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L’Europa corre ai ripari
La guerra in Ucraina spinge il Vecchio Continente verso un massiccio riarmo.
Negli ultimi anni l’Europa è stata scossa da una serie di crisi internazionali che hanno sollevato preoccupazioni sulla sua capacità di difendersi da minacce esterne. Di fronte a una crescente instabilità geopolitica, acuita dalla guerra russo-ucraina, molti paesi europei stanno considerando il riarmo militare come una possibile soluzione per garantire la sicurezza e proteggere i propri interessi nazionali. La questione della corsa agli armamenti, però, è estremamente complessa e suscita molte domande riguardo alla sua efficacia, alla sua sostenibilità e al suo impatto sulla pace e la stabilità in Europa e nel mondo.
La Difesa comune in Europa, un orizzonte irraggiungibile?
L’Unione Europea è nata come un sistema di cooperazione tra Stati su un piano politico ed economico, con una particolare attenzione sulla Pace e sulla collaborazione tra Paesi membri. Tuttavia, a causa della prossimità della guerra russo-ucraina, ultimamente l’attenzione sugli investimenti militari è in crescita costante. L’UE ha impostato una serie di iniziative per finanziare gli investimenti militari. Tra queste c’è lo European Defence Fund (EDF), designato per incoraggiare gli stati membri a destinare una quota maggiore delle proprie risorse in progetti di difesa. Il fondo, istituito nel 2017 con uno stanziamento di 13 miliardi di euro, mira a sostenere economicamente lo sviluppo di capacità difensive europee ad ampio raggio, come sistemi di armamento condivisi, tecnologie e ricerca, nonché a promuovere la collaborazione tra le industrie della difesa europee.
«Questa guerra» – afferma Michelangelo Freyrie, ricercatore nei programmi Difesa e Sicurezza dello IAI (Istituto Affari Internazionali) – «si aggiunge a molte altre grandi crisi a cui l’Europa già prima sottostava, che non sono sparite nel suo sopraggiungere. Non dobbiamo dimenticarci delle crisi climatiche, migratorie, l’instabilità finanziaria causata dalla crescente assertività della Cina e quindi, in generale, tutte le problematiche che tolgono risorse e spazio di manovra per far fronte a quelle portate dalla guerra russo-ucraina». Freyrie analizza in questo modo le diverse sfide a cui l’Europa è sottoposta: «Proprio perché le crisi sono tantissime e il budget è limitato, condividere e cooperare a livello europeo è fondamentale. Una cooperazione di politica estera a livello europeo è necessaria».
Se non si seguono linee comuni e non si opera in un’ottica di collaborazione internazionale, il rischio maggiore è che la minaccia di una guerra all’interno del nostro continente porti a frammentare le politiche di difesa dei paesi membri. Infatti, nonostante le iniziative comuni, gran parte delle spese militari rimane gestita su base nazionale e l’industria europea risulta caratterizzata da inefficienza, sovrapposizione di progetti e duplicazione dei costi. Secondo i dati dell’Agenzia europea della difesa (Eda), infatti, nel 2020 gli stati membri hanno speso solo 4,1 miliardi di euro su progetti collaborativi, a fronte di una spesa collettiva europea di circa 300 miliardi di dollari.
Consideriamo il riarmo polacco e come la guerra in Ucraina, dal 2014, ha avuto un pesante impatto sulla sua politica di sicurezza nazionale: il conflitto ha rafforzato la percezione della minaccia russa per la Polonia, così come per altri stati dell’Europa orientale, aumentando la pressione sulla nazione. Di conseguenza, il governo ha approvato la «Legge per la difesa della patria», che prevede un aumento del budget militare pari al 4% del PIL – si parla di circa 30 miliardi di dollari – e importanti programmi di modernizzazione per migliorare le capacità di difesa. Le misure adottate sono molteplici, tra cui l’acquisto di nuovi aerei da combattimento, veicoli corazzati e sistemi di difesa aerea, provenienti da Corea del Sud, USA e Turchia. Inoltre, ha aumentato la propria presenza militare nella regione, partecipando a esercitazioni congiunte, ospitando truppe statunitensi, e coordinandosi con altri paesi della NATO al fine di incrementare la difesa comune contro la minaccia russa. Il paese, infatti, si è posto tra gli altri paesi dell’Europa orientale con pragmatismo in una posizione di primus inter pares, posando solide basi per immaginare, in uno scenario postbellico, un asse securitario con l’Ucraina per fronteggiare la minaccia russa.
Ne è un altro esempio la Francia, che ha dichiarato l’intenzione di investire 400 miliardi di euro entro il 2030 in spese per l’intensificazione della difesa. Questa tendenza a perseguire un progetto di sovranità nazionale, paradossalmente, sarà «difficile da raggiungere fino a quando non sarà presente una cooperazione con gli altri paesi, sia sul piano industriale che di sviluppo di armi», spiega Freyrie. «La Francia ha sempre avuto la prospettiva di vedere la politica di difesa europea come un’estensione di quella francese. Molte delle cooperazioni di difesa europea in cui è presente hanno avuto molta difficoltà a partire, proprio perché i francesi non hanno mai cooperato nel corso della loro storia con altri paesi dal punto di vista industriale e strategico. Sembra che la guerra in Ucraina stia insegnando loro che il collaborare è un dare e un avere».
Il legame tra Europa e NATO
«Ogni tentativo di indebolire il legame tra Nord America e Europa non solo indebolirebbe la NATO, ma dividerebbe l’Europa»: con queste parole si era espresso il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, in una intervista rilasciata al The Telegraph il 4 settembre 2021 sul tema di un possibile nuovo piano comune di difesa europea, parallelo all’Alleanza Atlantica.
