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Le nuove quarantene tra disagi e mancate retribuzioni
I positivi scappati ad Amritsar: l’incubo dell’isolamento e la fuga dalle quarantene
A bordo del volo del 6 gennaio 2022 diretto da Milano ad Amritsar, la città sacra dei sikh, nello stato indiano del Punjab, c’erano 179 persone. Una media di circa dieci ore e cinquantacinque minuti. Secondo la normativa italiana sui viaggi da e per l’estero, relativa al Covid-19, l’India è una “zona di criticità sanitaria” e la mobilità aerea internazionale è assicurata solo da voli speciali. Partiti tutti con esito negativo al Covid-test, rimane un “giallo” come ben 125 di questi siano risultati positivi, dieci ore dopo, al tampone eseguito all’atterraggio. L’ipotesi di una fuga dalla quarantena indiana è la più plausibile, dato il sentimento generalizzato di accusa contro un governo imputato di ambire al controllo sulla popolazione attraverso l’isolamento, come manifestato con proteste una volta arrivati in aeroporto. Che le quarantene, per molte persone, sia fonte di stress non è un mistero. Senza prendere il decollo su un charter e rimanendo in Italia, dati alla mano, sono diversi i danni psicologici ed economici a cui sono sottoposte le persone costrette all’isolamento. Usando approcci integrati di risonanza magnetica, i ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano coordinati da Francesco Benedetti, medico psichiatra e professore associato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, hanno confermato il legame tra alti livelli di infiammazione durante il Covid-19 e l’emergere, a mesi di distanza, di sintomi e alterazioni cerebrali tipiche di depressione e disturbo da stress post-traumatico; ed è chiaro che ciò che sia successo da due anni a questa parte abbia avuto un forte impatto sulla vita personale, sulla percezione di sé e sulle relazioni con gli altri. Secondo uno studio realizzato dal Dipartimento di Scienze Biomediche di Humanitas University, da inizio 2020 una persona su cinque ha notato un peggioramento nei rapporti col proprio partner, una persona su due sente di più la fatica (anche mentale) durante il lavoro, e sette studenti su dieci dichiarano un calo della concentrazione nello studio. L’isolamento, già di per sè difficile, ha richiesto poi spesso, nel nostro Paese, più tempo di quello necessario a causa dei ritardi nelle chiamate da parte dell’USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) prima, e sull’esito dei tamponi dopo. Con un’attesa che ha demoralizzato e chiuso in casa migliaia di persone più del dovuto.
Le vecchie disposizioni, relative al sistema di quarantene, in vigore fino al 31 dicembre, se sulla carta volevano evitare un blocco d’emergenza, di fatto, complice il subentrare della variante Omicron e il conseguente picco dei contagi, hanno in effetti rischiato di trasformare l’Italia in una “terra di nessuno”. Con il Decreto-legge 299 del 30 dicembre 2021, il Governo italiano si è mosso in una direzione diversa, provando ad andare incontro alla preservazione di un suo stesso interesse: quello economico. Oltre alle novità sul Super Green Pass, le capienze e le mascherine, per quanto concerne le quarantene, nei 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale primario o dalla guarigione (nonché dopo la somministrazione della dose di richiamo), a coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al Covid-19 non si applicano più le quarantene precauzionali. Per questi è però obbligatorio indossare i dispositivi di protezione di tipo FFP2 fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al caso ed effettuare (solo qualora sintomatici) un test antigenico rapido o molecolare al quinto giorno dopo l’ultima esposizione al caso. Per chi ha fatto la seconda dose da oltre 120 giorni ed è in attesa della terza dose sono previste invece quarantene ridotte a 5 giorni. Mentre nulla cambia infine per chi non è vaccinato.
Il decreto-legge prevede, inoltre, che “la cessazione della quarantena o dell’auto-sorveglianza consegua all’esito negativo di un test antigenico rapido o molecolare, effettuato anche presso centri privati; in tale ultimo caso la trasmissione all’Asl del referto a esito negativo, con modalità anche elettroniche, determina la cessazione di quarantena o del periodo di auto-sorveglianza”. Un modo non solo per andare incontro alle esigenze delle persone che hanno avuto contatti con positivi, ma anche per evitare che le ASL vengano stressate da migliaia di richieste al giorno di tamponi, offrendo ai privati la possibilità di un riconoscimento statale. Un’arma a doppio taglio che vede un servizio, che dovrebbe essere pubblico, nelle mani di aziende private.
