Pesticidi al Lavoro: a mani nude

18/02/2022

 

#PesticidesAtWork è un’inchiesta collaborativa sulle conseguenze sanitarie per gli agricoltori che impiegano i pesticidi. L’inchiesta è coordinata da Investigative Reporting Denmark e Le Monde. Partecipano Tygodnik Powszechny (Polonia), Ostro (Croatia e Slovenia), De Groene Amsterdammer (Olanda), Ippen Investigativ (Germania), TV2 (Danimarca), Marcos Garcia Rey (Spagna) e The Midwest Center for Investigative Reporting dagli Stati Uniti. In Italia, Scomodo è in partnership con IrpiMedia.

«Il caporale o il datore di lavoro passa con il vaporizzatore, ovvero una botte piena di veleni e acqua, il cui contenuto viene poi spruzzato in aria e loro si fanno il bagno. Alcuni mi hanno raccontato che hanno delle irritazioni cutanee, altri iniziano a perdere liquidi dal naso, a lacrimare, a tossire. Fare tutto questo per 14 ore al giorno quasi tutti i giorni significa vivere sotto una pressione costante, prima o poi ti rompi». Marco Omizzolo, sociologo esperto di sfruttamento in agricoltura di lavoratori migranti, ha raccolto centinaia di testimonianze dei cosiddetti “bagni di veleno” a cui i braccianti in Italia sono sottoposti quando i campi vengono trattati con i pesticidi.

Nonostante i numerosi studi scientifici che riconoscono il nesso tra alcune patologie (fra cui il Parkinson e il tumore alla prostata) e le sostanze attive contenute nei fitofarmaci, i dati sanitari sui lavoratori scarseggiano. Come raccontato nella scorsa puntata di #PesticidesAtWork, il numero di lavoratori agricoli che si sono ammalati o sono morti in Europa di queste malattie rimane sostanzialmente sconosciuto. 

A contribuire all’opacità rispetto ai dati italiani sulle malattie correlate all’uso dei pesticidi c’è, in particolare, una cronica mancanza del personale che dovrebbe svolgere i controlli: ispettori del lavoro, forze dell’ordine (GdF e Nas), ispettori Inps e Inail, ispettori regionali dei fitofarmaci. Tutte categorie che, come hanno spiegato a IrpiMedia diverse fonti del settore, sono sotto organico e non riescono a controllare soprattutto le aziende più piccole, le più numerose nel panorama italiano e le più esposte. In Italia sono 1.6 milioni le aziende agricole, ovvero tutte quelle imprese che svolgono attività relative all’agricoltura. Poco più di un terzo del totale hanno un titolare che è «unità economica non attiva», per il quale il settore agricolo non è l’unica professione. Un altro 30% delle aziende agricole è a conduzione familiare e ha dimensioni molto piccole, sotto i due ettari. L’Ispettorato nazionale del lavoro ha spiegato a Scomodo che solo 260 ispettori (dati 2020) si occupano della categoria Salute e sicurezza, in cui rientrano anche il mancato uso di Dpi e la mancata formazione dei lavoratori. Per il settore agricolo, le violazioni in materia di Salute e sicurezza accertate dall’Inl nel 2020 sono state 660. «Si sta cercando solo adesso di incentivare la conoscenza e di migliorare le condizioni di prevenzione alla sicurezza nell’uso dei fitofarmaci», spiega l’agronomo Carlo Antellini, formatore di corsi Inail per l’uso dei fitofarmaci. Tuttavia, «servirebbero più controlli». 

Da alcuni casi giudiziari è possibile comunque ricostruire il modo in cui alcune aziende hanno gestito i fitofarmaci negli ultimi anni. Si tratta di processi in cui l’imputazione è sfruttamento lavorativo in agricoltura, in cui – collateralmente – è stato investigato l’uso di pesticidi. 

 

Da Cuneo a Latina

I dati del Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo dell’associazione “AdiR – L’altro diritto” aggiornati al 2020 riportano un solo caso, a Saluzzo, in cui i braccianti agricoli entravano a contatto con i fitofarmaci – sia nei campi che nei magazzini – senza alcun tipo di dispositivo di protezione personale. L’inchiesta, denominata operazione “Momo”, è iniziata nel maggio del 2019 sotto la guida della Procura di Cuneo. Un presunto caporale era stato arrestato, mentre due imprenditori erano finiti ai domiciliari con l’accusa di sfruttamento lavorativo. Durante il processo, iniziato a settembre 2020 e ancora in corso, gli imprenditori hanno rigettato l’accusa di sfruttamento, sottolineando di non aver mai effettuato trattamenti fitosanitari mentre i lavoratori si trovavano nei campi.

