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L’Onda Anomala, l’ultimo movimento studentesco in Italia
Dopo dieci anni nessun movimento sociale è riuscito a imporsi come L’Onda Anomala, che abbracciò la generazione dei millennials in tutta Italia
Uniti contro la svendita e il de-finanziamento programmatico dell’istruzione pubblica. Nato come movimento studentesco, ha avuto la forza di imporsi al grido de “noi la crisi non la paghiamo”, dando con forza una risposta, già dai primi sviluppi in Italia, della crisi economica sviluppatasi prima negli Stati Uniti e poi in tutta Europa.
Definire l’Onda con un’espressione sola è impossibile: come un termine ombrello, l’Onda ha avuto tante sfaccettature, in diversi tempi, grazie alla sua capacità di rigenerarsi più volte, partendo da un problema nazionale, la riforma dell’università della Gelmini e adattandosi alle diverse realtà territoriali delle principali città italiane. Oggi più che mai, le dinamiche a livello di mobilitazione sono diverse: nel giro di un decennio si è passati dai blog universitari delle “facoltà ribelli” come Uniriot, ai social network, che hanno investito di fatto la nuova generazione cambiando i rapporti comunicativi e i movimenti sociali in tutto il mondo.
A livello nazionale però, mai più nessun movimento sociale ha avuto lo stesso grado di mobilitazione e partecipazione tanto longevo e resistente al contesto politico, neanche un movimento nato “senza bandiere” come quello delle Sardine.
Dal punto di vista temporale, l’Onda è un movimento recente, ragione per cui non si è ancora costituita una memoria storica condivisa. Attraverso le testimonianze di alcuni ex-attivisti, ripercorrendo i momenti cruciali del movimento a livello di cronaca, si può immaginare un movimento sociale futuro.
L’Onda viene definita “anomala” perché, a differenza dei movimenti sociali precedenti, visse più tempi, due in particolare: «Dal mio punto di vista l’anomalia sta tutta nella spartizione dei tempi: il movimento è esploso dapprima nelle università, nell’estate del 2008, con il “NO” al DDL della Gelmini, e i numeri all’inizio erano davvero giganteschi, tanto da inondare letteralmente le strade», spiega Simone Rubino, ex-attivista dell’Onda torinese, oggi giornalista di professione. L’Onda, almeno in una prima fase, quella delineabile fino al 2010, è stato un movimento sociale che è riuscito a raggiungere centinaia di migliaia di studenti. Ciò che lo caratterizzava, erano le dimensioni gigantesche delle sue assemblee.
“La grande Onda” di Piotta era l’inno, la colonna sonora del movimento. «Se vogliamo, le suggestioni legate alla generazione dell’Onda si ritrovano ancora oggi in canzoni recenti e lontane da quel contesto, come “Solo noi di Achille Lauro, che continuano a parlare dei “non più giovani”, non ancora pienamente adulti, della generazione degli sfigati con il problema del precariato», continua Simone. «Una generazione che è stata tutto ed è stata niente, che si è persa, si è risollevata e si è poi infranta. Al contempo però vive nel presente, attraverso quella rabbia che ha saputo esprimere ma non esplicitare nei giusti termini, a livello politico soprattutto».
A L’Orientale di Napoli e in tutti i principali atenei italiani, si riunivano i collettivi studenteschi all’inizio di ogni anno accademico e, al centro delle assemblee, venivano poste tutte le questioni relative alle problematiche dell’università. In particolare, all’inizio dell’anno accademico del 2008, a seguito della recentissima legge 6 agosto 2008 n. 133 (“Decreto Brunetta”), primo “atto” della riforma Gelmini, a L’Orientale di Napoli l’assemblea raggiunse numeri di partecipazione elevatissimi, con più di tremila studenti. L’importante adesione figurò come un campanello d’allarme, un primo segnale che qualcosa nell’aria stava iniziando a cambiare.
Altra particolarità del movimento, a livello nazionale, fu quella di sodalizzare con il territorio. Da nord a sud, nelle principali città, si costituirono quindi tante “ondicelle”, accomunate tra loro dal problema di base, il DDL Gelmini, anche se ognuna stava sviluppando nella propria area delle sue peculiarità in specifiche problematiche sociali, ambientali e politiche: l’Onda sabauda abbracciò il Movimento No TAV. Roma si concentrò sulla questione dell’ambiente, della gestione dei rifiuti e delle discariche. Napoli prestava attenzione alla Terra dei fuochi. Ma ci fu anche una parentesi dal respiro europeo: nel marzo 2010, in occasione dell’anniversario del Processo di Bologna, a Vienna si tenne il “Reclaim your future”: alcuni collettivi universitari dell’Onda tennero un workshop dal titolo “what does left university politics say? Challenges and internationale experiences of the left universities”. Fu un momento di confronto europeo, un periodo di fermento. Da quel workshop in poi, in Europa e in particolare in Inghilterra, comparve la simbologia dei “Book Block”, partorita e usata in tutti i cortei dell’Onda: scudi di cartone a forma di libro, metafora del concetto di difesa intellettuale e difesa fisica durante i cortei, dove spesso avvennero violenti scontri con le forze dell’ordine.