La questione di un esercito comune europeo è sempre stata centrale all’interno del dibattito sui processi d’integrazione comunitaria nel secondo dopoguerra. La cooperazione militare e il coordinamento della politica estera dei paesi europei era visto in quel periodo come la via più rapida per arrivare alla creazione di una comunità politica continentale. Un progetto che si è infranto contro la decisione da parte dell’Assemblea Nazionale francese di non sottoscrivere il trattato istitutivo della Comunità europea di difesa nell’agosto del 1954, consegnando da quel momento in avanti la difesa del continente europeo alla NATO. Da quella data, ogni passo avanti nell’integrazione politica continentale è stato accompagnato dalla riapertura del dibattito sulla necessità di un coordinamento della politica estera dei paesi UE e della creazione di un esercito comune, come avvenuto con l’ascesa politica del premier francese Emmanuel Macron. Si è così imposto nel dibattito pubblico europeo il concetto di «autonomia strategica europea»: la ricerca di uno spazio d’autonomia da parte dell’Unione Europea sullo scenario globale, tanto sul piano economico quanto su quello militare e diplomatico. Una linea apparsa percorribile durante la presidenza di Donald Trump, segnata da un netto disimpegno sullo scenario internazionale e da una forte critica alla NATO, che aveva rinverdito le speranze di vedere un’Unione protagonista sullo scenario internazionale e sempre più indipendente a livello militare dagli Stati Uniti.
Gli avvenimenti degli ultimi anni hanno radicalmente cambiato questo scenario: l’elezione di un presidente fortemente atlantista come Joe Biden e l’aggressione russa in Ucraina hanno nuovamente rinsaldato il legame tra le due sponde dell’Atlantico e la centralità della NATO nel sistema difensivo del continente europeo. Gli Stati Uniti, pur ancora concentrati sullo scenario del Sud-est asiatico e sullo scontro a tutto campo con la Cina, dallo scorso febbraio ricoprono nuovamente un ruolo di primaria importanza nel sistema militare e diplomatico continentale, frenando così le ambizioni di paesi come la Francia, che vedono nell’autonomia strategica e nell’Unione Europea lo strumento perfetto per riaffermarsi sul piano internazionale.
Osservando queste premesse e i piani di riarmo presi in analisi, appare chiaro che in questa fase sia in gioco il futuro ruolo internazionale dell’Unione Europea. Il pieno sostegno americano e sudcoreano al piano di riarmo polacco viene letto da molti esperti come il tentativo da parte degli Stati Uniti di rendere la Polonia il proprio bastione europeo, raggiungendo così il doppio obiettivo di frenare le pulsioni autonomiste francesi e aumentando il peso politico dei paesi dell’Est Europa, la cui difficile integrazione rappresenta tutt’oggi un freno all’espansione del progetto comunitario europeo. Questa situazione permetterebbe agli Stati Uniti di mantenere l’attuale status quo continentale, che li vede in una posizione dominante a causa dell’assenza di autonomia dell’Unione Europea in campo internazionale. Una versione della storia che non mette d’accordo tutti: «questa narrazione sui media che il peso politico dell’Europa si stia spostando ad est e che gli Stati Uniti guardino a Varsavia, invece che a Berlino o a Parigi, non mi convince» – prosegue Freyrie. «Penso che siano consapevoli che affidarsi a paesi democraticamente non affidabili, come in questo caso la Polonia, è problematico e indebolisce il campo occidentale, soprattutto considerando quanto Biden investe retoricamente sull’immagine delle democrazie contro le autocrazie come principale sfida di sicurezza nel mondo. In realtà, gli Stati Uniti negli ultimi decenni hanno avuto due grandi priorità quando si parla dell’Europa: incoraggiare, o meglio non impedire, la strada verso una vera difesa europea e il disimpegno dal continente per concentrarsi sulla sfida a Oriente con la Cina. La guerra in Ucraina rappresenta per gli Stati Uniti un problema, poiché sono dovuti sostanzialmente tornare in Europa per il potenziale impatto distruttivo del conflitto sull’ordine globale. Da un lato i paesi dell’Est sono quelli che stanno facendo di più per porsi in condizione di difendersi, permettendo potenzialmente agli Stati Uniti di disimpegnarsi, ma gli USA sono consapevoli che questa situazione non sia sostenibile nel lungo periodo per lo stato della democrazia in paesi come la Polonia. Non a caso, nell’ultimo accordo tra NATO e UE, si è ribadita l’esistenza di più aree di collaborazione fra le due organizzazioni e di lasciarsi alle spalle i mal di pancia precedenti».
L’attuale riarmo dei paesi europei, dunque, è una questione che esula dai singoli interessi nazionali: a esso si lega il futuro dell’Unione Europea come attore internazionale di rilievo. L’attuale compromesso che vede le maggiori potenze continentali delegare la difesa europea alla NATO, come emerge dal report annuale dell’Alleanza, nel quale solo 7 paesi su 30 risultano aver raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL nazionale in spese militari, appare non più sostenibile rispetto alla crescente richiesta di autonomia strategica da parte di paesi come la Francia. Per quanto il futuro dell’Unione non passi unicamente dal dotarsi di un esercito comune e da una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, nell’attuale panorama delle relazioni internazionali questi temi troveranno una sempre maggiore centralità.
Articolo di Luca Bagnariol e Beatrice Basso