Ad aprile 2021, in provincia di Latina, sette persone – fra imprenditori agricoli e presunti caporali – sono state arrestate con l’accusa di associazione a delinquere dedita allo sfruttamento e all’estorsione. L’operazione, denominata “Job Tax”, è stata condotta dai Nas, con il coordinamento della Procura di Latina. Agli indagati è stato contestato l’impiego illegale di pesticidi, anche vietati. A novembre 2021 la Cassazione ha confermato gli arresti per tutti gli indagati.

L’operazione “Momo” a Cuneo e l’operazione “Job Tax” a Latina hanno in comune un contesto di presunto sfruttamento lavorativo, un minimo comune denominatore che fa da sfondo all’impiego di pesticidi senza protezioni per i lavoratori. Il fenomeno, come indicano le inchieste giudiziarie, appare diffuso in tutta Italia. Secondo Omizzolo, «a livello nazionale ci sono stati interventi soprattutto delle forze dell’ordine delle diverse procure. Hanno certificato l’esistenza del fenomeno sul piano investigativo ed è un dato interessante che riguarda sia il sud che il nord Italia, ovvero forme di economia, di sviluppo e produzione agricola diverse, ma spesso caratterizzate dall’utilizzo di fitofarmaci in quantità eccedente quella legale o l’utilizzo di fitofarmaci illegali».

 

A diretto contatto con i veleni

Durante il processo di Cuneo, il presunto caporale, Tassembedo Moumouni – dal cui soprannome, “Momo”, prende il nome l’inchiesta – interrogato dal Pubblico Ministero Carla Longo, spiega che i lavoratori non avevano alcun tipo di dispositivo di protezione personale. Moumouni racconta di non aver «mai» ricevuto guanti o occhiali protettivi, e spiega come, mentre i braccianti lavoravano nei campi, venivano sparsi fitofarmaci tutto intorno. «Quindi, voi lavoravate nella raccolta e… in altre zone o nella stessa zona dove eravate voi si buttava il diserbante?» domanda il PM. «Nella stessa zona – spiega Moumouni –. Stiamo lavorando in questa fila, lui passa qua, nella fila si butta. Qualche volta ci spostiamo solo due metri e poi ritorniamo».

Questo viene confermato da uno dei lavoratori costituitisi parte civile nel processo. Il bracciante, originario del Burkina Faso, spiega che sostanze antiparassitarie venivano irrorate nei campi mentre, in contemporanea, veniva effettuata la potatura. «Ogni tanto – racconta – il prodotto toccava anche loro». I lavoratori dormivano nello stesso magazzino in cui i pesticidi venivano stoccati, «davanti a quella porta c’era pure un segno, con scritto “pericoloso”», e gli stessi pesticidi venivano poi sparsi «mentre loro lavorano». Tuttavia, due lavoratori interrogati come testimoni, affermano che i trattamenti fitosanitari venivano effettuati, ma non quando i lavoratori erano presenti sul campo.

Nelle carte dell’operazione “Job Tax”, invece, i proprietari di un’azienda agricola di San Felice Circeo, in provincia di Latina, vengono accusati di aver sfruttato manodopera straniera – di nazionalità bengalese, indiana e pakistana –, facendogli eseguire anche trattamenti con fitofarmaci, nonostante i lavoratori stessi non fossero in possesso dell’autorizzazione all’utilizzo di prodotti fitosanitari. Si tratta del cosiddetto “patentino”, che viene rilasciato dopo la frequenza di un corso di formazione e il superamento di un esame. Per i lavoratori agricoli è obbligatorio.

Dalle carte emerge come gli stessi proprietari avessero impiegato un cittadino indiano senza permesso di soggiorno, Kumar Ravi, per «compiti strategici nello svolgimento dell’attività agricola», fra cui l’«impiego fitofarmaci nelle colture», senza che questi fosse abilitato all’utilizzo dei pesticidi, né tanto meno «formalmente istruito».

Ancora i proprietari, insieme all’agronomo dell’azienda agricola, sono accusati di aver “adulterato” gli ortaggi coltivati, nello specifico ravanelli, con pesticidi non autorizzati, rendendo le colture «pericolose per la salute pubblica». L’agronomo avrebbe fornito indicazioni sulle tempistiche in modo che dalle analisi non risultasse l’uso di prodotti che, secondo le valutazioni della polizia giudiziaria, erano «estremamente pericolosi per la salute pubblica». «All’interno di un locale pozzo artesiano – si legge nei verbali di perquisizione – sono stati rinvenuti e sequestrati prodotti fitosanitari risultati non consentiti sulle colture in atto». 

