Il porno a un bivio

La forza politica delle nuove alternative etiche

21/05/2021

Porno e sesso non sono la stessa cosa

Lo scorso 17 marzo, otto dipendenti asiatiche di un centro di massaggi ad Atlanta, Florida, sono state uccise a colpi di pistola. L’omicida ha dichiarato di voler attaccare l’industria del porno, accusata di avergli creato una dipendenza dal sesso. Questa azione violenta ha riportato al centro del dibattito pubblico la tendenza razzista all’ipersessualizzazione delle donne asiatiche e, parallelamente, nuove riflessioni sul ruolo dei porno nella società attuale, dal momento in cui gli stereotipi sono il nucleo intorno a cui si formano le storyline dei video. 

In questi anni, sulla scia di una società ogni giorno più fluida e del movimento di liberazione sessuale, il porno si è imposto come un oggetto culturale rappresentativo dei nuovi valori della modernità. Eva Illouz, nel libro Il nuovo ordine amoroso. Donne, uomini e “Cinquanta sfumature di grigio” (2013), suggerisce: «La sessualità è diventata cruciale per la scoperta, per la formazione e per l’autorealizzazione del Sé». In altre parole: l’ordine sociale è organizzato intorno alla sessualità e fare sesso significa riprodurne le strutture culturali. È possibile notare, dunque, come la sessualità sia una medaglia che presenta due facce, diverse ma complementari: da un lato è un luogo di autocoscienza e identità, dall’altro è il terreno dove certi valori vengono mantenuti o ridefiniti. Infatti, contenendo elementi essenziali della caratterizzazione di un membro della società moderna, il sesso diventa un barometro di valori politici. 

Cindy Gallop, fondatrice della piattaforma Make Love Not Porn, invita il suo pubblico a riflettere sull’industria durante un Ted Talk, rendendo il dibattito a riguardo virale. La public speaker inglese non dà nessun giudizio morale, bensì propone diverse considerazioni riguardo al sesso. Secondo Gallop, si tratta dell’esperienza umana che abbraccia il più vasto arco di inclinazioni e gusti personali. Ci si aspetterebbe quindi dalla pornografia una grandissima varietà nelle sue proposte. Invece, dice Gallop, «il porno è un mondo visto da una sola prospettiva». Ci viene presentato come “il modo in cui il sesso è”, quando invece non è necessariamente così. 

Scorrendo la schermata iniziale di un sito porno mainstream ci si rende facilmente conto di come sia un mondo guidato, fondato e diretto da uomini. I siti, dunque, prodotti della cultura patriarcale, non si limitano solo a riprodurre la stessa: tutte le sue sfaccettature quotidiane, già anacronistiche nell’agire umano, sono esasperate a livelli quasi surreali, lontani dalla realtà. 

 

