Ep. 6 – Manfredi (flashback)

di Arianna Costantini

26/04/2022

Stasera riuscirò a farli pippare con me. Almeno Flaminia, lei si lascia trasportare dalle onde e si lascerà trasportare dalla coca. Proprio ora rientra in cucina e interrompe la mia conversazione inesistente con Gioele, sdraiato sul divano: non ha fatto altro che mettere a posto e sorseggiare dal suo calice di vetro, tanto che ogni volta lo controllo di nascosto, dallo specchio accanto allo stipite, per assicurarmi che non alzi il mignolo come le checche quando si porta il vino alla bocca. Se pippasse le sue mani striminzite acquisirebbero forza e lui magari si alzerebbe da quel divano per divertirsi. Mi ecciterei a vedere i suoi occhi spalancati e fissi sui miei movimenti: prendere le banconote verdi e disporre la coca sul tavolo, ordinata, due banconote per me e per lui, o anche tre, una per Flaminia.
«Dopo ti faccio provare» avevo azzardato prima che arrivasse lei.
«Provare… cosa?» aveva tentennato Gioele, scheggiandosi con le unghie di una mano quelle dell’altra.
«Secondo me ti piacerà». Volevo testare la sua curiosità, se i limiti lo attiravano o se era una checca e basta. Lui aveva esitato qualche minuto, e poi aveva appoggiato di nuovo la testa sul bracciolo del divano, continuando come un ebete a guardare il soffitto di legno.

«Che vai a fare su?» Mi chiede Ludo, all’improvviso. E’ apparso al termine delle scale, dietro di me, e mi guarda come se fosse sempre stato lì, in agguato, attendendo la sua preda.
«Ma sei matto? Mi serve il mio stereo, voglio un po’ di musica o qui mi addormento».
«Rilassati, sono solo le undici».
«Appunto». Ludo mi osserva, di sbieco, distratto, e come apre bocca mi aspetto che mi ripeta, come al solito, che devo solo farmi un’altra canna, che le feste non vanno forzate e che tutti, per qualche strana sua legge, iniziano da soli a fare casino e a divertirsi dopo una certa ora. E io elaboro la mia solita risposta, e cioè che della sua legge non me ne frega più di tanto, dal momento che mi sto rompendo il cazzo e che ho voglia di divertirmi, se possibile, anche prima della sua certa ora.
E invece «Vabbè, dov’è che sta lo stereo? Te lo prendo io» mi fa.
«Non sapevo avessimo un facchino. Tutto ok?»
«Sta nella tua valigia, no? Sei venuto con quella pacchianata di Gucci se non sbaglio».
«Coglione. Mi spieghi che ti prende?»
«Ma chi sei ora, Lia?» si scoccia lui.
«Ancora non ti chiedo il senso della vita».
«Ecco, bravo, non farlo».
«Allora è seria la situazione».
«Che situazione?»
«Vabbè ho capito, prendimi ‘sto stereo».
Ludo sale le scale, pesante, sbuffa per mostrarmi l’enorme fatica che gli sto facendo fare, io che non gliel’ho nemmeno chiesto. E se avessimo un linguaggio nostro, da migliori amici, useremmo ora un segnale per dirci che dopo ne parliamo, o domani, o tra una settimana, ma la verità è che non parliamo mai di queste cose, non ce n’è bisogno, ci conosciamo nei fatti e solo nei fatti. Da fatti, spesso.
«Senti» mi sussurra mentre mi passa lo stereo in mano «Dopo me ne dai un po’?»
«Quanto? Te la do ora se vuoi. Facciamo insieme?»
«No, no, dopo. Per le..» guarda l’orologio «per l’una, l’una e mezza».
«Sennò?»
«Finisce l’incantesimo».
«Wingardium Leviosa» dico e mi allontano, infastidito dal suo modo di fare da primadonna.
Sarebbe inutile mettersi a indovinare che gli passa nella testa, forse solo Lia ci sta provando, proprio ora che di sicuro non si sono capiti, ed è questo il problema. Lei è affascinata dal suo essere indecifrabile, quando da decifrare non c’è così tanto come vorrebbe. E’ sveglio, Ludo, questo sì, quando vuole è una delle persone più simpatiche di questo mondo, ma il resto delle volte va lasciato in pace.

