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Nuda proprietà
Ep.7
di Edoardo Bucci
La gamba buona oggi sembra più buona del solito. Ogni due passi lo spinge più in là di quanto il resto del corpo riesca a fare. Se dovessi scommettere direi che è contento.
Il braccio ciondola sbattendo sulla gamba destra. La mano forma un pugno al tocco e una volta allontanata di qualche centimetro si riapre e si scrolla. Sembra intorpidita. L’altra mano non fa niente. Si ricorda di averla e la infila nella tasca dei pantaloni.
Lo seguo portando il borsone nero con i due quadri incartatati nei giornali.
Dopo l’incontro al giornalaio abbiamo passato tre ore in casa a non dirci nulla poi si è alzato, lo ha preso, me lo ha passato e siamo usciti.
Direzione Basile, amico di vecchia data. Papà dice che l’ho conosciuto una volta da bambino. Apre bottega molto presto. I sampietrini finti lasciano il posto a quelli veri rattoppati in qualche punto dall’asfalto. Poi ancora striscia di asfalto e poi solo sanpietrini veri.
Via dei sediari non ha più sediari. In compenso i ristoranti mettono fuori delle sedute di legno per mantenere la tradizione.
La mattina sono chiusi e la via è senza sedie. Una sola serranda aperta con dietro una piccola porta di legno con un vetro. C’è un cartone attaccato con dello scotch per non far vedere dentro. Sul cartone dei segni a matita.
L’insegna è di marmo con inciso sopra a caratteri cubitali l’inequivocabile nome “Basile”. Tra mitomani devono tenere i contatti.
Una distesa di tre piedi di legno ammassati e statue di marmo incomplete. Cubi di altri materiali rocciosi si intravedono dietro una tenda blu. Il mucchio sembra più grande della stanza in cui si trova. Le luci sono accese per la poca luce che filtra.
Esito un attimo e dopo un cenno di nonno spingo la porta. Il suono del campanello attaccato fa scendere Basile dalle scale di un soppalco a balcone: un uomo di settant’anni catalogabile come la persona più lontana al mondo da mio nonno.
I suoi capelli sono grigi e unti, ha una collanina d’oro a contatto con il petto.
Con la mano si scrolla la polvere dalla canottiera.
«Euge’ già stai sveglio?»
«Noi vecchi siamo mattinieri».
«Vecchio sarà questo che te sei portato».
«Ti ricordi di Federico?»
«Certo Euge’, il figlio di Vittoria, no? Come stai regazzì?»
«Bene, un po’ assonnato».
«Faccio ‘n caffè?»
«Io lo riprendo volentieri».
Sul piccolo soppalco balconato c’è un fornelletto attaccato ad una grossa bombola a gas blu. Sopra una Moka arrugginita. Dopo qualche minuto scende con il caffè.
«Allora che me raccontate?»
«Tutto a posto».
«Al telefono Euge’, devo esse’ sincero, non c’ho capito un cazzo. Di che quadri parlavi?»
«Quelli di Margherita e Agostino».
«E perché ce l’hai te?»
«È morta Margherita».
«Ah, me dispiace… e quello di Agostino?»
«Ce lo aveva lei».
«Ah sì? Non l’ha lasciato ai figli?»
«Sembra di no».
«Nella sfiga bella botta di culo. Mo li vediamo, te Federi’ che fai nella vita?»
«Studio architettura».
«Bello ammazza. L’architettura classica te piace?»
«Sì, non che sia un esperto eh».
«lo vedi quel capitello là? Quello è originale».
«Come mai ce l’hai?»
«L’ho trovato».
«Davvero?! Dove?»
«A palestrina in mezzo a un campo. Ho trovato un sacco de roba in mezzo ai campi. Basta che scavi».
«Pensavo fosse illegale».
«Quando c’avevo l’età tua era legale. Poi se so inventati che trafugavo reperti archeologici. Se non era per me se li vedevano i lombrichi».
«Mh».
«Ora ho smesso. Me so fatto quattro mesi per due anfore Etrusche. Il problema è che la gente non se fa i cazzi sua. Vedono una ruspa e se pensano che c’hanno pompei al giardino a fianco. Guarda quella scritta».
Indica una targa in ottone al centro della stanza incorniciata con lo stesso legno scuro della porta.
Macerie di marmo sotto capolavori di tufo.
«Bella frase».
«Quella l’ho scritta io, ogni tanto so’ pure mezzo poeta».
«Che significa?»