Le problematicità della pornografia

È quindi possibile risalire al problema principale della pornografia nell’essere – per la maggior parte – indirizzata a un pubblico maschile. Ciò comporta una serie di criticità nella rappresentazione dei corpi femminili e delle dinamiche che le coinvolgono.
Il termine “pornografia” deriva dal greco antico pòrne (prostituta) e graphìa (disegno) e significa letteralmente “disegno di una prostituta”. Già dall’etimologia si può notare come le immagini pornografiche siano influenzate da uno sguardo maschile eterosessuale, che sovente ritrae la donna in una prospettiva sessista.
Nella pornografia contemporanea lo sbilanciamento di potere tra uomo e donna è infatti fortissimo: quest’ultima è oggettificata e relegata a un ruolo subordinato alla controparte maschile, costretta a veri e propri atti violenti. Le donne sono spesso legate, torturate, stuprate, molestate e umiliate, e la situazione degenera nel caso in cui la protagonista sia nera, poiché entrano in gioco anche le politiche razziste dell’industria pornografica.
Un articolo del 2009 del National Black Law Journal dell’UCLA mostra come lo sfruttamento del corpo delle attrici nere è infatti qualitativamente diverso da quello rivolto alle colleghe bianche: mentre queste ultime sono dimesse e accondiscendenti, le prime calcano lo stereotipo della “donna dominatrice”, lussuriosa, sadica e animalesca. L’ultimo aggettivo merita particolare attenzione: se le attrici bianche sono ridotte a semplici “oggetti”, quelle nere si trovano anche a dover assecondare l’idea della supremazia bianca, venendo poste allo stesso livello di un animale.
Nella sua opera The Color of Kink: Black Women, BDSM and Ponography (2016), l’autrice Ariane Craze sottolinea come questa prospettiva si traduce in atti sessuali molto più degradanti: le attrici nere sono generalmente coinvolte in rapporti sessuali spacciati per bondage, ma che sono in realtà situazioni di schiavitù e sottomissione estremamente violenta.
Una sorte simile spetta agli attori neri, resi protagonisti di atti sessuali talvolta brutali. Il sottotesto è quindi in linea con il retaggio colonialista di una loro presunta pericolosità per la donna bianca – perché raramente i protagonisti sono due personaggi neri.
Le discriminazioni non sono solo nelle rappresentazioni, ma anche nelle opportunità lavorative. In un’intervista a “Rolling Stone”, l’attrice porno Ana Foxx ha infatti ammesso di aver ampliato il proprio catalogo per avere più offerte di lavoro, aggiungendo categorie quali sesso anale e gang bang. Foxx lamenta inoltre che ad attori e attrici nere vengano assegnati meno ruoli rispetto ai colleghi bianchi poiché, a detta dei produttori, non vendono abbastanza.
Essendoci così poche possibilità, questi interpreti si ritrovano spesso coinvolti nei progetti di quelle poche case produttrici che ingaggiano principalmente attori neri – come Blacked.com – ma che allo stesso tempo sfruttano preconcetti esplicitamente razzisti.
Ad esempio la stessa Foxx è apparsa, a inizio carriera, in una scena in cui le era chiesto di praticare del sesso orale a un uomo bianco che indossava una maglietta con la bandiera confederata.
Una differenza di trattamento sulla base razziale si trova anche sul fronte delle remunerazioni: una delle discriminazioni più presenti è la pratica per cui le attrici bianche dispongono di cachet più alti per scene interrazziali (IR) – soprattutto se per loro è la prima volta – in cui hanno rapporti sessuali con un attore nero. Non esiste però un equivalente per gli interpreti neri.
Molte persone del settore hanno visto nelle proteste del movimento Black Lives Matter un’opportunità di cambiamento, dato che le contestazioni che gli attori e le attrici nere portano avanti da anni sono state finalmente ascoltate in seguito alle pressioni dei social. Aziende come AVN e la già citata Blacked.com hanno infatti promesso di non usare più termini razzisti e offensivi nei titoli, come “BBC” (Big Black Cock) o “Interracial”, e di impegnarsi per scrivere trame più inclusive. Sfortunatamente, ciò non è ancora accaduto, mostrando come un cambiamento radicale sia molto più lontano di quello che si pensa.

 

Sex work: quali tutele contrattuali?

Sono molte le problematiche comuni ai vari tipi di lavoro sessuale esistenti. Il porno è uno di questi e come tale va considerato. Le persone che lavorano in questo mondo non vendono il proprio corpo, ma una prestazione che richiede competenze, capacità, esperienza. Il meccanismo è quello classico: in cambio di un servizio si ottiene un compenso, attenendosi alle clausole e ai punti di un contratto. Il lavoro deve essere quindi definito a livello legislativo, in modo tale che chi opera in questo settore possa godere dei diritti e debba rispettare i doveri previsti.

Lavorare nell’industria del porno oggi in molti Paesi significa trovarsi soli e sole di fronte a un sistema giuridico ostile o assente. La produzione e in alcuni casi perfino la fruizione di materiale pornografico è infatti criminalizzata in un gran numero di Stati; dove non penalmente perseguite, le stesse attività sono spesso soggette a serie restrizioni e, in ogni caso, non ricevono un’adeguata tutela legislativa. I e le sex workers di questo settore infatti spesso non riescono ad accedere a contratti che li proteggano efficacemente.