Le nuove disposizioni per scampare al lockdown
“Dobbiamo fare di tutto, come governo, per evitare un nuovo lockdown, perché avrebbe certamente delle conseguenze di carattere sociale ed economico e anche con riflessi di ordine pubblico” sono state le parole della Ministra Lamorgese il 23 ottobre durante un’intervista a RaiNews24. Il giorno prima dell’intervista a Lamorgese, i contagi erano stati 16mila. In questi giorni, però, sono stati raggiunti picchi di 200 mila contagiati al giorno. Appare quindi evidente come la discussione di un possibile lockdown sia più stringente oggi che tre mesi fa. Nonostante i numeri, però, la politica continua a guardare con estrema lontananza l’ipotesi di un nuovo lockdown. “Ho detto più volte che dobbiamo difendere la normalità raggiunta”, sono state le parole di Draghi. Nel 2020, a causa del blocco delle attività sociali e produttive, c’è stata una perdita del PIL dell’8,8%, portando il debito pubblico al 160% del prodotto interno lordo. Appare evidente come un blocco totale, per ragioni sanitarie, abbia conseguenze negative in ambito economico e finanziario: sulla domanda e offerta di servizi e beni, sulle scelte di investimento delle imprese e sull’aumento della spesa pubblica. Gli effetti negativi che il lockdown del 2020 ha avuto sulle finanze sono oggi visibili, e appaiono al governo nuovamente insostenibili. Sono queste le ragioni che preoccupano gli investitori e che causano cali in borsa come quello avvenuto a fine dicembre, che ha visto quella di Milano frenare a -1,6%.
Con dei tassi di positività così alti, il rischio di un nuovo lockdown non viene unicamente dalle persone positive al Covid; centrale è anche la questione dei contatti con questi ultimi. Prima della pubblicazione del decreto legge 229 del 30 dicembre, su proposta di Draghi e Speranza, le disposizioni per le quarantene avevano letteralmente messo in ginocchio il Paese, portando a una sorta di lockdown forzoso e involontario. Milioni di persone erano costrette in casa, ogni giorno, per periodi di dieci giorni ad ogni contatto. Il 27 dicembre 1 italiano su 120 era a casa con il Covid: 517 mila persone positive. Nella settimana dall’1 al 7 gennaio c’è stata una media giornaliera di 136.868 positivi. Con le vecchie disposizioni, se ognuna di queste fosse ipoteticamente entrata in contatto con tre persone, ci sarebbero un numero medio di persone in quarantena ogni giorno pari a 4 milioni e 100mila persone circa. Un numero insostenibile, pensando alla curva in continuo aumento delle persone positive al Covid.
La velocità con cui Omicron si sta diffondendo continua a far crescere la pressione su test e quarantene in tutto il mondo. La decisione dell’Italia sull’annullamento della quarantena per coloro che sono entrati in contatto con un positivo, ma che hanno ciclo vaccinale completo o sono guariti dalla malattia da meno di 120 giorni, non è una scelta isolata. Qualche settimana fa, il Sudafrica ha abolito l’obbligo di quarantena per i contatti con i positivi asintomatici; la Gran Bretagna ha ridotto la quarantena da 10 a 7 giorni e gli USA hanno fatto lo stesso per gli operatori sanitari. La situazione di pressione sulle strutture sanitarie, in Italia come nel resto del mondo, è radicalmente migliorata rispetto all’emergenza di marzo 2020, ed è stato quindi necessario intervenire sulle disposizioni per evitare di bloccare di nuovo il Paese. Emblematico è il caso della Spagna, che si propone di gestire l’emergenza da Covid come una delle tante malattie respiratorie, senza contare ogni singolo caso ma tenendo conto solo dei numeri più rilevanti; per un vero e proprio tentativo di convivenza con il virus.
Ma come abbiamo visto, solo per alcune categorie di persone le disposizioni delle quarantene si sono alleggerite. Per coloro che, invece, si ritrovano a dover affrontare le quarantene, i problemi sono diversi, e di natura prevalentemente economica. Il decreto-legge 146 ha modificato la disciplina delle tutele previste per i lavoratori in quarantena e per i lavoratori “fragili”. Dall’1 gennaio 2022, infatti, il periodo di assenza dal lavoro non viene più riconosciuto come malattia, e di conseguenza non viene coperto dall’Inps. I lavoratori e lavoratrici dipendenti del settore privato in quarantena per contatto con un positivo, e che non possono lavorare da remoto, quindi, dovranno fare ricorso a permessi retribuiti o ferie, per non vedersi ridotto lo stipendio; a meno che il datore di lavoro non si carichi interamente della spesa della loro assenza. Si alza quindi il rischio che un lavoratore o lavoratrice, entrato in contatto con un positivo, dissimuli la propria condizione, continuando a lavorare in presenza e rappresentando, in questo modo, un pericolo per la collettività. Con il Decreto Cura Italia, nel 2020-2021 sono stati stanziati 663,1 milioni di euro per permettere a lavoratori e lavoratrici in quarantena di ricevere un’indennità economica dall’INPS. Ad oggi, con disposizioni che vedono una evidente diminuzione delle persone potenzialmente interessate alle quarantene, non c’è stata alcuna discussione per il rifinanziamento dei fondi destinati a coloro che, per legge, sono impossibilitati a svolgere il proprio lavoro in presenza. Nonostante la pressione del segretario della CGIL Maurizio Landini, che nei giorni della discussione sul decreto Sostegni ha manifestato l’urgenza di occuparsi anche della questione delle retribuzioni per malattia, la questione è passata in sordina. Ma sono oltre 2,5 milioni i lavoratori non vaccinati – senza contare le categorie fragili – che dall’inizio del nuovo anno non dispongono più di idonei strumenti di tutela salariale.
