Quale futuro per una scuola senza anticorpi?

Come ripartirà a settembre uno dei settori maggiormente dimenticati dal dibattito pubblico in questo paese

Cosa succederà al mondo della scuola quando questa emergenza sanitaria sarà finita? Tra la necessità di un ritorno tra i banchi e l’inadeguatezza dell’edilizia scolastica, si fa strada l’instabilità occupazionale dei docenti precari. Abbiamo bisogno di un vaccino per i continui tagli alla scuola pubblica, che riporti in cattedra il dialogo, la condivisione e gli strumenti culturali per resistere all’alienazione tecnologica.

 

Tra le tante incertezze e le difficoltà che l’improvvisa situazione causata dal COVID-19 ci costringe ad affrontare vi è una drammatica sicurezza: la scuola italiana non riveste un posto di priorità nell’agenda di governo. Che il nostro paese non dia la giusta attenzione alla didattica non è certo una novità di questi ultimi mesi, ma lo stato emergenziale che al momento sta interessando la nostra nazione (e il resto del mondo) sembra accentuare sempre di più questa problematica. Se la sfera dell’educazione continuerà ad essere inascoltata e dimenticata, c’è il rischio concreto che sia costretta a pagare un prezzo molto più alto di quanto possa permettersi. Le scuole sono state le prime a chiudere ed è probabile che saranno le ultime a riaprire, se non saranno investiti tutti i fondi necessari per mettere in condizioni di agibilità e sicurezza le strutture interessate. In questa situazione emergenziale servono ulteriori strumenti economici rispetto a quelli già messi a disposizione dal ministero dell’istruzione nell’ambito della Programmazione unica nazionale 2018-2020 per l’edilizia scolastica (320 milioni di euro che si sommano ai 510 milioni già messi a disposizione lo scorso marzo). Proprio lo stop forzato della didattica delle aule dovrebbe essere un’occasione per operare, incentivare e velocizzare la realizzazione degli interventi di riqualificazione e messa in sicurezza delle scuole, tenuto conto che molti cantieri hanno avuto la possibilità di riaprire dal 27 aprile.

La questione del sistema scolastico non ha avuto la rilevanza che necessitava nella presentazione della fase 2 e nelle discussioni che ruotano attorno ad essa. Non c’è alcun dubbio che in tema di riapertura massima priorità vada data alla sicurezza, ma è altresì vero che bisogna strutturare un piano condiviso e organizzato per far sì che, con tutte le accortezze del caso, la didattica in presenza possa riprendere.

La situazione provocata dal COVID-19 e le sue conseguenze stanno evidenziando tutte quelle difficoltà e problematiche che per decenni sono rimaste inascoltate e marginali. Basti pensare alle contraddizioni sociali del sistema scolastico italiano che sono esplose in tutta la loro drammaticità nel mostrare che gli strumenti per seguire la didattica a distanza non erano per tutti gli stessi (nonostante i fondi investiti per le strumentazioni in comodato d’uso), oppure all’inadeguatezza dell’edilizia scolastica, che rende impossibile ripensare a una riorganizzazione della didattica in presenza con la stessa velocità degli altri paesi europei. Questa è l’inevitabile conseguenza di tagli e pochi investimenti rivolti al sistema scolastico: secondo i dati dell’Ocse, l’Italia spende per l’istruzione e l’università circa il 3,6% del Pil, quasi un punto e mezzo in meno rispetto alla media degli altri Paesi, pari al 5%. Ora il risultato di queste scelte poco oculate, che si sono succedute negli anni, rischia di essere pagato con gli interessi da studenti, insegnanti e collaboratori scolastici che sono le fondamenta della scuola, dato che l’edilizia scolastica (deteriorata dal tempo e priva di ristrutturazioni) sembra sempre più impossibilitata ad assolvere questo compito.

Timidamente si fa avanti qualche possibile scenario che cerca di dipingere le sorti dell’istruzione da settembre in poi e si scontra, inevitabilmente, con la mancanza degli strumenti necessari al sistema scolastico italiano per fronteggiare questa emergenza. Tra le proposte che si stanno discutendo per riprendere la didattica in presenza condizione trasversalmente necessaria per svolgere l’attività in totale sicurezza sarebbe mantenere le misure, imposte dal distanziamento sociale, tra ogni studente. Di norma le scuole costruite dopo gli anni ’70 hanno aule minori di 50 mq, tenendo conto delle misure di sicurezza potrebbero contenere, nella prospettiva di un’ipotetica riapertura, circa 12 studenti. Si presenta sotto i nostri occhi un’evidente difficoltà, se si tiene conto del fatto che vi sono classi con più di 30 alunni. Lo stato di emergenza dell’edilizia scolastica, il sovraffollamento e la necessità di ulteriori spazi da dedicare alle scuole, in precedenza reclamato da associazioni studentesche e sindacati, si scontra ora con la drammatica realtà dei fatti.