Esco in terrazza con lo stereo e faccio cenno a Flaminia di seguirmi. Sistemo sul tavolo alcuni bicchieri piccoli che ho trovato in giro, tutti di colori diversi e, soprattutto, tutti di vetro, fragili, troppo fragili. Non abbiamo comprato piatti e bicchieri di plastica e si vede che la nonna di Lia non faceva molte feste.
«Cos’è questa mosceria?» urlo «Venite tutti qua! Flamì, vai chiamare Lia e Franco, che stanno soli soletti in cucina».
«Sempre a insinuare stai, Manfri?»
«Non si sa mai. Dopo tutti i discorsi sui sentimentalismi e sull’amore libero… Voi zecchette siete capaci di tutto».
«Di tutto quello che ci rende felici» canticchia Flaminia.
«Ho capito, dopo ti do io una cosa che ti fa felice».
«Un bacio?» dice mentre traballa verso la porta, si ferma un attimo e poi entra.
Sistemo una bottiglia di amaro del capo al centro del tavolo. Fanno capolino Lia e Franco.
«Ecco i piccioncini» esclamo e riempio due bicchieri.
«Manfre’ finiscila!» rispondono uno un secondo dopo l’altro, scoppiano a ridere e si toccano i nasi perché, come gli ha insegnato Flaminia, si deve fare così quando si dice una cosa allo stesso tempo.
Lia inizia a ballare, afferra il braccio di Franco per non cadere a terra. Riprova un’altra volta e fa cenno a Flaminia di unirsi. Si muovono come se stessero affogando, Lia è scoordinata, non riesce ad andare a tempo, forse nemmeno fa caso alla musica. Sono già ubriache, Lia la santarellina e Flaminia nel suo iperspazio, dove in fondo ci troviamo tutti, ora, tra erba e alcol.
«Giro di amaro?» chiedo, rivolgendomi a Franco, che a ballare non è mai a suo agio, ed è rimasto lì in piedi, confuso, mentre le due grazie si lasciano prendere dai bassi della musica.
«Vuoi farci collassare tutti Manfre’?» fa lui.
«Macché collassare, principessa, non ti preoccupare, a mezzanotte te la riporto io la scarpetta!»
«Se bevo ancora vomito e non sarai tu a pulirlo».
«Te lo pulirai tu domattina, Cenerentola! Su, fatti quest’amaro con me» dico e ne mando giù un bicchiere in un sorso solo, restando in piedi, immobile.
«Mica è obbligatorio stare male» corre in sua difesa Lia e mi indica «e tu piuttosto che fai ancora fermo, balla!»
«Infatti, facci vedere come ci si muove, Principe azzurro!» fa Franco.
Flaminia non li ascolta, balla per conto suo, si abbandona alla musica e all’erba, alle non so quante canne che si è fumata stasera, e mi chiedo come faccia ad avere ancora tutta questa energia per saltare, scattare, muoversi a ritmo. Bello, deve essere.
«Ballo solo se balli con me Franco’».
«Va bene, ma tu sei Cenerentola e io il Principe» risponde Franco, che ha capito che è un gioco e ha deciso di starci, credo.
«Sei tu qua quello che beve due bicchieri e si sente male».
«Che ne sai che il Principe azzurro beveva più di Cenerentola?» lo difende Lia.
«Non penso che la matrigna la facesse sbronzare spesso» rispondo.
«E magari invece mentre le puliva casa si faceva qualche bicchierino» continua lei.
«Anvedi Cenerentola!» commento.
«Pensa che bel film sarebbe stato così!» fa Franco.
«Ecco, ho già la trama: la matrigna rientra in casa e trova Cenerentola ubriaca» non riesco a finire la frase che scoppio a ridere.
«Magari mentre si fa uno» aggiungo.
«Il Principe azzurro? Pensa quanto rosicherebbe la matrigna!» Esclama Lia.
«Magari più di un principe…».
«Ma questo è un porno Manfre’» dice Franco.
«Dai, perché devi essere scurrile?» mi interrompe Lia.
«Dio santo, Lia, scherzavo». Le do un pizzicotto sulla guancia e si ritrae.
«E’ il tono con cui lo dici che mi dà fastidio. Dici una cosa ma vuoi dirne un’altra. Cenerentola non si tocca».
«E dai, ridi un po’. Che pesantezza stasera ragazzi. Tra te e quel cetriolo del tuo ragazzo…»
Lia si annebbia, corruga la fronte, si gira e se va, e mentre si allontana mi sussurra: «Per una buona volta, una sola, potresti pure fare un po’ di attenzione».
«Attenzione a cosa, Lia?» la guardo salire le scale.
Si volta. «Alla nostra sensibilità per esempio. Una volta sola».
Una volta.
Una.

