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Press play
Istantanea dell'ascesa tardiva dei podcast in Italia
Il Covid19 ci ha costretto a rimanere confinati nelle nostre abitazioni, il che ci ha portati immancabilmente a scoprire e riscoprire una serie di intrattenimenti che avevamo dimenticato, che non conoscevamo o che semplicemente non avevamo mai preso in considerazione.
Oltre Pornhub, che è felicemente corso incontro ai bisogni degli italiani, Netflix, Amazon Prime e la vasta galassia di giornali e riviste letterarie online, gli italiani hanno approfondito le loro conoscenze di un’altra forma d’intrattenimento attualmente sulla cresta dell’onda: il podcast. Ovvero un medium non proprio nuovissimo, considerando che i primi podcast nascono nel lontano 2005, ma che sta attualmente riscoprendo una seconda giovinezza grazie alla produzione di format e puntate tematiche sempre più elaborate e professionali.
Gli esempi più lampanti sono Veleno di Pablo Trincia, realizzato per Repubblica, o Morgana di Michela Murgia per Storielibere.fm. Podcast di questo calibro per qualità e innovazione hanno trainato l’offerta in Italia, contribuendo a trasformare il paese nel quinto per consumi a livello globale, coinvolgendo circa 2.700.000 italiani nell’ascolto quotidiano delle loro puntate preferite. Questo incredibile balzo in avanti dei contatti ha convinto moltissime star del mondo dello spettacolo e aspiranti tali a lanciarsi nella carriera di podcaster, ampliando notevolmente l’offerta online, nonostante molti di loro non abbiano poi nulla da dire.
E se il passato del podcasting era formato da personaggi quali Fabrizio Mele, che con il suo Alessandro Barbero al Festival della Mente ha trasposto le conferenze del noto storico in uno dei podcast più seguiti in Italia, oggi possiamo trovare personaggi come Fedez e Luis Sal che intervistano la nonna di Fedez insieme a Bello Figo. Un masterpiece di varietà pop dall’altisonante e roboante titolo (Muschio Selvaggio) di cui potevamo fare tranquillamente a meno, ma comunque stabile in Top 35 Italia su Apple Podcast. Questa new entry a gamba tesa, ci ha spinto a chiederci quale futuro si prospetta per il mercato dei podcast in Italia.
Ne abbiamo parlato con Rossana De Michele, fondatrice di Storielibere.fm, una delle tre piattaforme più seguite in Italia insieme a Storytel e Audible. La differenza, rispetto a queste ultime due, è che i contenuti su Storielibere sono assolutamente freeshare (disponibili gratuitamente), una caratteristica non indifferente. Lei ci ha offerto una lettura diversa della situazione:
“Ci sono due modi per strutturare i podcast: o strutturando uno storytelling di stampo narrativo, oppure costruendo il tuo programma radiofonico da scaricare on demand, che è esattamente quello che sta facendo Fedez. Questo, però, non è da considerarsi un male perché per fare in modo che l’intero sistema di podcast si sostenga, e che si sviluppi un mercato pubblicitario vero, i numeri devono salire. Il che vuol dire che devono esserci ancora più podcast per più tipi di pubblico.”
La risposta di Rossana apre gli occhi su un’altra realtà. In Italia molte aziende si stanno velocemente rendendo conto che l’inserimento di spot pubblicitari all’interno dei podcast, o podcast veri e propri a livello aziendale, non sono assolutamente un brutto investimento per poche semplici ragioni: l’inserimento di una pubblicità di 30-60 secondi è difficilmente skippabile su un file audio di circa 30 minuti e, soprattutto, creare un podcast “aziendale” con un marketing intelligente può dare un valore aggiunto alla propria azienda attraverso la realizzazione di contenuti per un pubblico ad hoc.
“L’importante – spiega Rossana– è che le aziende non facciano un marketing “ottuso”. Non deve esserci una ricerca del branding content dal punto di vista merceologico. Il racconto deve essere una condivisione di valori tra il narratore e l’azienda, il che, spesso e volentieri, può essere un’opportunità. Le call-to-action sfacciate non funzionano mai e sono respingenti.”
Una bella speranza anche se, almeno per il momento, non abbiamo una casistica sufficientemente ampia per poter ragionare su quanto le aziende italiane vadano in questa direzione. Uno dei primi tentativi è il podcast Prime Svolte commissionato dalla MINI, dove il centro gravitazionale della narrazione orbita intorno alla tematica della “trasformazione”. Non a caso, nello stesso periodo, MINI stava operando la sua transizione verso le macchine elettriche. Questo tipo di operazioni potrebbero risultare ad una prima occhiata l’unico modello di sviluppo sostenibile economicamente per quanto riguarda la fruizione di podcast gratuiti.