Gravi conseguenze si ripercuotono sulla questione occupazionale degli insegnanti precari, considerando che per ripartire è necessario un capitale umano maggiore di quello che fino ad adesso è stato impiegato. Riportiamo le parole della petizione del Coordinamento precari/ie scuola bologna in merito alla problematicità degli imminenti concorsi e alla difficoltà di una stabilizzazione dei precari con servizio: “Come insegnanti ci sentiamo sviliti e arrabbiati di fronte alla retorica messa in campo in questo momento dal MIUR, che mentre disegna i contorni illusori di una ineccepibile scuola 4.0, ci lascia soli e senza indicazioni chiare sul proseguimento delle attività presenti e future.(…) E’ necessario che vi sia un personale numericamente adeguato e posto in condizioni di lavoro serene e dignitose.”

A queste difficoltà materiali, che emergono immaginando una riapertura dei plessi scolastici, si aggiunge una problematica meno tangibile, ma non per questo meno impellente. Cosa succederà alla didattica? Quale scuola si presenterà post COVID-19? Non sarebbe realistico pensare che mesi di didattica a distanza non avranno alcuna influenza sul futuro della scuola, oppure che i loro effetti saranno cancellati nel momento in cui le lezioni riprenderanno in presenza.

La situazione emergenziale che ha reso impossibile frequentare i plessi scolastici ha costretto insegnanti e studenti a reinventare una nuova modalità di fare scuola, di apprendere e istruire cercando, attraverso i mezzi della tecnologia, di diminuire le distanze. Fortunatamente l’energia di molti docenti, in anticipo sulle indicazioni ministeriali in merito alla DAD (didattica a distanza), è stata spesa nello sperimentare nuove tecniche che permettessero di non far sì che questa pausa forzata bloccasse completamente la didattica. Fermo restando che la DAD rimane l’unica soluzione possibile (infatti, anche se non può risolvere il problema dell’istruzione in questa fase, riesce quanto meno ad arginarlo) è doveroso però ricordare che non è in grado di sostituire la didattica in presenza e che lo stesso diritto allo studio non può dirsi, purtroppo, pienamente garantito.

In quest’ottica le considerazioni premature che tendono a esaltare le potenzialità della didattica a distanza sono accompagnate da una velata pericolosità. Nell’ultimo periodo abbiamo sentito spesso ripetere che un risvolto positivo di questa emergenza potrebbe essere una velocizzazione del “processo di digitalizzazione della scuola italiana”. Se è vero che le potenzialità degli strumenti tecnologici erano raramente sfruttate a pieno nel mondo dell’istruzione, bisogna anche riconoscere che un armonioso connubio tra il mondo digitale e i banchi di scuola si avrà solo con strutturati corsi di formazione, progressive sperimentazioni, ma soprattutto con l’entusiasmo di studenti e insegnanti decisi a rinnovare il mondo della scuola e le tecniche di apprendimento. L’entusiasmo è senza ombra di dubbio un elemento difficile da trovare nel clima che stiamo vivendo e nella forzata immersione digitale che ha interessato la scuola a causa del COVID-19, senza la preparazione necessaria.

Questo drammatico momento di difficoltà potrebbe essere la giusta occasione per una riflessione costruttiva e strutturata sul valore e sul significato profondo dell’istruzione. Tutto ciò che non è replicabile e di cui si sente più la mancanza in questo periodo coincide con il mondo nella scuola non compreso nel mero svolgimento del programma o nelle asettiche valutazioni numeriche.

Se la DAD permette di non interrompere la didattica non è per merito della tecnologia, ma in virtù del rapporto instauratosi nei mesi e negli anni precedenti tra studenti e insegnanti, che si adoperano ora, con strumenti digitali, per tentare di continuarlo a distanza. Diversamente, senza tutto il lavoro svolto prima di questi mesi tra i banchi, non sarebbe stato possibile nemmeno pensare di avviare la didattica a distanza.

La condivisione dei saperi, le relazioni sociali, il dialogo, l’ascolto, il contatto non sono replicabili con il medium di uno schermo. Elogiare a gran voce un rinnovamento digitale, che per altro è molto lontano dalla situazione attuale, rischia di sminuire il valore e l’importanza della didattica in presenza.

E’ proprio nella distanza che si deve comprendere il valore della presenza, in particolare della presenza tra i banchi di scuola. E’ necessario sviluppare, in questa fase di riflessione, gli strumenti culturali per non affogare nell’immersione digitale a cui siamo destinati, capire il valore di tutto ciò che ci manca ora, per farne le fondamenta della scuola del futuro, ricostruire aule che abbiano gli anticorpi necessari per resistere all’alienazione del mondo digitale

Articolo di Greta Gorzoni