«Di quello che te sto a dì, è che il mondo è pieno di capolavori di merda. Tutto tufo».
«Magari, se lo lavori bene, dal tufo qualcosa ci esce».
«Sempre tufo rimane».
«Basile come sta tua figlia?»
«Bene Euge’ ma non la vedo mai».
«Sta ancora in Thailandia?»
«Sìsì sta co’ ‘sto scemo toscano. Dice che là se spende poco. Te credo! A forza de magnasse riso in bianco sai quanto risparmi?»
«Prima mi ricordo faceva avanti e indietro, vè?»
«Te credo, prima c’avevano la pizzeria a Piombino! Se facevano l’incasso della stagione e poi l’inverno a Chiang Mai».
«Adesso no?»
«No, ora hanno venduto a un egiziano. Fa la pizza meglio della loro».
«Magari si rifanno una vita lì».
«Ma che ne so. Comunque là te troveresti bene, ce sta una specie de monarchia».
«Una dittatura?»
«No no è proprio una monarchia. Poi che c’è, la dittatura non ti piace?»
«No, i dittatori sono pagliacci scalmanati. Poi resta comunque un partito».
«Ma che t’hanno fatto de male i partiti non s’è mai capito».
«Sono innaturali. Vedrai torneremo a una monarchia o un’aristocrazia».
«Co’ ‘n aristocrazia te, Euge’, ar giorno d’oggi non conteresti un cazzo».
«Meglio. Piuttosto che andare a disegnare una croce su un foglio dentro una scuola materna».
«Federi’ strano tipo tu nonno eh? Comunque era per dirvi che sto solo come un sorcio».
«Qui ci sta sempre gente».
«Ma che me frega. Te giuro guarda, se se comprano bottega me ne vado in montagna».
«Almeno il lavoro ce l’hai, no?»
«Si e no, lo sai com’è! Mo c’ho un busto dei Massimo. Devo capi che fa co’ ‘sti rincoglioniti delle Belle Arti».
«Ma tu restauri pure quadri?»
«No, con i quadri faccio solo robetta piccola sinnò faccio danni. Però qualcuno vi trovo».
«Scusate vi posso chiedere come vi siete conosciuti?»
«Io conoscevo tua nonna da tanti anni. Giocavamo insieme da regazzini. Prima che conoscesse sto paraculo piemontese».
«Parole gentili, Basile».
«Sto a scherzà. Tuo nonno è un grande. Quando te stavi ancora dal padre eterno questo già faceva i ponti d’acciaio».
Prende le tazzine finite e le riporta nel soppalco quando riscende nonno sorride e gli dà una pacca sulla spalla. Non ho mai conosciuto nessun suo amico e Basile sembra per qualche strano motivo la figura più vicina ad esserlo. Fuori ricomincia a piovere, l’acqua filtra da sotto la porta.
«Ma perché dovrebbe piove a luglio? Che senso c’ha dico io?»
«C’è poco da fare, c’è da credere al cambiamento climatico».
«Io di cazzate ne ho fatte tante ma non c’ho mai avuto la macchina».
«Le ruspe sì, però!»
«Una ruspetta, Euge’! Ti ricordi quando siamo andati con Lucia e Margherita a Carrara per scegliere un blocco di marmo?»
«Quando ti eri messo in testa di scolpire una donna sdraiata con i piedi giganti?»
«Esatto! Che alla fine m’avete pure prestato soldi per comprarlo…»
«Certo che mi ricordo».
«Che ci hai fatto poi?»
«Una parte c’ho fatto un pianale per un bagno a Parioli. Povero marmo. Il resto l’ho lasciato là te lo avrò detto duecento volte. Starà ancora da qualche parte con il mio nome appuntato sopra con lo scalpello».
«Come mai?»
«Mi sembrava troppo prezioso, c’avevo paura».
«Peccato».
«Federi’ se mai te serviranno 2 tonnellate di marmo sai dove andare».
«Senti Euge’, ma ‘sto giovanotto la sa la storia dei quadri?»
«Lo sai che ci siamo detti di non dirlo».
«Ma che storia?»
«Ma ormai so’ passati duemila anni. I figli te li tieni come sono. Poi sta qua».
«Gliene parlerò».
«Dai raccontami!»
«Ho detto che te ne parlo».
«È una cosa bella non te preoccupà. Euge’ tira fuori ‘sti quadri».
