Sette anni senza pace in Donbass

Tavoli internazionali e cessate il fuoco ma nessuna soluzione all’orizzonte

Sono passati sette anni dall’inizio del conflitto in Donbass, sul confine russo-ucraino, ma non sembra esserci ancora alcuna soluzione percorribile. Nemmeno il presidente Zelenskij, che pure ha puntato molto sulla pace durante la campagna elettorale del 2019, pare essere in grado di porre fine a questo conflitto per concentrarsi su altri temi pressanti come la corruzione nelle istituzioni, gli oligarchi e la diffusa povertà. Amministrazione Janukovič esclusa, l’Ucraina ha sempre tentato, con poco successo fino a ora, di soddisfare i criteri per l’ammissione nell’Unione Europea, scelta ovviamente intollerabile per le autorità russe. Tuttavia, un ampio ed efficace programma di riforme è di difficile realizzazione nelle condizioni attuali. 

A questo vanno ad aggiungersi le tensioni degli ultimi giorni. Nel Donbass, la zona di confine tra Russia e Ucraina sono stati registrati movimenti dell’esercito russo, con convogli provenienti anche da distretti lontani (Siberia). La reazione dell’Ucraina, ma anche degli Stati Uniti, è stata ovviamente di netta condanna. Germania e Francia invece hanno subito aspre critiche per aver invitato entrambi le parti a ridurre la tensione. L’Ucraina infatti ha voluto ricordare che non si tratta di una guerra per un territorio conteso ma di un’occupazione straniera. Dal canto suo, la Russia si è giustificata affermando che gli spostamenti di truppe all’interno del Paese sono una questione interna e che nessuno dovrebbe interferire. Gli esperti sono divisi sull’interpretazione di questa mobilitazione: alcuni ritengono che potrebbe dar vita a un nuovo scontro mentre altri sostengono che qualora avesse voluto sferrare un attacco, Putin avrebbe sfruttato l’elemento a sorpresa. 

Alla luce di questo rinnovato interesse verso gli eventi ucraini, conviene rinfrescare alcuni momenti chiave. Tutto inizia in seguito all’Euromaidan, la protesta contro il rifiuto del presidente filorusso Janukovič di firmare gli accordi di avvicinamento tra Ucraina e Unione Europea. Approfittando delle proteste, che porteranno alle dimissioni dello stesso Janukovič nel febbraio 2014, la Russia invade la Crimea. In seguito, il 6 aprile 2014, alcuni manifestanti pro-russi occupano edifici amministrativi nelle città di Lugansk e Donetsk, nella regione del Donbass. La risposta del governo ucraino non si fa attendere, ma dà origine a un conflitto tuttora irrisolto e senza una precisa data di scadenza. 

Negli anni successivi ci sono stati eventi importanti come l’ingresso di una colonna di carri armati russi in territorio ucraino il 25 agosto 2014 nei pressi di Novoazovsk, evento definito come “errore” dal ministro degli Esteri russo Lavrov, ma che ha rappresentato il primo segnale della presenza russa nell’area. Negli anni si sono poi susseguite sanzioni, incontri e cessate il fuoco che hanno permesso la nascita di un impianto teorico per risolvere il conflitto, ma che finora non è mai stato veramente applicato. 

 

L’ascesa di Zelenskij e gli sviluppi su tavoli internazionali 

Poco più di un anno dopo l’Euromaidan, precisamente il 16 ottobre del 2015, debuttò “Sluha Narodu” (Servitore Del Popolo), una serie televisiva di satira politica. L’ideatore, regista e protagonista della serie si chiama Volodymyr Zelenskij. La serie è diventata ben presto una delle più amate e viste della storia dell’Ucraina e nel marzo del 2018 Zelenskij, sulla scia del successo mediatico, ha fondato un partito chiamandolo appunto Sluha Narodu. Ciò che più ha reso popolare il partito sono state due promesse: la lotta alla corruzione (e agli oligarchi) e la fine della guerra in Donbass. Zelenskij è stato eletto presidente dell’Ucraina il 21 aprile del 2019 e nel luglio dello stesso anno il suo partito ha ottenuto il 44% dei voti alle elezioni legislative, la percentuale più alta dall’indipendenza dall’URSS nel 1991.

Zelenskij si è mosso come promesso per risolvere nel più breve tempo possibile la situazione del Donbass. Il 21 luglio dello stesso anno ha avuto luogo il primo tentativo di cessate il fuoco dal parte del neo presidente (quasi cinque anni dopo il primo, tentato col protocollo di Minsk). Nell’ottobre dello stesso anno ha approvato la formula Steinmeier: questa formula proposta nel 2015 dall’allora ministro degli Esteri tedesco, da cui prende il nome, prevedeva prima ancora del ritiro delle truppe russe la costituzione di una zona a statuto speciale dopo un’apposita votazione nella regione interessata, il tutto sotto la supervisione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). Nel settembre e nel dicembre del 2019 si sono verificati i primi scambi di prigionieri da parte delle due fazioni. 

