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Ospedali sotto pressione: l’altra faccia della quarta ondata
Una situazione insostenibile tra reparti che chiudono e interventi chirurgici cancellati
La variante Omicron avanza e giornali e TG tornano a raccontare quanto ormai sembrava far parte della prima ondata della pandemia: reparti ordinari chiusi per aumentare i posti COVID, notevole riduzione dell’attività chirurgica con le terapie intensive che cominciano lentamente a ripopolarsi. Nonostante lo Stato di emergenza vigente negli ultimi mesi, sembrano davvero poche le iniziative messe in campo per evitare che la pandemia torni a far pressione sugli ospedali.
Le Regioni aggiungono posti letto: strategia per evitare passaggi di colore?
Dai dati comunicati all’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) da agosto a dicembre, specialmente da parte di alcune regioni, c’è un’aggiunta repentina di numeri di posti letto negli ospedali: l’Emilia-Romagna il 10 dicembre ha aggiunto 662 posti letto nei reparti ordinari, dopo averne resi disponibili altri 416 il 2 dicembre. Balzato alla cronaca il dato della Lombardia, che in un colpo solo il 6 dicembre ha aggiunto altri 1.257 posti letto. Questa strategia è stata messa in campo per eludere il passaggio da zona bianca a gialla nella seconda metà di dicembre (che scatta quando i pazienti Covid occupano il 10% dei posti in terapia intensiva e il 15% nei reparti ordinari), soglia nettamente superata dalla stragrande maggioranza delle regioni, tantoché sono solo sei quelle attualmente ancora in zona bianca. Ad aumentare i posti letto nei reparti ordinari da agosto a dicembre anche la Sicilia (+412), la Calabria (+201), e la provincia autonoma di Bolzano (+109).
Interessante analizzare il dato che, in tre mesi, da agosto a dicembre vede 4.500 posti letto ordinari in più in tutto il Paese, a confronto con i 3.821 in più, solamente nell’ultimo mese, dal 10 dicembre alla data del 10 gennaio, per un totale di 64.045 posti letto disponibili di cui 16.340 occupati. Di questi quasi 4mila aumentati di recente, più della metà (+2.512) sono della Lombardia, seguita da Campania (+871), Sicilia (+194), Liguria (+95), Calabria (+77), Puglia (+45), Marche (+35), l’unica con un bilancio in negativo la Basilicata, che perde 8 posti letto. Si evince chiaramente anche una preoccupante disparità territoriale in questi numeri considerando che i posti aggiunti in tutta Italia dopo il 10 agosto sono per circa il 55% dell’Emilia-Romagna, oltre al dominio lombardo dell’ultimo periodo. La crescita notevole in un tempo così limitato alimenta dubbi sulla reale disponibilità di tali posti negli ospedali, che – a detta di alcuni operatori e operatrici sanitari – verrebbero solamente opzionati, in modo da portare il tasso di occupazione più basso con un conseguente non passaggio alla soglia di rischio successiva. Significativa invece la perdita di posti in terapia intensiva nell’ultimo mese (10 dic – 10 gen), nell’intera penisola, passando da 9528 a 9264 (-264) con 1606, i pazienti che momentaneamente necessitano il livello di assistenza più elevato.
Un problema emerso recentemente, in seguito alla “quarta ondata” e la nuova variante, risulta essere la chiusura di reparti ordinari per consentire una maggiore disponibilità di posti covid, con notevoli ritardi nelle prenotazioni effettuate e già slittate in precedenza per la fase più acuta della pandemia.
*Per area non critica si intendono i posti letto di area medica afferenti alle specialità di malattie infettive, medicina generale e pneumologia. Il numero degli stessi fa riferimento ai dati trasmessi periodicamente dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano al Ministero della Salute.
Allarme dei chirurghi: saltano la metà degli interventi
«La riduzione degli interventi chirurgici è drammatica» sottolinea ad Agi il Presidente della Società Italiana di Chirurgia (SIC), Francesco Basile, il quale manifesta forte preoccupazione per le crescenti difficoltà presenti in tutte le Regioni ad operare i pazienti che necessitano di delicati interventi chirurgici.
«Posti letto di chirurgia dimezzati, blocco dei ricoveri in elezione, terapie intensive riconvertite per i pazienti Covid, infermieri e anestesisti delle sale operatorie trasferiti ai reparti Covid. In questo modo l’attività chirurgica negli ospedali di tutta Italia è stata ridotta nella media del 50% con punte dell’80%, riservando ai soli pazienti oncologici e di urgenza gli interventi» riprende Basile, che ci tiene a ribadire come spesso non sia possibile operare neppure i pazienti con tumore poiché non si dispone del posto di terapia intensiva per il decorso post-operatorio.
Ciò che preoccupa è l’avvicinarsi sempre di più alla situazione del 2020 che ha portato 400.000 interventi chirurgici ad essere rinviati, un notevole aumento del numero dei pazienti in lista di attesa e – conseguenza più pesante – l’aggravamento delle patologie tumorali, spesso giunte nei mesi successivi in ospedale ormai inoperabili. Nonostante sia consentito operare pazienti oncologici, la riconversione di alcuni reparti ha bloccato il percorso diagnostico dei tumori, dagli screening a tutto ciò che riguarda la medicina di prossimità, ritardando il ricovero.
Le attuali liste di attesa tornano ad allungarsi a dismisura, presentando già ritardi, e «la situazione appare quindi complessa e necessaria di intervento» conclude Basile, il quale promuove delle proposte per far fronte a questa importante emergenza: linee guida alle Regioni per uniformare e garantire l’attività chirurgica; la creazione di percorsi differenziati per i pazienti chirurgici che non risentono delle esigenze dei pazienti Covid; il ripristino del personale infermieristico e anestesiologico dei blocchi operatori; il mantenimento dell’efficienza degli screening territoriali e della diagnostica di I e II livello per i pazienti oncologici; nonché preservare in ciascuno degli ospedali un numero adeguato di posti letto No Covid in terapia intensiva, per i pazienti ordinari da operare; e una programmazione di piani di recupero delle liste di attesa con eventuale assunzione di chirurghi per aumentare il numero di prestazioni.
Effetto a catena: negli ospedali chiudono diversi reparti ordinari
A tutto ciò si aggiungono le numerose segnalazioni, delle scorse settimane, di chiusura di interi reparti in tutta Italia. Al Cervello di Palermo ha chiuso il reparto di ostetricia, ma nonostante ciò restano numerose le file di ambulanze bloccate per ore in attesa di lasciare i pazienti in pronto soccorso. All’ospedale Cotugno di Napoli diversi i mezzi di primo soccorso, anche auto, con a bordo persone in cerca della somministrazione di ossigeno per gravi condizioni respiratorie. In Friuli Venezia Giulia, ad Udine, una trentina di pazienti in codice giallo a cui era necessario un ricovero sono rimasti in attesa nell’area di emergenza del pronto soccorso. Fermate le attività chirurgiche per almeno un mese anche negli ospedali di Assisi, Castiglione del Lago e Umbertide, e rimodulazione al Santa Maria di Terni. Nella stessa Umbria, già nella prima fase della pandemia, l’ospedale di Spoleto era stato interamente convertito a Covid Hospital. La mancanza di personale in quarantena o positivo ovviamente acuisce ancor di più la situazione, specialmente nelle ore notturne in cui l’organico presenta già numeri ridotti.
Articolo di Andrea Carcuro. Ha collaborato Eleonora Varriale