Mi fa cenno di prendere il borsone. È pesante, lo sollevo e lo poggio sul tavolo. Basile li apre e li mette uno a fianco all’altro, poi inizia a togliere la carta strato per strato con un’attenzione chirurgica.
«Sembrano rubati…Chiamalo danno, tiè, so’ proprio squarciati».
«Esattamente quello che ti ho detto al telefono».
«Ma chi è stato?»
«Margherita ha avuto un raptus, non ci stava più con la testa».
«Euge’ qua sono tanti soldi per restaurarli».
«Quelli proviamo a trovarli».
«Eh, ma non pensà che te le cavi come la macchia di umidità dell’altra volta».
«Evidentemente».
«Io te lo chiedo per favore, te l’ho detto tante volte. Rifai fare una valutazione».
«Conosci qualcuno?»
«Sì, questo è un tedesco forte. Te lo può restaurare e far fare la valutazione a qualcuno. Già quella un po’ ti costa».
«Quanto?»
«Ti faccio sapere».
«Famo valutà anche il tuo?»
«Sì, ma non lo sposto».
«Vorrà dire che ti veniamo a trova’ a casa».
«Federì come stanno i tuoi? Mi diceva nonno che avete dei problemi di soldi».
«Non so neanche io la situazione. Penso le solite storie».
«Comunque tuo nonno ha sempre aiutato. Gli ho dato una mano io a vendere dell’oro che aveva a degli zingari per aiutarli anni fa con l’anticipo sulla casa».
«È una generazione che abbiamo cresciuto male. Sono inutili».
«Addirittura!»
«Inutili. I quadri te li lascio qui».
«Ci penso io. Ti chiamo appena ho novità. I soldi te li posso anticipare».
«Fammi sapere quanto».
«Stai tranquillo, Euge’, ce penso io. Ci vediamo presto. Ciao Federi’».
«È stato un piacere».
La gamba buona riprende il movimento allegro di prima. Le braccia questa volta sono più rigide, un ritmo lento e involontario, scuote solo ogni tanto il gomito.
La notte di erranza si fa sentire ma la storia degli improbabili quadri finiti dal niente al centro della mia estate mi tiene sveglio. Un torpore fastidioso.
Di cosa parlavano quei due vecchi? Una forma collettiva di demenza?
Un tombarolo pentito che si spaccia per restauratore e un vecchio industriale che gioca a fare il collezionista.
È bizzarro vedere un lato nuovo in un uomo così vicino alla morte, che oltre la tosse ha ancora qualcosa da raccontare. La storia dei quadri è affascinante. Di nuovo mi lascio risucchiare dal mio paesino interiore, e dalle sue piccole verità.
Per terra si scivola e delle pozzanghere non troppo profonde sono apparse ogni decina di metri, la via è ancora praticamente deserta.
Un’estate bizzarra. Ne uscirò più vecchio dei mesi che saranno passati.
Almeno mi rubo qualche storia tra quelle che raccontano i vecchi. I nostri vecchi, i vecchi più vecchi dei loro padri. I vecchi più vecchi del mondo, sempre convinti che le loro vite siano stati più utili di quelle degli altri vecchi. Rimane il fatto che hanno una capacità di raccontare le cose che invidio.
Deve essere merito della seconda guerra mondiale. Anche se l’hanno vissuta di striscio, un paio d’anni, gli dà la giusta credibilità da strada.
I Morti, le bombe, un amico partigiano di qualche zio morto fucilato. Magari lo stesso zio morto fucilato. Non come la generazione di mio padre, loro hanno solo gli aneddoti sul militare. Quello che ha infilato l’indice nella portiere di una Renault 5 per non farlo, quello diventato amico del capodeicapi dei Marines speciali, quello che scappava di notte a piedi nei boschi. Gli stessi che nei primi duemila si ricordavano dove stavano quando sono cadute le torri gemelle e sono contenti di dirlo ogni undici settembre.
La credibilità di strada è andata sempre peggio. Adesso a noi che ci rimane? Nessun dramma generazionale serio.
Servirebbe qualche strage per guadagnarci il diritto di essere vecchi un giorno.
«Federico se vuoi dormire qua, mettiti in stanzetta».
«Sì, ora vado».
«Grazie che mi hai accompagnato».
«Di niente».
«Quei quadri valgono molti soldi. Se si possono restaurare li vendiamo e darò una parte ai tuoi genitori e tuoi zii».
«Ma perché non lo vuoi dire?»
«I miei figli si sono sempre impegnati a lamentarsi e a fare solo il necessario. Se avessero saputo di avere il posteriore coperto non avrebbero fatto neanche quello».