Uscendo di nuovo ingoio un altro bicchiere di amaro. Questo lo sento.
Fuori è rimasto solo il mio stereo, ma non esce più nessun suono. Hanno spento la musica. Sono andati in spiaggia? Flaminia e Franco, i due sirenetti. Capisco il fascino del mare, quando non lo vedo da tanto ammalia anche me. Perché significa estate, serate, feste, dimenticarsi degli orari e dei giorni e del futuro, va bene. Ma dopo un po’ anche basta, invece loro rimarrebbero lì le ore a chiedersi del senso della vita.
«Per te cosa ha pensato il primo essere umano che ha visto il mare?» mi aveva chiesto Flaminia quando era rientrata dalla canna del tramonto, assieme al suo Francone, non so ormai quante ore fa.
«Me l’hai già chiesto» le dico, me lo chiede sempre, in questo periodo dell’anno. Di solito siamo ancora in classe.
«Rispondi comunque».
«Per me il primo essere umano non pensava».
«Dai» mi aveva incitato lei.
«Si sarà fatto un bagno?»
«Prima. Prima di buttarsi. Cosa avrà pensato sentendo il rumore delle onde, il sapore dell’acqua, la sabbia? Magari era l’alba, magari cercava del cibo, e si era ritrovato davanti il mare».
«Che aveva acqua per sempre».
«E basta?»
«Che lì finiva il mondo. Per lo meno quello che poteva dominare. Finché non hanno fatto le navi».
«Cioè secondo te, neanche per un istante, alla vista del mare, si è sentito sopraffatto, o impotente, o riempito o vivo?» Le brillavano gli occhi mentre parlava, o sognava, e mi era dispiaciuto di non poterle dare una risposta altrettanto sognante.

«Ma guarda qua! Adesso anche tu ti perdi nell’iperspazio?» Franco si è affacciato e non me ne sono accorto.
«Siete spariti tutti» gli rispondo io, alzandomi e alzando le spalle. Ho in mano un bicchiere vuoto. Lo riempio e ne riempio un altro per lui.
«Ed eri venuto a cercarci nel mondo delle idee?»
«Pensavo a Flaminia, a una cosa che mi aveva chiesto..»
«Hai visto, hai visto… Flaminia quindi!»
«Franco’ ma sei completamente andato?»
«Scherzo, Manfre’, scherzo. Puoi farlo solo tu qua?»
«Tieni» gli do il bicchiere in mano e ci shottiamo un altro amaro.
«Vieni, gli altri sono tutti di qua».

Entriamo in cucina. Il lavello è pieno di bicchieri, sul tavolo c’è una bottiglia rovesciata, un rivolo di gin trasparente esce dal tappo chiuso male. Qualcuno si è attaccato ai biscotti e ha riempito di briciole il tappeto, domani ci sarà da divertirsi a sentire gli strilli di Lia. Gli altri sono solo Ludo, che non se ne cura, è seduto al tavolo, chino sul suo orologio. Fa su e giù con la testa. Ticchetta le dita sul tavolo. Inciampo in un calice lasciato a terra, si rompe e fa rumore, solo ora si accorge di me.
«Dove stavi?» Mi scruta.
«Calmati, ecco».
Prendo la sua mano destra e ci schiaccio sopra la mia. Esito. Mi fissa negli occhi, serio, sbronzo, le pupille dilatate, nere. Tra la mia mano e la sua, la bustina di polvere bianca.

«Che gruppo strano siamo» mi fa Franco.
«Si, parecchio» dico io.
Vedo Ludo rovesciare il contenuto della bustina sul tavolo.
«Quanto resisteremo secondo te?»
«Dici senza fare a botte?».
«No deficiente. Dico tutti noi, dopo il liceo».
«Cazzo è vero, sta per finire».
La coca è sistemata in riga. Ludo arrotola la banconota. Dà un bacio a Lia, distratto, non si era nemmeno reso conto che fosse lì.
«Già. Sempre se usciamo».
«Usciamo, usciamo».
«Se lo dici tu. Quindi?»
Prima narice. Inspira. Seconda narice. Inspira più forte.
«Il nostro gruppo? Se è abbastanza forte? Ma che ne so. Può succedere qualsiasi cosa dopo il liceo. Io non ci penso più di tanto. Dopo c’è la carriera, per prima cosa». Non ascolta la mia risposta.
«È che bisogna ricominciare tutto con altre persone. Le prime impressioni, le serate al bar, lo stesso bar, gli stessi superalcolici. Finché si raccoglie un numero di storie sufficiente a raccontarsi a vicenda sempre quelle senza annoiarsi. E si va avanti così. Ma voi siete quelli del liceo, mi avete visto a quattordici anni. Tu come fai a essere sicuro di trovare altra gente che ti sopporterà? Non è facile sai?» Sorride Franco. Ludo se ne va.
«Ma nemmeno voi mi sopportate. E quando fate le zecche non vi sopporto io. Eppure».
«Eppure siamo qua».
«Già».
«E se litighiamo tutti dopo la maturità?».
«C’è sempre lei».
«Lei chi?».
Tiro fuori la bustina di coca e gliela mostro. Sembra deluso.