Secondo Georgina Orellano, attivista e sex worker argentina, nella prostituzione «essere irregolare significa essere inesistente come soggetto politico e di diritto» e, sebbene il diritto non possa rappresentare una soluzione del tutto efficace per abbattere le discriminazioni in campo, «è uno strumento» per combattere una battaglia che è in realtà culturale.

Un contratto valido potrebbe proteggere gli attori su molti fronti. Offrirebbe una garanzia da abusi e violenze, permetterebbe ad attori e attrici di avere condizioni contrattuali specifiche a cui fare riferimento e potrebbe farli accedere a una tutela contro discriminazioni fondate su etnia, sesso e altre caratteristiche. Infine se i e le sex workers fossero legalmente riconosciuti, oltre a vedere diminuita la stigmatizzazione del loro mestiere, otterrebbero un maggior potere di negoziazione e potrebbero associarsi per formare sindacati di categoria per tutelare collettivamente i propri interessi.

Si tratta, in ultimo luogo, di riconoscere il diritto di autodeterminazione. Citando il Manifesto dei/delle Sex Workers in Europa, elaborato e approvato da 120 sex workers di 26 Paesi diversi alla Conferenza Europea su Sex Work, Diritti Umani, Lavoro e Migrazione nell’ottobre del 2005 a Bruxelles, «il sex work è per definizione sesso consensuale. Il sesso non consensuale non è sex work; è violenza sessuale o schiavitù. Rivendichiamo il nostro diritto, in quanto esseri umani, di usare i nostri corpi in qualunque modo noi riteniamo e il diritto di instaurare relazioni sessuali consensuali indipendentemente dal genere o dall’etnia dei/delle nostri/e compagni/e, siano essi paganti o meno».

 

Le alternative dei vari femminismi

È chiaro, dunque, che la pornografia mainstream sia per certi suoi aspetti molto controversa, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione di certe dinamiche. Il porno ha creato un linguaggio che normalizza i modelli di mascolinità e femminilità, ma nel corso del tempo sono nate alternative che hanno invece tentato di decostruirli.

Da una parte troviamo il femminismo anti-porno, che lo vede come una forma di discriminazione sessuale: il materiale pornografico spettacolarizza l’oggettificazione del corpo femminile in favore di un pubblico maschile eterosessuale e bianco. Il movimento antiporno non condanna solo le condizioni lavorative, ma l’immaginario erotico evocato dalla pornografia nel suo complesso. Per certi aspetti questo femminismo coincide con il femminismo antisex, che vede il sesso stesso come violenza machista.

Un altro spazio è stato occupato dal  post porno, che ha come intento lo smascheramento dei codici della pornografia convenzionale, maschilista, razzista, abilista e la loro sovversione. Al centro c’è la rappresentazione di tutti i soggetti marginalizzati ed esclusi dalla pornografia mainstream, che fanno saltare tutti i codici narrativi ed estetici diventando protagonisti. Le persone trans, intersessuali, i corpi non conformi si riappropriano dello strumento pornografico per rimettere in discussione lo sguardo dominante. Non sempre l’obiettivo è quello di produrre eccitazione, spesso c’è solo la volontà di proporre nuovi immaginari.

Infine troviamo il porno etico e femminista, che ha come principali obiettivi la distruzione dello sfruttamento – come abbiamo visto è prassi nella sex industry – e l’educazione del pubblico a una sessualità vissuta in modo aperto e consapevole.

Secondo il collettivo bolognese Inside Porn: «Questo non significa ovviamente che il porno indipendente non voglia eccitare, ma il mezzo pornografico è portatore di nuovi discorsi come quello identitario, politico, etico, estetico. Non si tratta più di accontentare i gusti di un ipotetico “fruitore medio” o di inserire piccanti novità in catalogo per aprirsi a nuove fette di mercato, ma si tratta spesso e volentieri di raccontare attraverso il porno il proprio punto di vista sulla sessualità.»