Tuttavia per capire le dimensioni del movimento, simbolico può essere l’episodio del 7 novembre 2008, dove nel centro di Napoli si riunirono circa settantamila studenti in protesta, circa una settimana dopo i noti scontri di Piazza Navona a Roma, al grido de “ci bloccano il futuro, blocchiamo la città”: la testa del corteo, Piazza del Plebiscito si estendeva fino alla Stazione Centrale di Napoli. Erano presenti la maggior parte delle università della Campania.
L’attuale Assessore al Lavoro di Napoli Giovanni Pagano fu attivista dell’Onda napoletana in età universitaria. Frequentò il corso di Scienze Politiche a L’Orientale, e ha descritto l’Onda come un movimento di «massa spontanea, inaspettata, dalle dimensioni enormi, mai viste prima». Ci racconta che nell’estate del 2008 tra i collettivi studenteschi iniziò a serpeggiare del malcontento, frutto della proposta Gelmini, che all’epoca fu Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca nel Governo Berlusconi IV: «Stavano iniziando a sorgere diverse mobilitazioni dal basso e si paventò, davanti agli occhi di tutti, il taglio dei famosi 3 miliardi nella ricerca, nella scuola, nell’università».
Nel settembre del 2009, a Napoli si palesò la prima grande espressione di quel malcontento: iniziarono a scendere in strada molti lavoratori precari, insegnanti, personale scolastico e un collettivo di genitori in protesta per le condizioni della scuola dei figli, inagibile per mancanza dei certificati di collaudo. Lo stesso giorno la Gelmini era attesa a Nisida per l’inaugurazione del nuovo anno scolastico: non riuscendo a raggiungere la destinazione via terra, per via del blocco stradale dei manifestanti, raggiunse l’istituto via mare, in motoscafo.
In poco più di un anno, dal settembre del 2008 a dicembre 2009, in tutte le principali città italiane, da nord a sud, si tennero un centinaio di cortei e occupazioni, grazie a quella capacità di aggregazione naturale del movimento, che ha saputo nel tempo reinventarsi e vivere il contesto sociale e politico dell’epoca.
Nel 2010 il movimento iniziò a subire qualche battuta d’arresto in termini di adesione numerica, e l’idea fu quella di agire direttamente all’interno del conflitto sociale. Rubino l’ha descritta come «ugualmente esplosiva, nonostante i numeri in termini di attivisti erano calati. La seconda fase dell’Onda è stata squisitamente politica, in cui abbiamo raccolto tutto quello che avevamo seminato ma con una forza più intensa. Era l’Onda degli scontri di Piazza del Popolo».
Una data storica per l’Onda fu infatti quella del 14 dicembre 2010. Quel giorno sarebbe dovuto cadere il Governo Berlusconi IV, che invece la spuntò per tre voti, mentre la Capitale era stata messa sotto assedio. In piazza del Popolo c’erano movimenti sociali in lotta contro il governo centrale. La folla non era composta di soli studenti, c’erano tutti: dai metalmeccanici, agli ambientalisti, No TAV, lavoratori di ogni estrazione sociale. La società civile per l’ultima volta si opponeva con forza al DDL della Gelmini. Attorno al movimento studentesco si radunò un fronte di protesta. Tutto quello schieramento in piazza non servì a cambiare le sorti del DDL: nonostante la società fosse lì, in protesta, con la “compravendita” di tre senatori da parte di Berlusconi, il governo ebbe la fiducia in Camera e in Senato. La reazione dal basso fu accesa. «Fu istituita una zona rossa attorno al Parlamento, c’era un’occupazione a oltranza della piazza da parte del corteo, che non aveva nessuna intenzione di andarsene. La rabbia era alle stelle. Il resto è cronaca», ha raccontato Natascia Crimele, romana ex-attivista dell’Onda, oggi professoressa in un istituto tecnico. La settimana dopo l’Onda romana scese nuovamente in piazza. Il corteo anche questa volta fu grandissimo: «La scelta fu quella di allargare il fronte. Nonostante questo, avevamo dei problemi con sindacati, la CGIL non si era espressa. Le università continuavano ad essere occupate. Il 14 dicembre la Camusso ci ricevette presso la sede della CGIL, avevamo in testa di proporre uno sciopero generale per paralizzare il Paese. La Segretaria generale però non parve convinta, a detta sua la situazione non era “abbastanza calda”. Lo sciopero generale non ci fu, nonostante a Roma