L’idea di andare in spiaggia quando è buio pesto, aspettando l’alba, è stata un’idea di Flaminia, anzi di andarci un’altra volta, per lei che c’è stata cinquecento volte, il mare le onde il vento ed è tutto così magico e intanto lei si fa una canna e ci credo che dopo è tutto magico. Era elettrizzata. Poco fa stavamo fuori, io, lei e la coca che l’ha risvegliata. Ora siamo in cucina. Tra poco finiremo in spiaggia, so che ci convincerà.
«Ma cosa andiamo a fare in spia…» Franco non riesce a finire la frase.
«Shhh, andiamo, che ti importa?» sussurra lei.
«Ma è buio, non abbiamo neanche una torcia…».
«…ci mangiano i granchi giganti» gli faccio io.
«Io non vi riporto qua in spalla, vi avverto» dice lui, vedendo la bustina che esce dalla tasca dei miei bermuda.
«Voglio tornare negli anni novantaaa» canta, o meglio, urla Flaminia che si è già avviata. E’ felice, pensa all’oceano immaginario, a un’isola tropicale, o forse solo a un’altra canna.
Il sentiero per il mare al buio è un percorso a ostacoli, tutto legnetti e aghi di pino, pezzetti di conchiglie, c’è persino un piccolo rovo.
«Chi arriva alla sabbia scalzo vince un bel purino!» annuncio io.
«Fottiti» urla Francone.
«Nemmeno a Cenerentola sbronza queste cose piacciono?»
«A chi è che piacciono?»
«Con Ludo lo facevamo sempre, in campagna da lui, le canne avevano un altro sapore dopo».
«Dopo che ti eri rotto una gamba?» e poi «A proposito di Ludo, che fine ha fatto?»
Il sentiero è buio e, proprio ora, non è divertente, faccio avanti e indietro, inciampo nel rovo e scalcio la terra sotto i miei piedi scalzi, controllo che non sia caduto nulla dalle tasche e -oh, ahi- a rialzarsi gira tutto.
«Liaaaaaaaa?» strilla Flaminia.
Le tendo la mano, senza afferrarla, facendola tremare per finta e le sussurro no non andare come nei film e lei ride fino a piegarsi a terra, sbronza come non l’ho mai vista.
Barcollando, non so come, raggiungiamo tutti la sabbia, io Francone e Flaminia. E’ vero, è tutto buio, anche se la luna è enorme. E adesso?
«Vi ricordate la prima canna che ci siamo fatti insieme?» chiede dopo qualche minuto Flaminia, senza guardarci, il volto rivolto verso il mare e gli occhi chiusi.
«Vi prego, il momento sdolcinato no».
«Scommetto che non te ne ricordi nemmeno, per quante te ne facevi anche da solo all’epoca, Manfre’» ridacchia Franco.
«Probabile. Non lo saprete mai» dico e mi stendo sulla sabbia che in qualche punto ha trattenuto il calore del sole.
Loro parlano. Parlano. Parlano. Cose profonde, pesanti, paure comuni di cui non ho voglia. Mi si chiudono gli occhi, piano, e ogni volta che li riapro sussulto e loro parlano ancora. E ancora.
«Secondo te dovremmo fare qualcosa?» chiede a un tratto lei.
«Per quei due?»
Resto immobile, sdraiato, girato.
«Si, litigano sempre».
«Dici Lia e Ludo».
«E chi sennò».
«No, infatti, nessuno».
Respiro, regolare, come quando dormo, credo di respirare così quando dormo.
«Lia era triste». Inspiro.
«Si, mi dispiace».
«Forse dovremmo aiutarli». Espiro
«Forse dovrei dirglielo».
«Cosa devi dirle, Flami?».
«No, solo che ho visto» pausa. Inspiro «no, ero ubriaca, non mi ricordo, nulla».
Espiro.

Articolo di Arianna Costantini