Durante le ricerche dei Nas, «i responsabili aziendali […] freneticamente si adoperavano per occultare altre confezioni di fitofarmaci non autorizzati per l’impiego sui ravanelli». Nei certificati di analisi che l’azienda effettuava sui propri prodotti, la polizia giudiziaria troverà concentrazioni di pesticidi più alte del consentito. Questo fatto, scrive il Giudice per le indagini preliminari, è particolarmente significativo considerando «che lavoratori dipendenti privi della prescritta autorizzazione risulteranno essere adibiti all’impiego di fitofarmaci vietati nell’utilizzo sulle colture».

 

Pericolosi o vietati, ma in circolazione

Dalle intercettazioni emerge che lavoratori senza abilitazione né formazione – e quindi verosimilmente senza dispositivi di protezione personale – venivano impiegati in trattamenti fitosanitari. Al telefono con Kumar Ravi, uno dei soci dell’azienda agricola domanda «Tu capace sicuro?». Alla risposta affermativa del bracciante indiano, l’imprenditore detta le istruzioni con i quantitativi di fitofarmaci da irrorare: «1,5 litri di Reldan» e «85 di Butisan». «[…] tu mi raccomando non ti sbaglia’ mai a misura’ la medicina eh, il Reldan e Butisan eh» si preoccupa al telefono l’imprenditore, che dopo le rassicurazioni del bracciante aggiunge: «Eh, non fare cazzate, perché dopo esci quando fai analisi sopra i ravanelli esce fuori io ammazzo te eh!».

Il Reldan è un insetticida a base di Chlorpyrifos-Methyl. La Commissione Europea ha confermato, il 10 gennaio 2020, la decisione degli stati membri di non rinnovare l’autorizzazione di prodotti contenenti Chlorpyrifos-Methyl, per la sua possibile genotossicità e neurotossicità. All’epoca delle intercettazioni dell’operazione “Job Tax” (2019) il prodotto non era ancora stato vietato. Uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista Environmental Health ha revisionato test di tossicità forniti dai produttori di pesticidi a base di Chlorpyrifos e Chlorpyrifos-Methyl. Gli studi finanziati dall’industria avrebbero dimostrato la mancanza di «effetti selettivi sul neurosviluppo», persino «in caso di esposizioni elevate». Tuttavia, secondo i ricercatori, gli stessi studi contengono presentano problemi che li rendono inappropriati a «rivelare effetti reali», tra cui «un’esposizione troppo bassa». Ciò ha conseguenze sulla «capacità delle autorità di regolamentazione di effettuare una valutazione valida e sicura di tali antiparassitari». In sostanza, gli studi dei produttori non consentono di valutare adeguatamente la pericolosità del prodotto. Fra la pubblicazione dello studio e la revoca di prodotti a base di Chlorpyrifos-Methyl sono passati due anni.

In Italia la maggior parte dei prodotti commercializzati come “Reldan” sono stati revocati fra gli anni ‘90 e i primi anni 2000. Soltanto per il Reldan 22 – lo stesso trovato nell’azienda agricola di Latina durante una perquisizione dei NAS a dicembre 2019 e revocato a gennaio 2020 – è stato concesso lo smaltimento fino all’aprile dello stesso anno. Come dichiarato dal Ministero della Salute in una richiesta di accesso civico generalizzato presentata da Scomodo, «lo smaltimento si applica ai lotti di prodotti fitosanitari che riportano una data di produzione antecedente a quella del provvedimento di revoca del prodotto stesso o di modifica delle condizioni di autorizzazione del prodotto oggetto dello smaltimento». Tuttavia, «il dato riferito al quantitativo dei prodotti fitosanitari da smaltire non è oggetto di specifica valutazione o comunque non a conoscenza dell’Ufficio, in quanto afferisce alla gestione interna dell’azienda che detiene la proprietà del prodotto». Il Ministero, pertanto, non è a conoscenza delle quantità di pesticidi (proibiti in quanto pericolosi) le cui scorte possono comunque essere utilizzate per molti mesi dopo la revoca. La conferma arriva da Agrofarma – Federchimica: l’associazione di categoria non è in grado di sapere quanti lotti erano nei magazzini al momento della revoca, né quanti siano stati effettivamente smaltiti. Lungo la filiera, infatti, ci sono altri attori, fra cui le imprese produttrici e i rivenditori. I consorzi agrari e le aziende produttrici contattate non hanno fornito chiarimenti.

Dalle intercettazioni di “Job Tax” emergono ulteriori dettagli rispetto all’utilizzo di pesticidi ormai vietati da tempo. Intercettato, l’agronomo dell’azienda spiega preoccupato a uno dei soci: «l’altra volta quando abbiamo fatto pulire il magazzino degli attrezzi io non so chi l’ha pulito hanno lasciato un cartone di SCLEROSAN dentro». Come risulta dalla banca dati dei prodotti fitosanitari del Ministero della Salute, l’ultimo prodotto in commercio col nome di Sclerosan è stato revocato nel 2009. L’esposizione al Dicloram, il principio attivo contenuto in questo fungicida, «può danneggiare la riproduzione e/o lo sviluppo».

