Ep. 2 – Flaminia (flashback)

di Costanza Chirdo

29/03/2022

Perché le onde non si fermano mai? Chissà come fanno ad essere così continue, senza tregua. Cos’è che le muove? So che è la luna a determinare le maree – ma le onde? Non c’è neanche vento, adesso. Eppure le sento, incessanti, che si rompono una sull’altra. Creano come un ritmo. Anzi, è più come il suono di un respiro – di tanti respiri. Come se fosse il mare che respira. Wow. Il mare che respira. Chissà se qualcuno ci ha mai pensato. Così calmo, così regolare.
Cerco di sincronizzare il mio respiro con il suono delle onde.
«Che fai?»
Apro gli occhi. Franco è in piedi accanto a me, che mi guarda dall’alto. Fa un cenno con la testa nella direzione del numero 91 disegnato da me sulla sabbia poco prima, in prossimità della linea d’arrivo di ogni onda. Mi riguarda.
«I cento giorni son passati da un po’» dice, e io rido. «Più o meno da paio di mesi».
Mi sorride di rimando e, in silenzio, si siede accanto a me sulla sabbia. Allungo il braccio verso di lui, passandogli quel che rimane della canna che sto fumando.
«Ah, ecco perché sei qui da sola» mi fa, divertito, scuotendo la testa in segno di rifiuto.
«Ma no» gli do una lieve spinta sulla spalla. «Sto facendo un rito» continuo, facendo un altro tiro.
«Il rito di farsi le canne?»
Rido di nuovo. «Deficiente. Il rito di svuotare la mente» spiego, chiudendo gli occhi.
«Capisco».
«Tu perché sei qui invece?»
«Sono venuto a vedere come stavi».
Riapro gli occhi. «Perché?»
Franco mi guarda. «Perché Manfredi sa come fare lo stronzo, non credi?»

Dopo aver fumato quasi un’intera canna da sola, l’evento di dieci minuti fa (o venti?) mi sembra già lontano una vita. Eravamo tutti in cucina: io, Lia, Franco, Manfre e Ludovico. E Gioele, l’amico di Lia. Stavamo (stavano, mentre io ero intenta a girare la canna) discutendo dei voti di maturità. Non so di preciso che dicevano – si parla di questo argomento talmente tanto che a volte il mio cervello si disconnette e smetto di ascoltare. Non lo faccio apposta, ma trovo inutile parlare della stessa cosa continuamente. Così piuttosto penso ad altro – tipo a quale potrebbe essere la perfetta postazione per fumare con vista sul tramonto. Casa di Lia è molto bella, ha una grande terrazza al secondo piano con una vista incantevole. L’ho presa in considerazione per qualche secondo, ma stavo cercando un altro tipo di location in realtà, qualcosa di più a contatto con la natura. Poi uno schiocco di dita di fronte alla mia faccia mi ha riportata al presente. Manfredi lo fa spesso quando, come dice lui, “mi perdo”.
«Sì?» ho detto.
«Tu con quanto vorresti passare?» mi ha chiesto Lia.
«Novantuno» ho annunciato.
Lia mi ha guardata incredula mentre Manfredi ha sbuffato.
«E a me mi danno cento e lode» ha detto, versandosi del vino bianco in uno dei bicchieri sul bancone della cucina. Franco non ha detto niente ma l’ha guardato fisso.
«Troppo?»
«Assolutamente no,» ha detto Lia lanciando un’occhiata a Manfredi «è giusto puntare in alto».
«Ma non troppo in alto» ha aggiunto Manfredi senza guardarci.
«Pensavo non ti interessasse passare con voti alti» ha continuato Lia, ignorando il commento.
«Sì, non mi fa tanta differenza in realtà. Però novantuno sarebbe un bel numero con cui passare».
«Perché non cento e lode, allora?» ha detto Manfredi guardandomi, portandosi il bicchiere alla bocca.
«Perché non ti fai i cazzi tuoi Manfre, eh?» è intervenuto allora Franco, in tono scherzoso, anche se lo so che voleva difendermi.