Così, il piacere femminile riacquisisce centralità e le donne smettono di essere oggetti passivi concentrate per lo più nel procurare piacere agli uomini. Tutte le persone vengono rappresentate equamente e in modo rispettoso, senza essere ridotte a caratteristiche primarie come la taglia, l’età o l’etnia.

Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, invece, tutte le persone coinvolte sono consensuali, consapevoli di cosa è richiesto loro di fare in scena, sono sottoposte a test per le malattie sessualmente trasmissibili e possono scegliere che tipo di protezioni adottare.

Sulle piattaforme mainstream, invece, circa l’80% del materiale non è stato acquistato,o pubblicato col consenso di chi l’ha prodotto o recitato. Inoltre, poiché il porno è gratuito, gli utenti hanno iniziato a pretendere performance sempre più estreme, costringendo attori e attrici ad adattarsi, pur di ottenere lavoro. 

 

Il modello Erika Lust

In un Ted Talk del 2014, Erika Lust, tra le più importanti produttrici di film erotici indipendenti, racconta le sensazioni che ha provato le prime volte che ha visto film porno: eccitazione e disagio allo stesso tempo. Non le piacque il tipo di contrasto emozionale che le rimase addosso ed era curiosa di capire se la sua reazione fosse comune anche ad altri. Da quel momento iniziò il suo percorso di studio della pornografia: in ambito accademico e attraverso il confronto diretto con alcune persone. Questo ha portato al primo vero progetto della sua produzione, X Confessions. «In questo format il pubblico è parte attiva della community! Ogni mese scelgo due fantasie che sono state condivise in anonimo su XConfessions.com e le trasformo in film espliciti e accattivanti».

La chiave del lavoro di Lust, quindi, è sicuramente l’ascolto: della sua community, di sé e di tutti coloro che lavorano sul set, davanti e dietro la macchina da presa. «È molto importante per me. Io e il mio team ci assicuriamo costantemente che il set sia uno spazio sicuro dove i performer possano esplorare la propria sessualità in un ambiente sereno e rilassato». Per riprodurre la realtà del rapporto sessuale, il porno etico cerca di catturare l’intimità tra le persone coinvolte e spesso permette agli attori di scegliere partner con cui si sentono più a loro agio; molte volte gli attori già “fanno coppia” nella vita reale. Inoltre, non viene scritta una trama lineare e fissa, ma solo un “mood generale”, quindi i tempi e gli spazi di espressione vengono lasciati agli attori, garantendo un’estrema spontaneità. Le risate, gli imbarazzi, i suoni buffi e la goffaggine umana non sono nascosti ma mostrati in tutta la loro naturalezza; «Dico sempre agli attori di fare sesso come persone, non come pornostar».

Questa serie di valori che orbitano attorno al lavoro della produzione Lust si riflettono in un sito web curato e pensato per guidare lo spettatore nel vasto mondo delle sfumature del sesso, in maniera molto diversa dalle piattaforme mainstream dove le pubblicità clickbait e annunci bizzarri occupano tutto lo spazio. Importante, a questo proposito, è anche la scelta dei titoli. Questi sono orientati a indicare il tipo di intimità, le sensazioni e la connessione che caratterizza il prodotto piuttosto che gli elementi identitari degli attori. Ci spiega Erika: «Voglio che il pubblico apprezzi il film per la performance, piuttosto che per le caratteristiche fisiche degli attori. Allo stesso modo, voglio che gli attori si considerino al di fuori dei loro confini corporali e della loro apparenza, il loro genere o la loro etnia». D’altronde il porno, per essere etico, deve inevitabilmente riconoscere che la rappresentazione dei corpi, delle abilità, delle etnie e delle età ha una ripercussione sulle nozioni di desiderabilità nella società e l’unico modo per affrontare ciò è sostenere una narrativa positiva delle diversità, che vada oltre la “vendibilità dei corpi”. 