È anche vero che gli investimenti nel settore sono aumentati drasticamente negli ultimi mesi, portando, ad esempio, all’acquisizione da parte del colosso svedese Spotify della piattaforma Anchor (considerata la Youtube dei podcast) insieme a Gimlet Media, Parcast e The Ringer per la modica cifra di 400 milioni di euro. L’ingresso di Spotify nel mercato ha comportato un aumento vertiginoso della fruizione a livello internazionale ampliando ulteriormente il pubblico. L’assenza di app preimpostate in sistemi Android o il disinteresse pressocché totale di Google ha garantito a Spotify il posizionamento come piattaforma privilegiata per interazione tra utenti e podcaster, ponendolo come un gamechanger e come uno dei leader di mercato. Viene da chiedersi se sfrutteranno questa loro posizione per tentare di strutturare un monopolio duraturo. Nello specifico, da quando Anchor è diventata un’azienda satellite di Spotify, sempre più podcaster hanno subito legal strike per violazione del copyright musicale, portando alla chiusura diretta del canale (non della singola puntata), il che è un’operazione perlomeno “strana” in quanto l’effetto a lungo termine è il depotenziamento di Anchor in funzione della sua rivale Spreaker (che non è di Spotify).
A pensar male un’altra ipotesi spingerebbe a credere che sia un’operazione dettata dallo smembramento di un’azienda satellite per veicolare il traffico sulla casa madre e porsi come leader sempre più presente nel mondo dei podcast. A pensar male. Non è dato sapersi, l’unica certezza è che gli analisti comportamentali di Spotify, così bravi a matcharci con musiche che potrebbero piacerci, da più di un anno stanno studiando un algoritmo in grado di abbinarci ai podcast più adatti per i nostri gusti. Il che risponderebbe ad uno dei problemi più gravi per la gran parte dei podcaster, o aspiranti tali, attualmente in circolazione: the discovery problem ovvero “come farsi trovare”. L’arma migliore fino all’ingresso di Spotify nel mercato era il passaparola o l’auto sponsorizzazione, mezzi desueti e poco producenti che il colosso svedese sta velocemente facendo scomparire, il tutto coadiuvato dal più grande terrore delle emittenti radio classiche: l’avvento del 5G.
“Certo, Spotify sta sfruttando bene il momento. Ma tieni conto che l’arrivo del 5G in teoria cambierà tantissimo la fisionomia del panorama. Darà la possibilità di mettersi in concorrenza diretta con le radio e, a quel punto, avere una piattaforma strutturata per i podcast sarà indispensabile. È anche vero che al momento non posso dirti se c’è il rischio di una monopolizzazione del mercato (da parte di Spotify, ndr) anche perché sono più in una fase di espansione piuttosto che di consolidamento. Quando comincerà la supervisione editoriale capiremo quale sarà la loro gettata di fuoco e potremo cominciare a preoccuparci.”
In pratica: restiamo a vedere.
Il consumo di podcast, ad ogni modo, registra aumenti a doppia cifra stabili ogni anno ed è un mezzo sempre più apprezzato per la fruizione domestica. Infatti ben il 61% degli ascoltatori preferisce ascoltare podcast tra le mura domestiche, seguito da un 25% circa che li preferisce durante gli spostamenti (magari non in tempo di quarantena). Vero è che il Covid19 ha avuto un impatto significato sugli ascolti. I dati di Storielibere.fm mostrano un incremento fino a 100.000 ascolti/download a settimana mostrando come il pubblico italiano sia più che ricettivo e ponendo il podcast come medium privilegiato per l’approfondimento e l’intrattenimento.
“La speranza è che il trend rimanga positivo, ovviamente. I giovani devono capire che il podcast può essere un ottimo mezzo per testare la scrittura o una sceneggiatura. Dal podcast possono uscire nuovi prodotti terzi interessanti e questo, per gli editori, è un ottimo metodo per fare scouting. Io credo che vedremo tanti nuovi professionisti emergere e, soprattutto, nuovi talenti”
Il che può offrire una speranza a tutti quei ragazzi che attualmente hanno un libro nel cassetto ma che sono spaventati dalla trafila editoriale classica fatta di tempi di risposta biblici (se presenti) da parte delle case editrici. Adesso sapete che una divertente alternativa può essere il trasformare quel libro in un prodotto tridimensionale, che, alla fine, il momento giusto per farlo è adesso… e che molto probabilmente verrà ascoltato solo su Spotify.
Articolo di Alessio Zaccardini