«Oh, non sono qui per quello» rispondo guardando Franco.
«Sicura? Sei sparita un po’ così dal nulla, pensavo…»
«Macchè».
Franco è carino. Però fa sempre un sacco di domande su quello che faccio – o sul perché lo faccio. Non so perchè.
«Non ci ho neanche pensato» rispondo, ed è la verità. «Volevo fumare e guardare il tramonto. Avevo proposto a Lia di venire con me ma si è messa a parlare con Ludovico, non so di cosa. E quindi ho deciso di avviarmi, anche perché…»
«…anche perché stanno ancora parlando».
«Appunto».
«E l’ora della canna non può aspettare».
«Stai insinuando che sono una tossica?» rispondo divertita.
«Non mi permetterei mai» Franco mi sorride. Ha proprio un bel viso quando sorride. Mi viene quasi voglia di baciarlo.
«E quello?» Con la testa accenna di nuovo al 91 disegnato sulla sabbia: «Un altro rito?»
«Un’altra parte dello stesso rito» lo correggo, facendo l’ultimo tiro.
«Il rito della ripetizione dei cento giorni, più sostanze stupefacenti?»
«Rafforzamento» preciso.
«Chiaro».
«Devi credere in quello che desideri, no?»
«Senz’altro».
«Più ci credi più è probabile che si avveri».
«Per questo l’hai riscritto sulla sabbia?» dice lui guardandomi.
«Esatto».
«Quindi ci tieni davvero a passare con questo novantuno».
«In realtà non me ne frega un cazzo».
Scoppiamo entrambi a ridere. È bello parlare con Franco dopo che ho fumato. È sempre bello parlare con Franco, in realtà. Ma quando fumo è ancora meglio.
«Quindi a te quello che dice Manfredi non ti tocca?»
«Lo sento…»
Franco scoppia in una breve risata.
«Dai!» gli do un’altra spinta.
«Cosa vuol dire che lo senti?»
«Sento quello che dice…»
«Quello purtroppo anche io…»
«…ma non lo assorbo» concludo, enfatizzando con un gesto della mano.
«Impressionante» commenta lui dopo una breve pausa.
«Ma sì, poi sai com’è Manfre» aggiungo «è solo il suo modo di flirtare un po’ con me.»
Franco scuote la testa sbuffando. Appoggio la testa sulla sua spalla mentre osservo il sole calare, veloce, che lo vedi scendere ad occhio nudo, ma che allo stesso tempo quasi non te ne accorgi. È affascinante. Chiudo un attimo gli occhi, concentrandomi di nuovo sul rumore delle onde.
«Fra’».
«Dimmi».
«Perché le onde non si fermano mai?»
«A me lo chiedi?»
«A chi dovrei chiederlo?»
«Chiedilo a Dio» dice lui in un sussurro, puntando il dito verso il cielo mentre io sposto la testa dalla sua spalla per guardarlo male.
«Piuttosto,» continua lui «dobbiamo aspettare che un’onda porti via il tuo voto d’esame o…»
«Ovviamente, il rito rimane incompleto altrimenti».
«Chiaro».
«Casa è a cinque minuti a piedi da qui tanto».
«Certo».
«Hai fame?» gli chiedo.
«Sto morendo».
«Ok» guardo il mio 91 disegnato sulla sabbia, ancora perfettamente leggibile, rimasto inalterato nonostante le onde, da quando sono arrivata, non si siano mai fermate. Anche io ho fame. E ho sete. Ho voglia di bere qualcosa di fresco. Vino bianco e ghiaccio.
«Possiamo andare» annuncio alzandomi, porgendo la mano a Franco.
«E il rito?»
Scrollo le spalle. Franco si alza, raccoglie il mio telo da spiaggia, lo piega, se lo appoggia sul braccio. Un vento tiepido mi accarezza, facendo svolazzare il mio vestito bianco mentre ci incamminiamo verso casa di Lia.