«Quanto valgono?»
«Al tempo uno di quelli valeva come un palazzetto disastrato vista Tevere. Lo stavamo per comprare come eredità per i figli. Poi venni a sapere di questa partita di 4 quadri fiamminghi da un gallerista».
«E li hai comprati?»
«Uno, per noi, quello in camera mia. La Sacra Famiglia di Jan Soens. Poi ho convinto Agostino a prenderne un altro e abbiamo diviso l’importo per donarne un terzo a Margherita.
«Assurdo. E il quarto quadro?»
«Lascia stare».
«Basile non pensa valgano così tanto?»
«Lui non era certo dell’attribuzione. Ma al tempo si era rassicurato. A me e Lisa ci piaceva di impazzire».
«Penso sia giusto che lo dica ai tuoi figli».
«La famiglia non si vende finché non muoio. Aspettiamo di sapere quanto valgono e se si possono restaurare quello di mia sorella e Agostino. Poi sono disposto a venderli».
«Non devo dire niente?»
«No».
«Aspettiamo allora. Penso sia bello quello che avete fatto con nonna».
«Lo so».
Non serve più augurare morte a nessuno.
Ingiustamente odiato.
Lui ci ha pensato ai figli.
E quelli?
Che hanno fatto?
Compratori di auto coreane e televisori troppi grandi.
Rinnegatori di bambini orfani.
Maestre di studenti incapaci.
Un boato pesante e poi altri rumori meno forti.
Nonno rimane immobile sulla poltrona, io mi alzo di scatto.
Sembra una frana nell’atelier piombata nella nostra casa… Una montagnola di qualche centimetro di intonaco e delle tegole ancora intere. C’è un buco al soffitto che pare disegnato, la pioggia inizia a passarci attraverso. Il grigio chiaro del cemento per terra si impregna. Un piedistallo di legno si è spezzato in due.
«Nonno é crollato un pezzo di soffitto, chiamo i vigili del fuoco».
«Non mi sento bene».
«Che hai?»
«Respiro male».
«Chiamo un’ambulanza?!»
«Fa come ti pare».
Nonno fa dei respiri affannati con il naso mentre cerca di alzarsi senza riuscirci. Rimane seduto e si batte con forza la mano sul petto.
«Che ti senti?»
«Male, mi sento male».
«Stenditi un attimo e stai tranquillo».
«Non respiro».
«Sei solo agitato calmati ora arriva l’ambulanza».
«Non riesco a respirare».
Il mio telefono è scarico. Prendo per la prima volta in mano il cordless di nonno mentre lui continua ad ansimare.
Spiego che ho bisogno di vigili del fuoco e assistenza medica ma per motivi diversi.
«Venite e vi spiego».
«Ci sono ferite da arma da fuoco?»
«No, mio nonno ha problemi a respirare».
«E c’entra con il crollo?»
«Ma che ne so, credo sia un attacco di panico».
«Va bene, stanno arrivando».
Tengo le due mani di nonno mentre le stringe con forza da farmi male. Dopo la chiamata al telefono sembra più tranquillo e riprende a respirare più piano.
Sui pantaloni c’è una chiazza di piscio evidente. Faccio di tutto per evitare di guardarla.
Ha gli occhi che lacrimano.
Il sudore gli cola dal collo sullo smanicato di lana leggera.
Il rigido padre eccolo qui.
Mancava poco che piangesse come un bambino.
Il grande stratega dei quadri.
Con l’Eredità affidate all’arte.
Ora si piscia nei pantaloni.
Come un vecchio incontinente qualunque.
Gli manca la bava al bordo della bocca.
La dentiera gialla nel bagnetto.
La sua reggia che crolla pezzo pezzo.
Potrebbe crollarci in testa.
Toccherà farlo vivere altrove.
Così vale la metà.
Non lo porto per strada con i pantaloni sporchi.
Altrimenti un mese e muore di depressione.
Che non crollasse tutto il tetto ora.
Anni che ne parlano.
Non hanno mai fatto un cazzo.
Lo ritroveremo sotto un mucchio di macerie.
La sua casa che sparisce.
Morirà con lui.
Al posto del piedistallo ci potevo stare io.
Si sbrigassero ad arrivare i pompieri.
Meglio che l’ambulanza arriva quando il piscio si è asciugato.
Quanto costerà aggiustarlo?
Magari paga il condominio.
Magari con i quadri ci sistemiamo.