Palazzo Nardini

 

Anno di costruzione: 1479

Anno di abbandono definitivo: 2010

Valore: 37,5 mln (2003)

Superficie: 5.650 mq

 

Palazzo Nardini è probabilmente uno degli esempi più tristi e barocchi di impossibilità, da parte di un’amministrazione, di rendere una sua ricchezza disponibile alla cittadinanza. Un tesoro architettonico, artistico e storico lasciato a marcire nell’indifferente bellezza del centro di Roma: Palazzo Nardini è stato persino il centro propulsivo della vita romana rinascimentale, ed è diventato un tempio di polvere per ampie fette del ‘900 e per quasi tutti i primi vent’anni del duemila.

 

Gli scherzi del destino

Il Palazzo dà il nome alla via in cui si trova, al civico 39. Via del “Governo Vecchio” è tale proprio perché, a circa mezzo chilometro da Castel Sant’Angelo il cardinale Stefano Nardini fece erigere, su indicazione del Papa Sisto IV, una struttura per la carica che ricopriva: il Governatorato di Roma. Di paternità sconosciuta (il nome più noto a cui viene attribuita la costruzione è il Bramante; secondo altre fonti il progetto sarebbe di Meo del Caprina o di Giacomo da Pietrasanta) viene eretto tra il 1473 e il 1479. Ampiamente rimaneggiato a metà del Cinquecento (e probabilmente donando al Palazzo l’aspetto che possiede oggi), tra il XVI e il XVII secolo avrà tra le più svariate funzioni, e prevalentemente quella di ospedale. Ritornerà ad essere sede principale del Governatorato di Roma su volere di Papa Urbano VIII nel 1627, e resterà tale per un altro secolo abbondante. Nel 1755, con la decisione di trasferire tutte le attività di governo a quello che oggi è Palazzo Madama, il Nardini verrà relegato a un ruolo secondario. E, nonostante i romani ancora pensino che nelle sue stanze si eserciti il potere, già nell’immediato post-trasferimento viene dato un indizio delle intenzioni del governo papale di Roma: la proprietà del Palazzo viene frazionata, e alcuni suoi locali vengono dati in affitto. Per il resto, finché i Papi a Roma sommano potere temporale e potere spirituale, poco altro. Francesco Vespignani compie una nuova opera di ristrutturazione, che però non fa altro che accelerarne il decadimento architettonico e complicarne la struttura, sempre meno unitaria e coerente con il disegno originario.

Il 20 settembre 1870 a Roma, com’è noto, inizia a cambiare tutto, e Palazzo Nardini viene coinvolto nell’opera di cambiamento della nuova capitale del Regno d’Italia. Di lì a poco, viene nuovamente ristrutturato per ospitare gli uffici della Pretura penale del Regno prima e della Repubblica poi. Per tutta la prima metà del Novecento trova più impieghi, da sede per l’educatorio femminile Vittoria Colonna a quello di rifugio dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1957 il Comune di Roma decide che la capitale ha bisogno di un nuovo complesso giudiziario, e nel giro di un decennio tutte le funzioni portate avanti al Nardini vengono spostate alla nuovissima città giudiziaria di Piazzale Clodio.

Viene salvato dall’abbandono una prima volta nel 1976: il Movimento per la Liberazione della Donna lo occupa e lo trasforma la prima Casa Delle Donne, uno degli esperimenti femministi più interessanti ed estremi di quegli anni. Durerà fino al 1987: dopo lo sfratto si trasferiranno alla storica sede del buon Pastore. L’abbandono rientra al Nardini per non uscirne quasi più.

Il terzo millennio

Nel 2003 la Regione Lazio, sotto la presidenza di Francesco Storace, acquista dalla Comunione delle Asl Palazzo Nardini per 37.520.000 euro (secondo la Repubblica Cronaca di Roma, 13 aprile 2018) il quale, con atto trascritto il 13 gennaio 2004, viene acquistato dalla Regione Lazio.

A giugno scorso risale la sentenza storica del Tar che annulla la vendita di Palazzo Nardini al fondo di investimento immobiliare Invimit. Per comprendere l’esito tra questi due estremi, bisogna guardare al 2015 quando, dopo 5 anni di totale abbandono da parte delle istituzioni – con il subentro della giunta Polverini nel 2010 tutti i lavori di restauro e l’investimento da 6 milioni di euro avviati nel 2008 dall’assessore Rodano della giunta Marrazzo erano stati sospesi – la Regione Lazio ha richiesto al MIBACT l’autorizzazione per consegnare la struttura a Invimit. Una volta rilasciato il nulla osta per l’alienazione, il fondo immobiliare ha messo il complesso sul mercato e nell’ottobre 2017 il Consiglio di Amministrazione ne ha deliberato l’aggiudicazione ad una società privata che intendeva realizzarvi un resort di lusso. Ma nell’aprile 2018 la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Roma – sollecitata dalle stesse associazioni che dal 2014 lanciarono appelli per il restauro al presidente della Regione Zingaretti e al Ministro ai beni culturali Franceschini – ha avviato un nuovo procedimento per la “dichiarazione di interesse particolarmente importante dell’immobile in oggetto”, e a luglio 2018 la Commissione Regionale per la Tutela del Patrimonio Culturale del Lazio ha approvato la riformulazione del vincolo su Palazzo Nardini. Appena un mese prima, il 9 giugno 2018, Scomodo realizzava un tentativo di occupazione dell’edificio per la sesta Notte Scomoda, allestendo sulle mura del palazzo una mostra, e lanciando un giro di occupazioni di 72 ore. Durante l’occupazione, il Palazzo fu aperto al pubblico per la prima volta da anni.

Così, a quasi un anno di distanza dalla ratifica da parte della Commissione dell’inalienabilità dell’edificio, il TAR a giugno 2019 ha annullato la vendita dell’immobile, riaffermando l’efficacia dei vincoli sul nucleo principale dell’edificio di via del Governo Vecchio. Resta viva tuttavia l’incognita di un ricorso al Consiglio di Stato anche da parte della Regione Lazio. Il 10 giugno le associazioni si sono rivolte quindi ancora una volta al Presidente Zingaretti, chiedendo di non impugnare la sentenza del TAR e di favorire la nascita nello storico palazzo di un nuovo grande Polo culturale romano.

Già subito dopo il trasferimento del Governatorato viene dato un indizio sul destino di Palazzo Nardini: la proprietà viene frazionata, e alcuni suoi locali vengono dati in affitto

 Il CdA di Invimit ne ha deliberato nel 2017 l’aggiudicazione ad una società privata che intendeva realizzarvi un resort di lusso

Articolo di Susanna Rugghia e Pietro Forti