 

Diventare consumatori critici

Il progetto Lust va oltre la creazione di film indipendenti dai contenuti espliciti: ad esempio presso alcune università degli USA cura dei workshop con lo scopo di educare a una visione critica dei prodotti pornografici. Nel comunicato stampa che li accompagna si legge: «Dobbiamo ricordare ai giovani adulti che è giusto essere curiosi, ma, ancora più importante, è sapere come godere genuinamente del sesso e come avere un atteggiamento critico rispetto alla rappresentazione del sesso e del genere – anche nel porno». Se infatti il porno etico è un’ottima risposta ad alcune atrocità rappresentative del mondo mainstream, rimane ancora un prodotto di nicchia: per motivi culturali e soprattutto economici. La policy etica si estende infatti all’ambito retributivo, garantendo un adeguato compenso a tutti i lavoratori, il che si traduce in un obbligo di abbonamento per gli utenti. Il rischio è quello di portare avanti una produzione indipendente e alternativa accessibile solo a una piccola parte di pubblico, di solito già sensibile a questo tipo di temi e disposta a pagare per vedere film erotici che siano anche portatori di nuovi discorsi politici- tagliando fuori da questa rivoluzione coloro che per la prima volta si fanno fruitori di film espliciti. 

È necessario perciò diventare consumatori critici di porno, consapevoli di ciò che si sta guardando, da un punto di vista sia contenutistico che di produzione. Ciò sarebbe possibile grazie all’apertura di un dibattito pubblico sul tema, il cui obiettivo sia quello di decostruire l’immaginario pornografico tradizionale smascherandone i codici maschilisti, razzisti e abilisti; sovvertendo e sessualizzando lo spazio pubblico, dando voce e dignità sessuale a tutti quei soggetti esclusi, marginalizzati e umiliati dallo stesso. Momenti del genere sono da qualche anno istituzionalizzati nei corsi di porn literacy in vari ambienti accademici degli USA e del Nord Europa. In Italia l’iniziativa è nelle mani di realtà studentesche: è il caso del già citato collettivo Inside Porn. Formatosi nel 2016 quasi per caso, quando alle tre fondatrici viene data la possibilità di intervistare un pornoattore di professione, in poco tempo rafforza la propria identità e inizia a farsi spazio nell’ambito della ricerca. «La conferma di cosa volevamo diventare» ci spiegano «l’abbiamo avuta l’anno seguente al Porn Film Festival di Berlino, dove abbiamo scoperto che era possibile creare spazi in cui potersi confrontare liberamente, senza il timore del giudizio dell’altro, sul sesso e i rapporti che intrecciamo con l’altro. Questo è il motivo per il quale abbiamo poi deciso di far evolvere il nostro progetto da ricerca universitaria a progetto culturale a tutto tondo. (…) Il fatto di essere seguite da un professore dell’ateneo ci ha permesso di presentarci in veste accademica ai Festival e ai nostri interlocutori, favorendo il contatto e la conversazione». 

Il sesso, assieme a tutto ciò che gli orbita attorno – il piacere, sia maschile che femminile, le varie pratiche, la rappresentazione dei corpi, il consenso, il porno – deve diventare oggetto di dibattito pubblico. Nel momento in cui un tema considerato esclusivamente privato diventa politico e motivo di serio confronto tra gli individui, gli stigmi che la nostra cultura ha imposto nei suoi riguardi vengono meno e la concezione che si ha di questo cambia radicalmente. Il relativamente recente interesse dell’ambiente accademico su queste tematiche arricchisce il dibattito di spunti e riflessioni, ma soprattutto aumenta e legittima la curiosità in merito, spingendo auspicabilmente sempre più persone a prendere parte al dibattito, piuttosto che sottrarvisi. Il giudizio fa spazio alla conoscenza, il dialogo si sostituisce allo stigma: nuovi e vari orizzonti di realtà erotiche iniziano a farsi strada nell’immaginario collettivo.

Articolo di di Carlotta Vernocchi, Gaia Del Bosco, Francesca Maria Lorenzini, Federica Rossi, Mafalda Maria Solza, Nicoletta Conforti con la collaborazione di Margaret Lamanna