Come sintetizza il Gip, «le sostanze rinvenute sono risultate non utilizzabili nelle colture di ravanelli oltre che caratterizzati da un profilo di “conclamata pericolosità”, tanto da aver determinato per talune una revoca dell’autorizzazione all’uso (è il caso del Clorpirifos Metil)». Nonostante ciò, l’utilizzo di questi pesticidi «in maniera sistematica e diffusa», è pienamente consapevole: secondo il Gip, infatti, tutti gli indagati «sono a piena conoscenza del fatto che se tali sostanze attive vengono rilevate dalle analisi verrebbe bloccata la commercializzazione del prodotto».

Quello che emerge dai casi giudiziari di Latina e Cuneo è un quadro in cui si intrecciano lavoro nero, sfruttamento e mancato rispetto delle norme di sicurezza. Il sociologo Marco Omizzolo ne ha avuto esperienza diretta: «io ho lavorato nelle campagne pontine [nella stessa provincia di Latina in cui è stata condotta l’operazione “Job Tax”, ndr] per diversi mesi come infiltrato – racconta a Scomodo – accanto ai braccianti immigrati, soprattutto indiani. Una delle cose per me più inquietante è l’assenza di qualunque misura di sicurezza, e quando dovevamo distribuire i veleni lo facevamo senza alcun genere di protezione, già dieci anni fa. Noi braccianti andavamo nelle campagne anche d’inverno indossando una sciarpa per proteggerci dal freddo, la sciarpa diventava la nostra mascherina anche quando diffondiamo quei veleni. Quella sciarpa si trasformava in una sorta di aerosol di veleno per i lavoratori, perché si impregna di quelle sostanze. Non c’era quindi l’effetto protettivo, al contrario, diventava un bagno tossico di quei prodotti».

 

Scarsa istruzione e gestione familiare

Dai recenti casi giudiziari emerge come spesso ci sia scarsa attenzione alla sicurezza nel settore agricolo. In concreto, questo spesso si traduce in mancato utilizzo dei Dpi durante i trattamenti fitosanitari e in pratiche di stoccaggio dei fitofarmaci scorrette e pericolose. 

L’ultimo rapporto Istat sull’agricoltura (dati 2012, il prossimo censimento verrà pubblicato a giugno 2022) sottolineava che, nelle aziende agricole, «la formazione dei capi azienda è decisamente ancora molto legata all’esperienza di campo e meno al grado di istruzione conseguito. Il 71,5% dei capi azienda ha un livello d’istruzione pari o inferiore alla terza media (70,8% per gli uomini e 73% per le donne). Solo il 6,2% dei capi azienda è laureato e inoltre solo lo 0,8% risulta aver acquisito una laurea ad indirizzo agrario».

Roberto Gismondi, Dirigente del Servizio Statistiche e rilevazioni sull’agricoltura di Istat, pur sottolineando che i dati del nuovo censimento sono ancora in fase di elaborazione, spiega di essere certo che «in dieci anni la quota dei conduttori fino alla terza media sia molto diminuita». Sulla base dei dati disponibili, conduzione familiare e scarso livello di istruzione sono due fattori che possono spiegare la scarsa attenzione alla dimensione della sicurezza durante i trattamenti fitosanitari.

 

Hanno collaborato:

  • Stéphane Horel (Le Monde)
  • Marcos Garcia Rey
  • Eva Achinger (BR),
  • Daniel Drepper (Ippen Investigativ)
  • Katrin Langhans (Ippen Investigativ)
  • Staffan Dahllöf
  • NIls Mulvad (Investigative reporting Denmark)
  • Krzysztof Story (Tygodnik Powszechny)
  • Ante Pavić (Oštro Croazia)
  • Matej Zwitter (Oštro Slovenia)
  • Rasit Elibol (De Groene Amsterdammer)
  • Katharine Quarmby
  • Gaia Buono, Nicolò Benassi (Scomodo)
In partnership con:

  • IrpiMedia (Italia)
  • Le Monde (Francia)
  • Ippen Investigativ (Germania)
  • BR (Germania)
  • Investigative reporting Denmark (Danimarca)
  • Oštro (Slovenia/Croazia)
  • Tygodnik Powszechny (Polonia)
  • TV2 (Danimarca)
  • De Groene Amsterdammer (Olanda)

Con il sostegno di:

  • Journalism Fund
Articolo di Edoardo Anziano, Lorenzo Bagnoli, Francesco Paolo Savatteri; hanno collaborato Gaia Buono, Nicolò Benassi