almeno non mi sono mai eccitato con animazioni 3D poco attendibili di personaggi storici.
Fossi in nonno rivedrei le fasce d’età con cui non parlare. Riammettendo i bambini ed eliminando senza possibilità di appello gli adolescenti maschi con quei baffetti idioti.
«Fede, a te piacciono i formaggi?»
Tra tutte le domande a bruciapelo che ho sentito in vita mia questa è la più inutile.

«Sì quasi tutti».
«Devi provare il formaggio alle castagne, clamoroso».
«… appena lo trovo al supermercato lo prendo».
«Ma quale supermercato? I formaggi li devi prendere al caseificio, al massimo all’alimentari»
«…»
«…»
«Dice mamma se tornate in macchina che così ripartiamo».
«Sì, andiamo».
Nonno paga per tutti e usciamo. In macchina mi sento sulle spalle il peso di dover cambiare argomento.
«Ma come mai Tancredi parla così tanto di formaggi?»
«Non so che ha in testa, mi ha ammorbato quindici minuti parlando di prodotti caseari.»
«Eh, ora parla sempre di salumi e formaggi perché dice che vuole lasciare lo studio e fare una specie di agriturismo».
Nonno per fortuna non sembra aver prestato attenzione alla puntualizzazione di mia madre.
Il profilo di Tancredi si avvicina sempre di più a quello dell’impresario fallito.

Continuiamo il viaggio per ore senza troppe conversazioni. Zia Luisa si è addormentata e né mamma né nonno hanno voglia di parlare.
Da sottofondo passa una radio commerciale silenziosamente apprezzata da mia madre che non ha pretese in faccende musicali.
Il funerale è domattina, la sera ci dobbiamo fermare in un hotel a Cuneo e il giorno dopo, fatto quello che c’è da fare, torniamo a Roma. Sperando nel frattempo di aver trovato una soluzione per il cane di Zia Margherita.
Mentre penso alle cose da fare mi ritrovo a fissare lo stupidissimo Arbre Magic al pino che pende da tempo immemore dallo specchietto retrovisore. È tra le fragranze più fastidiose mai comparse sulla faccia della terra, se i pini in natura avessero avuto quell’odore l’umanità probabilmente non sarebbe mai esista.
Il mio fastidio è un placebo influenzato dal ricordo. La puzza è scomparsa da almeno tre anni. Rimaneva lì inutilmente a penzoloni come antiestetica testimonianza dell’incapacità dei miei genitori di discostarsi dalle consuetudini.
Papà non lo vuole togliere perché è convinto che sia un porta fortuna. Mia madre piuttosto che buttarlo preferisce criticare il marito. Hanno litigato almeno tre o quattro volte sulla vicenda.
Mamma interrompe il silenzio.
Quasi fossi un guardone ascolto da dietro al sedile.

«Papà ma ti ricordi che da piccolo volevo fare l’insegnante proprio per la zia Margherita? Poi lo sono diventata davvero».
«Io mi ricordo che volevi fare il medico».
«Da adolescente, ma da bambina volevo fare la maestra».
«Lei era una brava insegnante, così brava che è rimasta zitella tutta la vita per seguire i figli degli altri».
«Povera zia, non ha fatto figli perché non ha mai trovato nessuno».
«Non lo ha mai voluto. Da ragazzina gli andavano tutti dietro solo che era una donna particolare».
«Era molto bella».
«…»
«Mamma diceva sempre che ad Agostino le faceva da seconda moglie».
«La sfruttava. La sfruttava anche in azienda nonostante lavorasse. Teneva anche quei bamboccioni dei tuoi cugini… non si lamentava mai».
«Ma come mai non ti ha seguito, quando ti si sei trasferito a Roma?»
«Nostra madre stava male e lei voleva occuparsene».
Freniamo per un camion che tenta un sorpasso, seguito da un timido “vaffanculo” di mia madre. Nonno si aggrappa alla maniglia con più passione.
«A Natale era l’unico parente che ci regalava dei libri… favole illustrate bellissime. Alcuni sono arrivati fino a Federico. Ti ricordi Fede?»
Fissa lo specchietto retrovisore cercando di incastrarmi ad essere partecipe della conversazione-ricordo.
«Sì, molto belli».
Dei birilli arancioni segnalati da un triangolo luminoso restringono la carreggiata. Vedo un cartellone luminoso rovinato con il cane a sei zampe dell’Eni.
«Ma che cane ha la zia?»
«Non l’ho mai visto».
«Grande o piccolo?»
«Non l’ho mai visto».
«Nelle lettere non diceva niente?»
«Che era nero e aveva gli occhi grandi,come tutti i cani».
«Mica tutti i cani sono neri».
«Quasi tutti».
«Devo aver confuso i cani neri per cani di altri colori».

