L'associazione Italo-francese
delle frontiere in cammino
La libertà di movimento è riconosciuta dalla nostra Costituzione; se questa sia un diritto naturale oppure no, bisogna allora riflettere su cosa effettivamente sia un diritto naturale. Tuttavia, essa è una parte imprescindibile della vita umana e coloro che migrano, ieri come oggi, hanno uno stimolo ben superiore all’appartenenza territoriale. Ogni giorno, ci sono due scenari paralleli e possibili che avvengono tra le montagne italo-francesi: coloro che raggiungono la meta e coloro che vengono respinti; il terzo scenario, fatale e tragico, è solamente intuibile.
Eppure la frontiera è stata militarizzata ma qui continuano a passare: nonostante tutto, c’è porosità e c’è un passaggio. Prima che arrivasse il turismo privilegiato, l’alta valle compresa tra Bardonecchia, Oulx e Claviere ha da sempre vissuto la propria evoluzione dapprima con il Sentiero dei Mandarini e successivamente con la realizzazione della ferrovia cambiando la geografia del posto. Le frontiere diventano incomprensibili senza aver chiara l’origine dei vari cammini: la rotta balcanica, il Mar Mediterraneo centrale, i mercati del lavoro forzato e le richieste europee. Le frontiere si modellano, si ripetono e si diversificano ma presentano tutte una caratteristica isomorfa: la politica del consenso interno oltre che strutturale. In una valle come questa, caratterizzata dagli inverni rigidi e nevosi, dal 2015 non si arresta il tentativo di attraversare il confine tra i due stati sia per una necessità di viaggio, di orizzonte retorico, di ricongiungimento familiare ma soprattutto, dopo aver attraversando territori difficili o mari impossibili, per mesi o anni, non è di certo la montagna a fermare la mobilità che non segue logiche di tipo locale. Le mete finali, a volte, non sono precise ma vengono costruite in itinere e secondo la propria possibilità economica; per viaggiare hanno speso capitali enormi con la consapevolezza della restituzione alle reti di parentato, di vicinato e tutte quelle possibili.
La valle si presenta frammentata geograficamente e ciò aumenta le difficoltà per raccogliere dei dati precisi in quanto le modalità di respingimento sono molto eterogenee, ci sono diversi valichi di frontiera: ci sono respingimenti che avvengono al Frejus e ci sono respingimenti che avvengono a Montgenèvre. Di notte, le persone respinte vengono portate al Rifugio Solidale di Oulx, sia dalla Croce Rossa sia dalla Polizia di stato italiana. Durante il giorno, invece, la Polizia di stato italiana riporta le persone in Italia e le lascia tra le strade di Oulx o a Bardonecchia. Dall’altra parte, ad Ovest del Monginevro, a Briançon è presente il Refuge Solidarie: solo con la collaborazione tra le associazioni italo-francesi si può avere una stima di quante sono state le persone accolte e dunque quante persone hanno raggiunto la meta intermedia, la Francia. Avere dei dati più precisi potrebbe essere utile per stimolare un intervento più strutturato da parte delle istituzioni perché in questo momento sul territorio sono presenti soprattutto le associazioni e ONG o individui singoli che stanno gestendo questa situazione, che stanno cercando di tamponare questa emergenza che neanche dovrebbe avere questo titolo.
Non sono migranti ma frontiere in cammino
La Casa Cantoniera di Oulx è una realtà di sostegno e di accoglienza situata nella parte finale della cittadina: l’ultimo alloggio prima della partenza. Di stampo filo-anarchico, raccoglie in sè ragazze e ragazzi provenienti principalmente dall’Italia e dalla Francia mossi dal principio della libertà di movimento per tutte e tutti.
In Val di Susa
dal 2015 è in corso
un cambio di rotta:
il turismo non è
quasi più bianco
e privilegiato
ma migrante
ed in cammino.

Ad Oulx, nei pressi della Casa, il bus per Claviere non è mai puntuale. Tuttavia, questa caratteristica non ferma la necessità di intraprendere questa parte specifica del loro viaggio iniziato da almeno un paio di anni: il raggiungimento della Francia. Claviere dunque è l’ultima città italiana prima del raggiungimento del confine francese.

Lasciata alle spalle la chiesa che fu occupata all’inizio del fenomeno, i ragazzi si preparano al viaggio cercando di non perdere le informazioni del percorso. C’è confusione: linguistica, d’animo e di aspettative differenti. La neve è abbondante e i ci sono -6 gradi. L’auspicio è che tutti possano salvarsi, raggiungere lo stato francese senza un respingimento in Italia e che possa venire accolta la loro richiesta di asilo.

