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Come la destra vuole fermare il DDL Zan
E perché non è nulla di nuovo
Il DDL Zan, in breve.
Presentato il 2 maggio 2018 e approvato dalla Camera il 4 novembre 2020 con 265 voti a favore, 193 contrari e un astenuto, il DDL Zan si trova da svariati mesi davanti alla Commissione Giustizia del Senato, da cui deve necessariamente passare prima di poter essere discussa e votata dalla camera alta. La legge, che prende il nome dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan, ha come titolo completo “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Infatti, la proposta è composta da dieci articoli volt ad ampliare gli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale e la Legge Mancino del 1993, aggiungendo i reati di discriminazione per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità a quelli contro razza, etnia, religione o nazionalità. Inoltre, crea delle misure preventive e istituisce una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Ha come obiettivo quello di riempire un vuoto legislativo riguardante i reati di matrice discriminatoria nei confronti di queste categorie, ma ora si trova nel mezzo di un interminabile processo di ostruzionismo.
Le critiche dell’opposizione
Descritta dai suoi sostenitori come un provvedimento necessario e a lungo atteso, il DDL Zan ha incontrato una forte opposizione sia alla Camera che al Senato da parte di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Infatti, il testo è fermo da mesi alla Commissione di Giustizia del Senato, dove Andrea Ostellari, presidente della Commissione e leghista fortemente contrario alla legge, si è auto-nominato relatore del DDL e ne ha impedito la calendarizzazione. Due sono le principali critiche dell’opposizione, e contraddittorie sono le scelte politiche scaturite da esse.
La prima critica è quella che il disegno di legge sia “liberticida”, poiché rischia di ledere la “libertà di parola” di coloro che si oppongono alla parificazione dei diritti per queste fasce della popolazione. Infatti, secondo l’opposizione, il DDL Zan aprirebbe la porta ad un mondo dove non esiste più la “famiglia tradizionale” e dove si rischierebbe di finire in galera solo per aver detto al bar ad un amico che, secondo te, un bambino ha “il diritto di avere una mamma e un papà.” Per ovviare a questo apparente problema, la legge specifica all’Articolo 4 che queste modifiche escludono dalla penalizzazione “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.” Infatti, la legge punisce chi istiga a commettere atti di discriminazione o violenza fondati su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità e chi commette atti violenti per le stesse motivazioni, ma non dice nulla riguardo all’espressione da parte del singolo di opinioni discriminatorie che non abbiano un preciso intento di istigazione all’odio. Nonostante ciò, Lega e Forza Italia, con l’appoggio di Udc e Cambiamo, hanno presentato un disegno di legge alternativo, il Ronzulli-Salvini, che mira a modificare l’articolo 61 del codice penale che riguarda le circostanze aggravanti comuni di un reato. Pochi giorni fa, Ostellari ha deciso, senza indire una votazione che avrebbe probabilmente dato esito contrario, di abbinare il ddl Ronzulli-Salvini al ddl Zan, sostenendo che i due disegni possono essere considerati come un unico provvedimento. Chiaramente, il suo unico obiettivo è quello di prolungare i tempi delle discussioni. Il problema principale del Ronzulli-Salvini, tuttavia, non è solo quello di fare ostruzionismo, ma il fatto che tratti solamente di casi di violenza fisica, e che parifichi le violenze motivate dall’odio ad aggravanti comuni come quella di avere agito per motivi futili, o l’aver commesso l’atto in occasione di manifestazioni sportive. Secondo Alessandro Zan, infatti, la proposta andrebbe anche a indebolire la Legge Mancino, che punisce non solo la violenza fisica, ma anche “frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione […] per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali”. Infatti, questo nuovo disegno di legge rientra, insieme ai quasi mille emendamenti al testo che FdI e Lega hanno presentato nell’estate del 2020 durante le discussioni alla Camera per fare ostruzionismo parlamentare, nel gruppo di azioni e provvedimenti che contraddicono l’altra principale critica della destra italiana, ossia che “ci sono cose più importanti di cui parlare”.
Cosa rimane di questo dibattito?