Tancredi chiama mia madre.
«Federico rispondi che sto guidando».
Me lo passa con il vivavoce.
«Ohi zio, dimmi»,
«Niente vi volevo dire che noi mi sa stiamo troppo più avanti e che vi conviene mettere il navigatore altrimenti ora che vi aspettiamo facciamo notte».
«Zio guarda che siamo la macchina dietro alla tua nella corsia di destra».
«Ma che dici?»
«Sì, guarda meglio».
«…»
«Hai ragione, vi avevo perso di vista, comunque non manca tanto all’uscita poi ci sono un po’ di strade del cazzo».
«Va bene, noi ti seguiamo».
Mamma ha sentito la conversazione, accenna un sorriso sprezzante ed evita di commentare. Nonno invece non si censura.
«È convinto di guidare come un pilota di rally ma è imbranato. Da ragazzino abbiamo speso un patrimonio in risarcimenti danni perché tamponava tutti».
Si è svegliata zia Luisa.
«Papà ma tu al paese dove sta il funerale ci sei mai stato?»
«Sì, certo, sta a mezza montagna».
«Ma ci sta qualcun altro vivo?»
«Delle cugine».
Ricollego che devono essere le stesse che hanno comunicato a mia madre il lutto e che hanno mandato per fax il messaggio psicotico della zia convinte avesse qualche valore legale. La richiesta era stata proprio voi che state in città se potete sentire un notaio per capire cosa si deve fare con le sue cose.
Immagino le povere vecchine nel tentativo di convincere il cane a rinunciare alla sua straordinaria eredità. Delle collanine, una collezione di libri e se stesso.
Ci fermiamo ad un altro autogrill prima dell’uscita solo per fare benzina. Scendono mamma e zia io rimango in macchina con nonno.
«Le stazioni di servizio mi fanno schifo».
«Perché?»
«Mi è sempre piaciuto di più viaggiare in treno».
«E che c’entra?»
«I treni non i si fermano».

Dopo un’ora siamo arrivati. Il clima è decisamente più piacevole rispetto a Roma, peccato non avere qui mio padre per commentarlo.
L’hotel è un tre stelle prenotato da Tancredi che si è vantato di conoscere in qualche modo il titolare.
Nonno non parla, esplode dai bronchi dei colpi di tosse e ha la faccia molto stanca. Gli cade dalle mani la chiave della stanza con un portachiavi di ottone attaccato. Mi chiede se posso riprenderla. un anno fa non lo avrebbe mai fatto.

Costretto ad osservarlo per dieci ore di fila mi è sembrato meno lucido del solito.
Nonostante la scorza da duro è un vecchio con acciacchi ovunque.
Ha lavorato così bene nello scolpirsi la maschera dell’immortale che adesso anche i figli la confondono con il suo vero volto.
L’idea che il padre morirà nel giro di qualche anno non sembra accarezzare nessuno di loro.
Nelle cene a casa sua, tra i pochissimi momenti con la famiglia riunita, le uniche frasi che affrontano la malattia o la morte riguardano il legame con mia nonna.
Lei era troppo buona papà a te chi ti ammazza aveva detto mia madre la scorsa Pasqua con un tono aggressivo che mi ha turbato.
Nonno era rimasto zitto e poco dopo era andato in un’altra stanza. I fratelli avevano blaterato qualcosa sul fatto che fosse diventato permaloso.
Come se uno stronzo non potesse offendersi.
È un despota da demolire alla prima occasione utile.
Per ripulirsi di tutti i torti delle loro vite.
Vite più inutili di quella del padre.
Come per la casa.
In fondo è questo.

“Hai fatto la bella vita e non ci vuoi lasciare niente.”
“Un uomo senza spirito paterno.”
“Se ci fosse mamma chissà che direbbe.”
“Fare i salti mortali per pagare le rate con lui che passeggia tra le sue stanze”

Tante frasi così.
L’interlocutore è un altro.
Il padre di quarant’anni prima, come non fosse invecchiato un giorno.
Le colpe non sono sparite.
Hanno solo imparato a fingere di averle dimenticate.
Esiste un unico uomo nelle loro teste.
Quello forte e arrogante della loro infanzia.
Il vecchio vedovo sparisce sullo sfondo.

Articolo di Edoardo Bucci