Mentre camminiamo, osservo la casa farsi sempre più vicina. Nonostante io e Lia siamo amiche dalla prima liceo non sono mai stata nella sua casa al mare prima di adesso. Ha due piani, ma non è molto grande. Al secondo piano ci sono solo due stanze (anche se una, per qualche motivo, è off limits per noi) e una terrazza. La terrazza è forse lo spazio più ampio della casa. È il mio preferito, finora. È anche l’unica parte della casa in cui non c’è uno specchio (ho notato che, per qualche motivo, ce n’è almeno uno in ogni stanza, cucina inclusa). La maggior parte delle pareti sono bianche, nessun mobile o oggetto sembra fuori posto e tutto è perfettamente pulito.
Mentre Franco apre la porta e mi lascia spazio per entrare, mi rendo conto che anche il pavimento è lucido, come se qualcuno lo avesse appena pulito. In casa c’è silenzio. Mentre mi sfilo i sandali per lasciarli accanto alla porta di ingresso, mi sporgo per vedere chi è in cucina. Manfredi è in piedi, appoggiato al bancone, serio, occhi incollati al telefono. Mi sporgo di più. Gioele è semisdraiato sul divano, sembra che stia fissando il soffitto. Chissà che pensa. Spero di riuscire a farci un po’ più di conversazione stasera. Non è uno che parla molto, ma è comprensibile. Alla fine, non conosce nessuno a parte Lia, che lo ha mollato lì in cucina con Manfredi. Guardo Manfredi di nuovo. Sta ancora fissando il telefono, beve un sorso dal suo bicchiere di vino, poi lo riappoggia sul bancone dietro di lui.
«Bentornata tra noi, novantuno» lo sento dire mentre entro. Sorrido, ma non lo guardo. Passo davanti a lui per prendere il suo bicchiere di vino, raggiungo il tavolo dal lato opposto della stanza e mi ci siedo sopra. Con la coda dell’occhio vedo che anche Gioele mi sta guardando.
«Allora» dico, portandomi il bicchiere alla bocca mentre guardo negli occhi Manfredi. Il sapore del vino bianco, fresco, dolce, che mi scende giù per la gola mi risveglia, come se mi riportasse alla realtà in pochi secondi. Guardo Gioele, poi Manfredi di nuovo.
«Quando inizia la festa?»

*
Flaminia è proprio un bel nome. Mi avvicino allo specchio. Mi ha sempre ricordato la parola fiamma, e di conseguenza una persona focosa, che arde. Però ho sempre saputo che non è quello il suo vero significato. Mi avvicino ancora di più allo specchio, appoggio il mio palmo destro sul vetro, accanto al mio riflesso. Flaminia. Inizio a ridere. L’immagine riflessa di me che rido mi fa ancora più ridere. Ma poi cosa ho da ridere? Più ci penso più mi viene da ridere. Mi accascio sul pavimento del bagno e appoggio la schiena alla lavatrice mentre, piano piano, inizio a riprendere fiato. Mi lacrimano gli occhi da quanto ho riso. Con stupore, trovo alla mia sinistra, sul pavimento, il mio calice di vino. Lo avevo portato in bagno? Mi viene di nuovo da ridere, mentre afferro il bicchiere e me lo porto alla bocca. Però aspetta. Io stavo bevendo vino da un calice? Osservo il bicchiere, girandolo nella mia mano. Da quanto tempo è che sono qui? Mi alzo, perdo un attimo l’equilibrio, barcollo ma non cado. Mi riguardo allo specchio, ma stavolta, la prima cosa che noto invece del mio riflesso è un altro calice di vino, mezzo pieno, appoggiato sulla mensola di fronte allo specchio. E quello? Guardo di nuovo nella mia mano, per assicurarmi che ci sia il bicchiere che avevo appena raccolto da terra. C’è. Sbuffo, divertita. Ho portato due calici di vino in bagno? Riguardo quello sulla mensola. Ma no. Io non stavo neanche bevendo vino da un calice. Gioele aveva un calice! Gioele… lo stavo proprio osservando nel momento in cui qualcuno gli ha passato il calice. Chi era? Non mi ricordo. Dov’è Gioele? Mi sembra di non vederlo da un po’. O forse non è così tanto? Mi riguardo allo specchio. Sono sbronza. Mi viene di nuovo da ridere. Vorrei che Gioele fosse qui con me. Nel corso della serata abbiamo legato molto, io e lui. Gli serviva solo qualche bicchiere di vino per sciogliersi. Ha un profumo buonissimo. Inoltre si veste molto bene. Abbiamo parlato tantissimo…di cosa? Di musica! Sì! Gli stavo raccontando del mio corso di danza. Gli ho anche mostrato parte della coreografia. Dovevamo filmarci mentre la facciamo insieme! Ma dov’è finito? Quand’è che se n’è andato? Ora vado a cercarlo. Riguardo il calice di vino nella mia mano. Lo bevo. Sospiro di soddisfazione. Poi lo appoggio sulla mensola, accanto all’altro calice. Adesso, su questo c’è l’impronta del mio rossetto. Sexy. Mi guardo di nuovo allo specchio, soddisfatta, mentre mi aggiusto il vestito. La porta si apre di colpo.