Mentre questo articolo viene scritto, non si sa come finirà la discussione sul DDL Zan, ma qualche considerazione possiamo farla. Come avvenne nel 2016 per la legge sulle unioni civili, in parlamento c’erano più o meno due gruppi: da una parte quelli che credevano non ci fosse bisogno neanche di dibattito, poteva essere subito approvato, dall’altra non si pensava si dovesse perdere tempo a parlare di tematiche del genere: “ci sono cose più importanti”. In quel caso si passò repentinamente dall’avere un fronte progressista d’accordo sulla necessità della legge Cirinnà, al trovarsi un numero talmente grande di franchi tiratori che dalla legge iniziale furono stralciate parti importanti. In ogni caso la proposta venne approvata, anche se dalla maggior parte delle associazioni LGBTQIA+ viene tuttora considerata solo come un buon punto di partenza. Un giudizio simile c’è anche oggi sulla legge contro l’omo-transfobia, le discriminazioni di genere e l’abilismo (spesso può essere fruttuoso spersonalizzare le battaglie e ricordare a cosa si riferiscono), e lo si considera come un primo passo verso una società più equa e attenta a ogni persona. Come in passato, c’è una parte politica che ha subito definito il DDL come di secondaria importanza in un momento del genere: siamo in pandemia e bisogna prima fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica in cui ci troviamo e solo poi iniziare a discutere d’altro. Nasce spontaneo un dubbio: è davvero per colpa di persone che cercano di vedere difesi i loro diritti che non si riesce a fronteggiare la crisi che sta per arrivare? Si può notare una tendenza comune nella propaganda di parte della politica, principalmente di destra, a creare una vera e propria “guerra tra poveri”. Ripetendo che una legge contro le discriminazioni non è indispensabile, e soprattutto non in tempo di pandemia, si crea naturalmente un nemico: le persone che quelle discriminazioni le subiscono quotidianamente e vorrebbero essere tutelati da una legge. E’ scoraggiante vedere come il dibattito viene portato avanti, visto che abbondano le strumentalizzazioni e le squallide e facili ironie. Ripetendo che parlare di una legge come il Ddl Zan tolga spazio a ben più importanti discussioni e iniziative per il sostegno economico, l’opinione pubblica tenderà ancora di più a polarizzarsi su questi temi. A perderci è sempre la parte della società che di quei diritti avrebbe un gran bisogno, e prova a rivendicarli da anni. Andando ad analizzare ancora più a fondo la questione, risulta chiaro sia più semplice minimizzare una legge come quella in questione che ammettere la mancanza di un accordo, né nel perimetro governativo né con le opposizioni, sui temi più importanti.
La distinzione tra i diritti civili e quelli sociali viene, in qualche modo, resa una competizione, come se il riconoscere gli uni levi tempo e interesse nella lotta al raggiungimento degli altri. Questa rimane una tattica molto abusata, similmente a quanto accade con il dibattito politico sulla questione migratoria. Il leitmotiv è sempre lo stesso. Ne abbiamo parlato con Simone Alliva che ha appena pubblicato “Fuori i nomi” (edito da Fandango). “Il mio libro parla della storia del movimento Lgbt italiano” ci racconta, “dalla nascita del F.U.O.R.I. [Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano], attraversa moltissime altre associazioni che hanno fatto la storia di questo paese. Sono interviste ai protagonisti che hanno cercato di prendere l’Italia e portarla lontana in un tempo di accettazione e non tolleranza, di rispetto e non odio.” Commentando ciò che è avvenuto storicamente, dice: “In ogni tempo il benaltrismo è sempre stato il paravento degli imbarazzi pavidi. Bisogna pur cominciare da qualcosa, invece: il meglio è sempre nemico del bene. Bisogna ricordare che le persone Lgbt sono persone. Anche loro vivono problemi legati all’economia, alla sanità ecc. Le discriminazioni multiple pesano. In genere se sei discriminato per il tuo orientamento sessuale o identità di genere, il mondo pesa di più sulle tue spalle. Assicurare uguali diritti serve soprattutto alle classi sociali meno agiate. Nella storia di questo paese essere apertamente una persona lgbt è sempre stato, in qualche modo, un privilegio per chi poteva permetterselo, per denaro o status o perché viveva alla corte di qualche potente. Il riconoscimento di diritti va sempre a favore delle classi svantaggiate, le altre il diritto se lo comprano. […].”
Il Ddl Zan è stato presentato nel 2018, ma è rimasto ignorato fino alla formazione del governo Conte bis. Come prima raccontato, è stato subito approvato dalla Camera ed è bloccato al Senato da mesi solo a causa del cambio di maggioranza. La pandemia, invece che farle passare in secondo piano, ha acuito ancora di più le discriminazioni di stampo omo-transfobico. “Le persone Lgbt vivono in un tempo di guerra: nelle famiglie, nelle scuole, nei tessuti di prossimità.” Continua Simone Alliva, “i casi sono in aumento e spesso non vengono registrati. Dalle aggressioni fisiche alla violenza omo-transfobica che crea una barriera tra il mondo dei “normali” e quello dei “deviati”, per non parlare delle terapie riparative che vengono ancora oggi effettuate in Italia e che lasciano segni indelebili su moltissimi adolescenti. L’Italia oggi è l’unico tra i paesi fondatori dell’Unione Europea a non avere una legge che difenda le persone Lgbt dai crimini d’odio. Il riflesso è nella classifica stilata da Ilga Europe (associazione internazionale per i diritti LGBT presente all’Onu), l’Italia slitta al 35° posto della classifica dei Paesi Europei per politiche a tutela dei diritti umani e dell’uguaglianza delle persone LGBT+”.