continuassero senza cessare gli scontri. Sul fronte sindacati tornammo a casa a mani vuote». La rottura di quella tacita alleanza tra sindacati e movimento fu il primo segnale di un’Onda che di lì a poco si sarebbe infranta. I giorni seguenti piazza del Popolo Napolitano ricevette gli attivisti al Quirinale: «Fu un gesto accolto con scalpore, ma nella realtà dei fatti non posso affermare che da lì in poi si fosse aperto un dialogo tra le parti, quel dialogo tanto promesso. Siamo rimasti soli, il PD, la sinistra parlamentare che aveva cavalcato il movimento per scopi elettorali all’inizio, ci voltò le spalle. Non ci furono azioni di contrasto alla Gelmini, anzi, il centrosinistra iniziò ad appoggiare con entusiasmo l’aziendalizzazione proposta da quella riforma». Ciò che pesò di più fu sicuramente l’abbandono dei sindacati. La legge 133 aveva in sé non solo la distruzione dell’università e dell’istruzione, ma c’era un collegamento forte con tutto l’aspetto dei diritti dei lavoratori: una sorta di preludio di quella crisi che negli anni successivi si sarebbe svelata duramente.
“Il livello di attivismo oggi, ha delle dimensioni in aumento rispetto i grandi temi internazionali.”
Che cosa è cambiato?
Nel 2011 all’interno dell’Onda ci fu un cambio di meccanismi, determinato da fattori diversi: la crisi stava travolgendo l’opinione pubblica, e in estate gli italiani sentivano per la prima volta la parola spread. I primi sei mesi dell’anno furono un’altalena continua del differenziale tra i Btp e gli omologhi Bund tedeschi, unità di misura della fragilità economica non solo italiana. A fine maggio, con i risultati del voto amministrativo, il PDL di Berlusconi incassò una pesante batosta elettorale. Il cosiddetto “Rubygate” pose ulteriori bastoni tra le ruote al Premier, e dall’opposizione si cominciò ad auspicare un suo passo indietro. La crisi del debito sovrano era al culmine. Pagano ricorda bene quell’anno, cruciale per il movimento: «Con la riforma dei partiti, la necessità di interpretare la politica a livello globale, nascevano delle nuove istanze contro la vecchia politica: l’antagonismo stesso però si poneva sempre su un tema che in qualche modo replicava lo schema politico vecchio. Nella sinistra veniva meno quel blocco riformista un tempo rappresentato da PCI e CGIL: venendo meno quel blocco sociale ben definito di estrazione proletaria e piccolo borghese, negli anni c’è stata la fine della storia a livello di sinistra, che ad un certo punto è scesa a patti con quell’ottica neoliberista, abbracciandola completamente. Ad un certo punto lo spazio è divenuto saturo: non c’era più spazio al di fuori del neoliberismo».
Oggi è cambiato il modo di fare e interpretare la politica, sono cambiati i movimenti. «A livello nazionale non c’è stata più la giusta interpretazione di questo cambiamento. Le nuove generazioni però, hanno del potenziale in più, posseggono una sensibilità diversa e maggiore della nostra, basti pensare al modo in cui abbracciano e accolgono questioni come l’integrazione, le differenze di genere. Hanno un approccio diverso nel vivere l’attualità, la politica e la società. Il livello di attivismo ad oggi ha delle dimensioni in aumento rispetto ai grandi temi internazionali. Rispetto ad oggi, ciò che viene a mancare, ma perché sono i cambiati i mezzi di comunicazione, è la presenza fisica. Noi andavamo all’università perché ci servivano delle informazioni che altrimenti non avresti potuto ottenere in altro modo». Le dinamiche relazionali, l’importanza della piazza, dello scendere in strada come sinonimo di adesione, adesione in termini fisici. «Con questo credo fermamente nell’arrivo di movimenti più forti a livello nazionale, siamo solo in mezzo ad una parentesi. C’è bisogno che i più giovani in Italia sviluppino quel senso di maturità che a noi dell’Onda è mancata nell’affrontare determinati nodi politici. In altri Paesi d’Europa è rimasto quel blocco progressista, qui in Italia c’è stato un buco, vuoi anche per i leader politici che ci hanno rappresentato in quegli anni». Pagano spiega come la sua generazione sia figlia di quel berlusconismo insito, così come quella arrivata subito dopo, che ha subito i contraccolpi di quella visione fallimentare della politica del tempo. La