Il 9 dicembre a Parigi si è tenuto il vertice del quartetto Normandia (Germania, Francia, Ucraina e Russia), inattivo dal 2016. Durante questo incontro è stata ribadita l’importanza del rispetto del cessate il fuoco, oltre che della rimozione di truppe. Il protocollo Steinmeier, invece, è tuttora una questione irrisolta. Il bilancio complessivo del conflitto, che ancora prosegue, stilato nel marzo del 2020 è stato di tredicimila morti, trentamila feriti e un milione quattrocentomila persone sfollate dall’inizio del conflitto. Sono state tre milioni e quattrocentomila le persone che hanno necessitato di aiuti umanitari e centocinquantotto milioni di dollari che sono stati richiesti dalle Nazioni Unite per l’assistenza e la protezione delle persone vulnerabili nell’Ucraina orientale.

L’effetto delle manovre che sono state intraprese durante la fine del 2019 ha determinato un calo di scontri a fuoco e di vittime per l’intero anno successivo, i quali non sono comunque cessati in maniera significativa. Come riportato dall’Osce nel solo mese a cavallo tra dicembre 2020 e gennaio 2021 sono state duemila centoventitré le violazioni del cessate il fuoco contro le quindicimilacinquecento violazioni riportate nello stesso periodo dell’anno precedente. I morti sono stati ventitré con centocinque feriti. Nel novembre del 2020 Zelenskij ha proposto l’invio di millecinquecento agenti di polizia dell’Osce per il pattugliamento della zona. Il progetto del presidente ucraino consiste nella più rapida smilitarizzazione possibile per l’avvio del protocollo Steinmeier, sperando nella sua concretizzazione anche tramite un nuovo ciclo di incontri del quartetto Normandia.

Ciononostante, il malcontento e le critiche della popolazione hanno iniziato a mostrarsi anche per questo presidente che più di chiunque altro ha incarnato l’opportunità di cambiamento in una Ucraina che continua a combattere con due importanti problemi della nazione, gli stessi problemi che Zelenskij e il partito Sluha Narodu hanno giurato di combattere. L’elezione di Joe Biden ha costituito una nuova speranza per il presidente ucraino, che potrebbe godere del ritorno degli Stati Uniti come risorsa efficace per smuovere una situazione che pare attualmente statica.   

 

L’Osce lavora per la pace, la Russia distribuisce passaporti

L’Osce ha avviato, il 21 marzo 2014, la Missione Speciale di Monitoraggio in Ucraina, a seguito di una richiesta da parte di Kiev. Si tratta di una missione civile, non armata, sempre presente sul terreno ucraino. Gli obiettivi principali sono osservare e riferire in modo imparziale sulla situazione in Ucraina e facilitare il dialogo tra le parti in conflitto. 

La crisi del Donbass ha colpito in primo luogo i civili. Molti aspetti della loro vita dipendono dalla riuscita dell’attraversamento delle cosiddette linee di contatto al confine tra la zona in conflitto e il resto dell’Ucraina. Dal 2015, i civili sono stati in grado di attraversare la linea, lunga quasi cinquecento chilometri, solo in cinque punti. Negli ultimi sei anni, le limitazioni di attraversamento nelle regioni di Donetsk e Luhansk hanno interrotto le possibilità di connessione tra le comunità che si trovano in entrambi i lati della linea. Inoltre, a partire da marzo 2020 e con l’inizio della pandemia, le autorità hanno ulteriormente ridotto la capacità dei civili di attraversare. Si tratta di una grave conseguenza, più volte segnalata dall’Osce, non solo per coloro che cercano di attraversare per ottenere migliori opportunità lavorative, ma anche per chi vuole vedere parenti, amici. Gli anziani, invece, viaggiano dalle aree non governative a quelle controllate dal governo per riscuotere le loro pensioni. Tuttavia, a causa della chiusura dei già non numerosi check-point (di otto esistenti solo uno era aperto) dovuta alla pandemia, il flusso di pensionati è diminuito drasticamente. 

L’Osce, la cui missione è recentemente stata rinnovata per un altro anno, fornisce inoltre report quotidiani sulla situazione nel Donbass, soprattutto sullo stato dei cessate il fuoco. Come riportato, nel 2020 sono stati registrate duemilacinquecento violazioni del cessate il fuoco, il 55% in meno rispetto al 2019. Quanto al 2021, in questi primi mesi dell’anno sono ulteriormente diminuite le violazioni, grazie anche anche alla situazione sanitaria. La ministra degli Esteri svedese Ann Linde, al momento presidente dell’Osce, durante un viaggio nella regione a gennaio, ha riferito che sono però necessarie misure più solide per proteggere il fragile cessate il fuoco. Infatti, continuano a esserci fatalità tra i militari e i civili; nel 2020 il conto ammonta a centoventotto vittime civili, di cui ventitré morti e centocinque feriti mentre le vittime tra i militari hanno una cadenza quasi quotidiana. 

Intanto Mosca ha finora rilasciato quasi duecentomila passaporti russi ai cittadini che vivono nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Questa è senza dubbio una minaccia indiretta al processo di pace di Minsk: la Russia sta deliberatamente rendendo sempre più complicata la risoluzione delle controversie con l’Ucraina al fine di creare una “instabilità controllata” in quei territori. Infatti, il governo russo sta cercando di contrastare il proprio declino naturale della popolazione attraverso l’immigrazione. E a causa del conflitto ucraino, sempre più persone sono emigrate in Russia in cerca di lavoro e di una vita più sicura. La scelta ha doppio fine: controllare la situazione nel Donbass e allo stesso tempo attirare sempre più persone verso il Paese. 

Articolo di Elena Allara, Davide Meda e Luca Zucchetti