C’è chi indossa degli scarponi, chi degli stivali e chi, invece, non li ha. Un telo termico inserito tra il piede e la calza, non basterà ma, si sa, che quello è sempre stato il telo della salvezza perlomeno mediatica e visiva.

Diverse le nazionalità e per lo più Afghanistan, Iran e Gambia. Alcuni sorridono, altri sono timorosi. Da questo momento, si cammina: il turismo è migrante in questa valle.

Mentre il gruppo precedente ben visibile dai vestiti indossati e numeroso si avvia verso le quattro ore di cammino, altrettante persone, tra cui un padre con il proprio figlio minorenne, hanno sbagliato il sentiero, scegliendo inconsapevolmente il più pericoloso. L’errore, forse, è dovuto alla condivisione di tracciati già sperimentati da altri connazionali nella stagione calda e inagibili nella stagione invernale. Nel frattempo, i volti dell’associazionismo italiano e francese, iniziano il proprio lavoro in attesa di un segnale.

Il cambio di rotta non scoraggia la loro forza e resistenza. “Noi stiamo viaggiando da due anni, arriviamo dalle montagne di là, da Kabul. In Italia siamo arrivati a piedi una settimana fa ed ora continuiamo, a piedi”, spiega uno dei ragazzi incontrati sul colle.

In Italia, le persone vogliono partire, vogliono raggiungere altre mete e legami familiari. Non vogliono restare. A Briançon, c’è chi come Médecins Du Monde che soccorre, una volta imbrunito, coloro che vengono intercettati sulla montagna. L’unità mobile composta da due infermiere, Caroline e Brune, posizionata a Montgenèvre (città spartiacque tra i due stati), ricopre ogni notte ed ogni giorno, un turno di circa cinque ore per assistere e mettere in salvo quei ragazzi, donne, bambini che hanno camminato nelle neve per ore presentando principi di congelamento degli arti o shock psicologici.

“Vi ricordate il primo salvataggio ad un migrante?”. Ivana e Mario, due soccorritori della CR, iniziano il turno controllando che tutti gli strumenti necessari siano nella loro unità mobile per soccorrere eventuali migranti. Se dal lato francese si preparano al lieto fine, dal lato italiano la Croce Rossa è in allerta. Iniziano un tour notturno tra le cittadine di Busson e Claviere, stabilendosi poi in quest’ultima. Nel frattempo, è arrivata una chiamata da parte della Polizia: sono state respinte delle persone.

Alla dogana italo-francese, in gergo Paf, la CR si assicura e controlla le condizioni di salute delle persone respinte e ritrovate tra le montagne e nel raggio dei primi 20 km francesi per respingerli in Italia in quanto “dublinati” in Italia oppure con la mancata ricezione di una eventuale richiesta di asilo. Tutti i ragazzi che hanno intrapreso il viaggio nel pomeriggio sono stati respinti.

Qualcuno di loro, per necessità sanitarie, viene portato all’ospedale; altri vengono trattenuti nella stanza della Gendarmerie posta al confine in attesa di ulteriori controlli. I due ragazzi afgani, il padre ed il proprio figlio vengono invece portati al punto di partenza, ad Oulx nella struttura ricettiva del Rifugio Solidale. Sono le undici di notte.

“Rendete manifesto, esplicito, che voi volete richiedere asilo”, e nonostante ciò sono stati respinti. Gaia Pasini che si occupa dello sportello legale in collaborazione con Diaconia Valdese e Danish Refugee Council, situato a Oulx, raccoglie le testimonianze di alcuni di loro che spesso decidono di non sporgere denuncia, di non fare ricorso, perché passare per vie legali spaventa e potrebbe rallentare il loro viaggio, l'avvicinarsi della loro meta. Questo, è un caso di respingimento illegittimo, perché se una persona manifesta la volontà di rimanere in Francia non dovrebbe essere respinta. Dovrebbe essere trattenuta, dovrebbero essere fatte tutte le verifiche del caso: dovessero rientrare nell'ordinamento di Dublino allora si avvia la procedura di Dublino e dunque una procedura di rimpatrio, di respingimento verso l'Italia. Però è una procedura lunga, regolamentata da leggi europee.

Prima di entrare al Rifugio vengono presi alcuni dati e generalità: la nazionalità e l’età con il solo scopo di registrare dei dati volti ad un monitoraggio del fenomeno territoriale.

Al Rifugio Solidale nel quale si alternano tre volontari e alcuni ragazzi del movimento Giovani No-Tav prestano servizio dalle 16 alle 10 del mattino seguente. Il viaggio non si arresta e l’indomani potrebbe essere un’altra opportunità per superare il confine.