pienezza politica, le questioni ambientali, di genere: l’Onda è stata apripista a livello nazionale di questi temi. «Era determinante la sensazione di sentirsi davvero parte di qualcosa, in controtendenza rispetto all’individualismo che viviamo oggi: avevamo dei rituali tutti nostri, che erano momenti di confronto e aggregazione, dall’assemblea plenaria, le occupazioni, il fare banalmente i cartelloni insieme, pensare gli slogan, le rassegne stampa. Sono momenti di un vissuto che raccontati oggi, forse, possono descrivere una comunità che trasformava l’eccezionale in quotidiano», commenta Rubino. Anche la stessa dimensione social è cambiata: l’Onda agli esordi utilizzava la piattaforma di MSN, Facebook era agli esordi e l’algoritmo del sito non funzionava come oggi: all’inizio metteva in circolazione notizie ed eventi in modo più rapido, “spammava” di più, ed era un veicolo per le assemblee di massa, nelle quali poi ci si incontrava e vis a vis si discuteva per ore. La partecipazione era vera, reale, dal basso. L’Orientale fu occupata per due mesi nel 2008: si riprogettava la didattica in senso inclusivo, ci si batteva per il diritto allo studio, alla qualità dell’insegnamento. Importantissimo era il sito “Uniriot.org”: era il network-blog delle facoltà ribelli, un aggregato di collettivi sparsi per l’Italia dove venivno postati articoli, analisi e cronache di cortei e occupazioni.
Da quanto emerso, il tallone d’Achille per il movimento fu l’immaturità nel saper affrontare un tema serio, e la capacità di mettere in relazione il potere e il cambiamento: per Pagano questo legame ancora oggi non è stato affrontato. L’esempio dei movimenti Occupy sembra esserne una dimostrazione, così come il Black Lives Matter: «Lì c’è una capacità di incidere sulla politica, questo passaggio di maturazione è quello che ci è mancato e che spero non manchi alle generazioni future. Per noi fu una sconfitta. Non abbiamo ottenuto niente. Alla fine, dopo quasi 11 anni, dire “avevamo ragione noi”, quando contestavamo il fatto che questi enormi tagli all’università avrebbero avuto effetti che oggi, nel 2021, possiamo constatare, non basta. Il tema è capire che c’è bisogno di incidere sul piano decisionale, ma devi andare e farlo». Sì, l’Onda aveva ragione: ma non basta. «Ero convinto che i processi di conflittualità, di partecipazione dal basso riuscissero a produrre dei cambiamenti della società e anche sulle organizzazioni politiche, ora però questi corpi intermedi hanno bisogno di essere uniti, bisogna porsi il problema di occupare alcuni posti di potere perché se non lo fai, si rafforzano quelli che già sono seduti lì». Per Pagano, è fondamentale non stare troppo lontani dai luoghi di potere.
Per Natascia Crimele invece, sono le forme storiche di organizzazione della sinistra a essere entrate in crisi, non i tanto i temi: «I movimenti femministi sono pieni di giovanissime, anche in Italia: tra le studentesse noto una coscienza sui temi della violenza e della parità di genere molto più avanzata della mia generazione. Quindi non solo abbiamo oggi una generazione impegnata nell’immaginare un futuro senza inquinamento, ma anche senza discriminazioni basate sul genere. Se questa è antipolitica…».
Anche Simone Rubino trae da ciò lo spunto per farne un bilancio: «L’Onda ha saputo politicizzare le questioni sociali, pretendendo un cambio di passo nella costruzione del domani. La politica non l’ha fatto. I problemi di allora sono ancora tutti irrisolti, sul tavolo, evidenti oggi più che mai nella gestione della crisi pandemica. L’antipolitica, vera o presunta, è stata la conseguenza di quel fallimento ma, rimuovendo le questioni sociali ed economiche, poste politicamente dall’Onda, ha paradossalmente assolto le classi dirigenti dalle loro scelte limitandosi a criticare solo poltrone e vitalizi.». Il movimento si è scontrato con un sistema refrattario al cambiamento: «L’Italia è un Paese che adora solo le rivoluzioni degli altri, quelle lontane, così può continuare a non essere un Paese per giovani, magari avventati ed arroganti, irrappresentabili, come quelli dell’Onda, che sono però stati la più alta espressione di una soggettività capace di vivere, interpretare e rivoluzionare il suo tempo».
Articolo di Federica di Gioia