Le radici dell’orgoglio
Il rapporto tra lotte civili e sociali è sempre stato fruttuoso e va avanti da tempo, portando spesso a risultati inaspettati. Lo sa bene Giorgio Bozzo, capo progetto di “Le Radici dell’Orgoglio”, un podcast che ripercorre la storia del movimento LGBTQIA+ italiano negli ultimi cinquant’anni. Il loro intento è quello di ricercare le fondamenta storiche di un termine molto usato dalla comunità LGBTQIA+, appunto “orgoglio”, per creare un patrimonio storico che la irrobustisca e la legittimi anche agli occhi degli altri. Resosi conto di questa mancanza, Giorgio Bozzo inizia più di trent’anni fa a raccogliere testimonianze di personaggi importanti che hanno fatto la storia di questo gruppo: figure interne ad esso o che lo hanno sostenuto (come una preziosa intervista fatta alla scrittrice e traduttrice Fernanda Pivano sulla sua attività nel F.U.O.R.I.).
In merito alla strategia d’opposizione delle destre al Ddl Zan, utilizzare il termine “criminalizzare” la lotta per il riconoscimento dei diritti può risultare sbagliato. Secondo Bozzo, infatti, questo verbo “rimanda a qualcosa di molto concreto. Criminalizzare un atto vuol dire considerarlo un reato, e un reato è qualcosa di regolato dal Codice penale. […]”. Riferendosi ai primi anni del Novecento dice: “La questione omosessuale non esisteva. Lo stile di vita era fortemente represso, addirittura molto spesso vilipeso dalla chiesa, dalla politica e dalla scienza.” Ci racconta del confino che era riservato agli omosessuali durante il regime fascista e di come, nello stesso momento, si provava a negare e oscurare la loro esistenza. Poi nacque il F.U.O.R.I. come reazione al modo in cui l’opinione pubblica parlava dell’omosessualità, precisamente dopo la recensione di un libro che raccontava di un caso di conversione verso l’eterosessualità. Continua a dirci: “l’arma attuale non è la criminalizzazione, ma la banalizzazione. I partiti di destra, paralizzano le istanze e banalizzano una rivendicazione. Se vuoi la banalizzazione è anche peggio della criminalizzazione, perché contro la criminalizzazione puoi agire con degli argomenti, contro la banalizzazione diventa molto difficile farlo politicamente. In questo modo ti riferisci alla parte meno attenta e più interessata a temi primari e fai credere a queste persone che occuparsi di un diritto degli omosessuali (e non solo di loro nel caso della legge Zan) sia distogliere da altro. Quando dicono “ho tanti amici omosessuali”, banalizzano la questione. Una volta c’era la volontà di opporsi, ora non si oppongono neanche più e fanno credere che la questione sia ormai risolta, anche se sappiamo che la realtà è diversa. Nella società esistono persone più deboli […].”
Nota che mostrare anche ai soggetti più fragili che esiste una storia, che ci sono state delle lotte anche per i loro diritti, può aiutarli a sentirsi meno isolati. “Devo difendere il ragazzino nato nel contesto più difficile, dove non c’è apertura rispetto all’argomento e che non può essere lasciato da solo a subire delle forme di bullismo. Poi la questione sessuale, in generale, non è una questione di pochi. Quando gli omosessuali nel ’71 hanno iniziato la lotta di liberazione, è vero che lo facevano per liberare se stessi dall’oppressione, dalla repressione e dalla negazione della loro identità, ma va detto – a distanza di cinquant’anni – che la lotta delle donne con il femminismo e la lotta degli omosessuali hanno alterato l’intera società. Oggi anche gli eterosessuali possono vivere in modo più completo e facilitato il proprio desiderio”. Bozzo definisce soggetto debole anche chi vive ancora un’oppressione o il timore, non essendosi ancora dichiarato. Si parla quindi di una tutela per tutte le persone. “E’ troppo facile banalizzare” dice, “è troppo facile dire che non serve una legge. La realtà è diversa. La realtà è che se la legge corregge qualcosa di storto, allora è buona. Questa non avrebbe senso se non ci fossero atti di omofobia, bifobia e transfobia. Visto che esistono, la legge serve.”
Articolo di Jacopo Babuscio e Ginevra Falciani