Nel frattempo i volontari francesi, si preparano al soccorso, insieme a Médecins du Monde: la neve non cessa ed i sentieri sono pericolosi. Si stabilisce quali saranno i sentirti da coprire per il turno.

Una volta definiti i sentieri da percorrere e da pattugliare, avviene la scelta dei capi squadra e delle coppie di soccorso.

Ogni sera avviene la Maraud, (dal francese, “ronda”) di Médecins du Monde. Caroline e Brune cercano di intravedere migranti tra le montagne al confine in attesa di soccorso medico.

Se, nella maggior parte dei casi avvengono dei respingimenti perlopiù illegittimi, alcuni ce la fanno. Nove persone, tra cui un bambino portato in spalla dal padre vengono intercettati e soccorsi: il diritto alla salute supera le frontiere francesi.
Per molti migranti
l’inferno di acqua e sale
viene sostituito
da quello
di freddo e neve,
ma la loro
resistenza alla vita
rimane invariata.

Il posto della buona riuscita e del non-ritorno: Briançon e il Refuge Solidaire. Qui vengono accompagnati dall’équipe di Médecins du Monde dove altri volontari e volontarie garantiscono un posto caldo successivo al viaggio. Una condizione temporanea di stabilità per una successiva tappa.

Agnese fa parte dell’associazione Tout Migrants che collabora sia con il Refuge Solidaire sia con le realtà di associazionismo dal lato italiano. ”Alcuni cittadini ci definiscono pro-migrant: il problema non è essere pro o contro i migranti. Il problema sono i diritti umani, c’è una Dichiarazione. C’è una stigmatizzazione politica e l’opinione pubblica non sono la realtà. Non ci può essere una paura alla solidarietà”.

Una volta accolti dal lato francese, la collaborazione tra le realtà associative non si arresta: gli scarponi del viaggio tornano al punto di partenza, a Oulx. Ci sono altre persone in cammino, altri viaggi ed altre giornate di viaggio. Tutto è in movimento e anche la libertà.

Elena Pozzallo, cittadina di Oulx ha vissuto un’esperienza di accoglienza diretta di Mathieu, un ragazzo camerunense soccorso, ed oggi gestisce la logistica ed il magazzino del Rifugio Solidale di Oulx contenente principalmente scarponi senza stringhe, facili ed intuitivi, per chi, come per la maggior parte, la neve è la prima volta che la vede. Verso la fine dell'autunno del 2018, si è creato un gruppo di persone all'interno del movimento No-Tav che in “qualche modo si occupavano di questa cosa qua, perché ci si è resi conto che era ed è un problema”.

”Alla fin fine l'ho portato a casa, è stato quattro mesi e mezzo con me perchè quando è arrivato sembrava che dovessero tagliargli i piedi, quando è uscito dall'ospedale sembrava dovessero tagliargli forse solo le dita, e poi dopo non gli hanno tagliato niente ed è partito”, spiega Elena Pozzallo. I passi sono già un solco, le frontiere ed i confini non sono i medesimi e tra le montagne, i volontari italiani e francesi lo sanno bene, nessuno si lascia da solo.
Il progetto
L’idea di sviluppare un fotoreportage che portasse la firma di Scomodo nasce dall’esigenza di sperimentare nuove forme di scrittura e di approfondimento giornalistico.
In particolare, la scelta dell’argomento si è presentata quasi naturalmente: da un lato, per cercare di colmare un vuoto mediatico
riguardante il fenomeno della migrazione transalpina e, dall’altro,
per una sensibilità propria e specifica che caratterizza la redazione
torinese considerata la vicinanza territoriale al fenomeno stesso. Il
progetto nel concreto si è sviluppato tra la fine di novembre 2020
ed il mese di dicembre 2020. Nello specifico, sotto presa visione e
costante confronto con Pietro Forti, Senza Stringhe è stato condotto da Federica Tessari per la realizzazione del reportage e dei testi,
da Elena Lovato e da Andrea Pellegrini che hanno realizzato le fotografie e Stefano Stranges, fotoreporter professionista che ha sia
collaborato dal punto di vista fotografico ma che ha anche assunto
il ruolo di formatore per i due fotografi. Inoltre, hanno collaborato
alla realizzazione di questo progetto, ragazze e ragazzi delle altre
redazioni locali quali Gina Marano, Federica Tosi, Hewan Vitrano,
Teresa Fraioli, Cecilia Pellizzari, Clara Villani, Anita Colombo, Lorenzo Soprani e Matteo Giacca.
Si ringraziano infine tutte le realtà associative che hanno avuto il
piacere e la disponibilità di incontrare Scomodo in terra di confine.