«Che stai facendo?» L’espressione sul volto di Lia mi fa ridere di nuovo. «Cosa?» mi chiede, spostandosi accanto a me, di fronte allo specchio, per aggiustarsi i capelli.
È molto carina, Lia. Dovrebbe solo rilassarsi un po’.
«Quindi?» mi chiede, con il tono che usa quando sa che non la sto ascoltando. Si gira a guardarmi. «Fumiamo o no?»
«Ah sì! Certo!»
«Manfredi ha detto che è nella camera di sopra».
«Cosa?»
«L’erba». Lia mi guarda di nuovo mentre, annuendo, mi avvio fuori dal bagno, in direzione delle scale. Oddio, le scale…
«Flami» sento la voce di Lia non appena poggio il piede sul primo gradino. Mi giro verso di lei. «Tutto ok?»
Mi sa che anche Lia è sbronza, e il modo in cui cerca di contenerlo e di sembrare così seria mi fa scoppiare a ridere di nuovo. Le faccio il pollice alzato mentre, piegata sul corrimano delle scale, cerco di smettere di ridere. Poi inizio a salire le scale, piano piano, passo dopo passo. I gradini sono freddi sotto i miei piedi nudi. Arrivo di sopra e spingo la prima porta sulla destra, appoggiandomici di peso, con tutto il corpo.
«Oh».
Questa non è la camera da letto. C’è un bordello di roba sparsa in giro, e non c’è luce. A un tratto sento un profumo buonissimo. Gioele è sdraiato a braccia e gambe aperte su una specie di divano. Anche lui sembra sbronzo. Sul viso ha un’espressione serena, anche se ha gli occhi chiusi.
«Ma quindi questa coreografia?» gli chiedo ridacchiando.
«Più tardi» mi risponde lui e sorride, senza aprire gli occhi, invitandomi con un goffo gesto della mano ad andarmene.
«Sei nella stanza off limits, lo sai?»
«Più tardi» ripete lui, esattamente nello stesso tono. Rido mentre, barcollando, richiudo la porta. Perché sono venuta qui? Mi fermo un attimo, cercando di concentrarmi. Boh. Mi avvio di nuovo giù per le scale. Mentre scendo incrocio Ludovico che sale. Alzo la mano per dargli il cinque. Lui la prende e la stringe con un mezzo sorriso, non mi guarda e non mi dice niente, e mi supera. Arrivata in fondo alle scale mi fermo. Mi giro per guardare indietro e lo vedo, in cima alle scale, che apre la prima porta a destra ed entra.
«Flami!» sento la voce di Lia chiamarmi dalla cucina. Entro nella stanza e la trovo seduta al tavolo, insieme a Manfredi e Franco. Vederli così, allegri, mentre parlano tra di loro, mi fa stare bene. Guardo l’orologio: sono quasi le due? Wow. Erano le nove e un quarto l’ultima volta che ho controllato. Mi siedo di fronte a Manfredi, che allunga il braccio nella mia direzione. In mano ha due sigarette. Ne prendo una senza pensarci e me la metto in bocca, chiudendo la mano e muovendo il pollice in segno di richiesta di un accendino.