Servizi rallentati a causa della quantità di lavoratori e lavoratrici in quarantena
Oltre alla questione legata alla non copertura dei giorni di assenza dal lavoro per isolamento in quarantena, delicata è anche quella relativa al lavoro agile. Se nel settore privato la legislazione non è intervenuta per limitare il ricorso allo smart-working, il settore pubblico ha visto, con l’emanazione del dpcm 23 settembre 2021, una rivisitazione delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Il decreto ministeriale stabiliva che, dal 15 ottobre 2021, la modalità ordinaria tornasse ad essere quella in presenza, superando quanto stabilito dal decreto legge del 17 marzo 2020. Per superare l’utilizzo del lavoro agile emergenziale, il provvedimento stabiliva che le pubbliche amministrazioni organizzassero le attività dei propri uffici e adottassero le misure organizzative necessarie anche a garantire il distanziamento, al fine di attuare pienamente il rientro in presenza di tutto il personale, limitando il ricorso al lavoro agile solo per i lavoratori fragili. Con la recente impennata dei contagi, tale provvedimento si è rivelato inadeguato e ha portato il Ministro per la Pubblica amministrazione Brunetta a rivedere le modalità di svolgimento delle attività lavorative e a firmare, con il ministro del lavoro Andrea Orlando, un accordo che incentivasse nuovamente il ricorso al lavoro agile. “L’acuirsi dei contagi manifestatosi a ridosso del periodo delle festività, e ancora in fase ascendente, ha riproposto la necessità di utilizzare ogni strumento utile a diminuire le possibilità del diffondersi del virus, ivi incluso il ricorso al lavoro agile” sono le parole che si leggono nella circolare pubblicata il 5 gennaio. Secondo i dati offerti dall’Osservatorio Smart Working, le persone che hanno lavorato attraverso la modalità agile, da un anno e mezzo a questa parte, sono state 5,37 milioni, quasi 1/3 dei dipendenti, in decrescita negli ultimi mesi. Tralasciando alcune problematiche che il lavoro agile ha portato con sé, come ad esempio l’aumento delle ore di reperibilità piuttosto che lo stress causato dall’utilizzo prolungato o eccessivo di strumenti informatici, lo smart working è stato uno strumento che ha tutelato i dipendenti dall’esposizione giornaliera a situazioni di potenziale contagio.
Se da un lato la pubblica amministrazione e alcune tipologie di mansioni svolte nel settore privato sono agevolate dalla possibilità di ricorrere al lavoro agile, appare evidente come non tutte le tipologie di lavoro possono essere riconvertite a questa modalità. Un chiaro esempio è sicuramente il settore dei trasporti, in particolare ferroviario, che è stato pesantemente penalizzato dall’aumento dei contagi del personale. Secondo quanto stimato da Trenord, in Lombardia, la prima settimana del 2022 ha registrato la soppressione di circa un centinaio di corse al giorno, a causa dell’assenza del 12% della forza lavoro della compagnia, compresi molti capitreno e macchinisti bloccati dalle quarantene. La diminuzione delle corse porta inevitabilmente a un aumento della pressione su quelle disponibili, causando sovraffollamento sulle poche linee funzionanti e di conseguenza un aumento del rischio di contrarre il virus, soprattutto in un periodo di rientro dal lavoro e di riapertura delle scuole in presenza. Trenitalia ha compensato la cancellazione del 5% delle corse con l’introduzione di percorsi alternativi, mediante l’utilizzo di autobus, e concentrando la circolazione ferroviaria nelle fasce orarie più affollate dai pendolari. Ma pare evidente come questo non sia abbastanza. Il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi, ha dichiarato che “si rischia la paralisi della circolazione ferroviaria con effetti devastanti per il Paese”, rinnovando la richiesta di un intervento governativo per assicurare i trasporti pubblici locali. Una richiesta che ha ricevuto come risposta il silenzio. Un silenzio rotto dallo sciopero nazionale dei mezzi di trasporto di venerdì 14 gennaio, indetto dai sindacati per il rinnovo del CCNL, il mancato completamento del piano assunzioni 2021 e le condizioni dei turni di lavoro. Citata è, inoltre, la problematica legata proprio alla pandemia: i sindacati denunciano la mancanza di controllo della capienza massima dei mezzi che dovrebbe essere all’80%. Il trasporto pubblico è un servizio essenziale, ed è necessario che oltre al diritto alla mobilità dei cittadini vengano tutelati i diritti dei lavoratori e lavoratrici che lavorano per garantirlo.
Le parole di Brunetta, circa la reticenza nei confronti del lavoro agile, e al contempo l’incapacità governativa di garantire un sistema efficace di spostamento pubblico per raggiungere il lavoro in presenza, sono lo specchio di una politica che fatica a rendere conto della complessità di un sistema che ha bisogno di interventi radicali perché venga garantita la sicurezza di tutti e tutte.
Articolo di Lorenza Ferraiuolo, Cecilia Pellizzari e Idarah Umana