«Raga le sigarette fuori per favore» dice Lia indicandoci la porta di casa aperta «solo perchè l’odore resta per troppo tempo».
«Agli ordini, miss» risponde Manfredi mentre entrambi ci alziamo. Io le faccio l’occhiolino, prima di girarmi e seguire Manfre fuori dalla porta. Ci sediamo entrambi sul gradino. Lui mi accende la sigaretta, prima di accendere la sua. Fumiamo in silenzio. Anche da qua si sente il rumore delle onde. L’erba! Non l’ho presa. Faccio un tiro di sigaretta. Gioele nella stanza off limits. Forse dovrei dirlo a Lia? Ludovico. Mi giro verso la cucina. Lia e Franco stanno parlando. Sono così carini. Ma Ludovico è sempre su quindi?
«Ma che te la sei presa?» dice a un tratto Manfredi.
«Cosa?»
«Per la storia del novantuno».
«Ma secondo te» lo guardo, divertita e un po’ sorpresa.
«Quelli me la fanno pesare» continua lui «fanno le battuttine. Ma tu lo sai che io scherzo»
«Ma sì» rispondo, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Vedevo che non mi parlavi, pensavo te la fossi presa. Te che hai sempre qualcosa da dire».
«Stavo pensando» rispondo.
«E a che cosa?»
Nella mia testa, rivedo l’immagine di Ludovico che mi passa accanto salendo le scale. Mi gio di nuovo verso la cucina. Lia e Franco sono sempre soli.
«Ho una chicca per te».
Guardo di nuovo Manfredi. Ha tirato fuori dalla tasca della sua camicia una bustina di plastica, molto piccola, con dentro una polverina bianca.
«Manfre!» esclamo, dandogli una spinta.
«Ti fai un tiro di questa prima dell’orale e altro che novantuno» continua lui, stendendo una riga di polvere sul retro del suo telefono.
«Smettila» dico ridendo. Lo osservo con una carta di credito dividere la linea a metà, per poi formare due linee più sottili, perfettamente identiche.
«Prima le signore».
Mi porge il telefono, e una banconota da 5 arrotolata. Sento la mia narice bruciare, ma solo per un secondo. Adesso sono sveglia. Io e Manfre iniziamo a parlare della maturità, dei voti, del sistema scolastico. Parliamo del Ministero dell’istruzione, della politica, delle elezioni. Di tanto in tanto mi giro verso la cucina, sempre per trovare Franco e Lia a parlare, da soli. Poi parliamo di droghe, di feste di fine anno, di serate. Io e Manfre non andiamo d’accordo su tutto, ma è proprio questo il bello di parlare con lui.
«Che cosa ne pensi dell’amico di Lia?» mi chiede lui a un certo punto.
«Gioele?»
«Sì».
«Mi piace. Dovevamo fare una coreografia insieme ma…»
«…la principessa è collassata a mezzanotte» ghigna Manfredi.
«Sì, l’ho visto prima…»
«Nella camera di sopra. Ludovico sta andando a controllarlo ogni mezz’ora».
D’istinto, mi giro di nuovo verso la cucina. Lia e Franco sono ancora lì, da soli. Socchiudo gli occhi mentre scruto l’orologio. Sono quasi le tre. Manfre mi porge un’altra sigaretta. Me la metto in bocca, la accendo.
«Tu che ne pensi?» gli chiedo. Non mi risponde. Scrolla le spalle con fare disinteressato, prendendomi l’accendino dalla mano per accendersi la sigaretta. Mentre fumo chiudo gli occhi. Sono stanca. C’è silenzio adesso, a parte per il rumore delle onde. Continuo a chiedermi come facciano a non fermarsi mai.

Articolo di Costanza Chirdo