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Shanghai, estirpare o convivere?
Il lockdown sta mettendo a dura prova la strategia “Zero COVID” di Pechino
Dal 23 marzo la città di Shanghai, polo principale a livello economico-finanziario per l’economia cinese e porto commerciale più trafficato al mondo, si trova sotto un duro lockdown che ha colpito l’intera popolazione cittadina, causato dalla maggior crescita di contagi mai registrata nell’area dallo scoppio della pandemia. Una decisione che ha di fatto bloccato uno degli snodi fondamentali del commercio globale, vista la centralità del porto cittadino all’interno della catena di approvvigionamento già durante colpita da due anni di crisi pandemica generalizzata, il cui impatto sull’economia cinese e internazionale sarà tangibile nei prossimi mesi. Oltre alle questioni economiche, va segnalata la sempre maggior insofferenza del popolo cinese nei confronti delle durissime politiche di contenimento sanitario promosse dalle autorità municipali: in rete testimonianze di proteste da parte dei cittadini si moltiplicano giornalmente, tra cui in video recentemente esploso su WeChat che sta circolando molto sull’app di messaggistica istantanea cinese che raccoglie al suo interno le manifestazioni di dissenso della popolazione.
Questa serie di elementi sta mettendo in crisi la Zero COVID Policy promossa dal governo di Xi Jinping, la strategia di contenimento locale all’insorgere di un numero limitato di casi tramite screening di massa e lockdown locali che ha permesso alla Cina di gestire in maniera efficace lo sviluppo del COVID nel paese. Pur avendo dato i natali al virus, gli ultimi dati pubblicati dalle autorità governative cinesi mostrano come dall’inizio della pandemia siano morte solo 13901 persone: un dato lontanissimo dai 163000 morti in Italia, per quanto molto spesso contestato nella sua veridicità. I recenti sviluppi a Shanghai han spinto però molti analisti a credere che sia giunto il momento per la Cina di abbandonare questa politica, per quanto il Governo cinese appaia ancora oggi convinto, pur dinanzi all’evidenza dei fatti, che la Zero COVID sia l’unica strada percorribile per il paese.
I problemi della Zero COVID Policy
Nancy Quian, professoressa di economia manageriale presso la Northwestern University’s Kellogg School of Management, ha analizzato quelli che sono gli attuali limiti della strategia di contenimento del COVID 19 perseguita in maniera così religiosa dal Partito Comunista cinese. A suo avviso, come ben dimostrato da un suo articolo sul sito Project Sindacate, il problema principale di una simile strategia risiede fondamentalmente nel suo stesso successo: il passaggio ad una strategia più moderata comporterebbe infatti un certo aumento di ricoveri e morti, non tale da far raggiungere i numeri toccati da buona parte dei paesi occidentali ma difficile da accettare per un paese che ha cercato negli ultimi due anni di mantenere il numero delle morti sullo 0. Una impostazione che ha anche segnato il totale fallimento della campagna di vaccinazione all’interno della Cina continentale tra le categorie maggiormente a rischio della popolazione, più preoccupate per i possibili effetti avversi del vaccino piuttosto che di contrarre il virus. I dati in questo senso sono preoccupanti: ben il 40% della popolazione over-80 e il 20% di quella in età compresa fra i 60 e i 79 anni non hanno ricevuto neanche una singola dose di vaccino.
Un problema che si lega direttamente alla scarsa efficacia dei vaccini prodotti nazionalmente Sinovac e Sinopharm e alla decisione da parte del governo cinese di puntare unicamente sulla loro diffusione sul territorio interno, senza rendere disponibili i vaccini a mRna sviluppati nei paesi occidentali. Una decisione figlia della voglia di Pechino di dare totale precedenza ai propri vaccini, nella speranza che i loro risultati avrebbero permesso un loro export su scala globale, innalzando la Cina a grado di leader farmaceutico e divenendo così una preziosa arma per il soft power caro alla leadership di Xi Jinping. Tutti questi fattori hanno così dato vita ad una campagna vaccinale estremamente debole, specie nelle fasce che maggiormente necessitano di protezione dalle forme più gravi della malattia.
Il colpo di grazia per Cina è stato però rappresentato dall’avvento della variante Omicron, estremamente contagiosa e capace in Occidente di bucare le difese sviluppate dai vaccini a mRna, per quanto sviluppando principalmente sintomi estremamente deboli. In Cina però, l’estrema trasmissibilità di Omicron e la scarsa percentuale di vaccinazione nelle fasce maggiormente a rischio della popolazione, unite al già scarso livello di protezione offerto dai vaccini cinesi, han trasformato la nuova variante in una bomba epidemiologica devastante, la quale ha fatto raggiungere il massimo livello di casi riscontrati da inizio pandemia in tutte le aree dove si è sviluppata, non ultima la stessa Shanghai.
Shanghai e il necessario cambio di passo
Questa serie di eventi, come sottolineato da un gran numero di analisti, avrebbe dovuto spingere il governo di Pechino ad interrogarsi sull’effettiva efficacia della propria Zero COVID Policy. Gli organi centrali del Partito Comunista Cinese han invece deciso di mantenere fede a quella strategia che aveva permesso al paese di uscire per primo dalla dura fase di repressione della circolazione del virus durante il primo lockdown, concedendo così alla Cina un vantaggio competitivo rispetto al mondo non indifferente per la ripresa della propria economia, e il cui successo era testimoniato dal numero esiguo di morti nei dati ufficiali. Dinanzi al dilagare dell’ondata di Omicron che ha colpito Shanghai, le autorità municipali han scelto di dar seguito alla strategia fino ad ora attuata, dando così vita ai disastrosi risultati che è possibile osservare oggi.
Dinanzi ad Omicron, ogni strada alternativa a quella di tentare di convivere con il virus sfruttando la protezione offerta dai vaccini appare destinata a fallire: gli avvenimenti di Shanghai assomigliano sempre più alla pietra tomba sulle speranze di contrastare il virus tramite l’utilizzo di lockdown mirati di breve durata per stroncare sul nascere la sua circolazione. Una realizzazione che adesso anche il governo di Xi Jinping ha fatto propria, mentre la locomotiva economica cinese supera il primo mese di lockdown e le proteste degli abitanti fanno il giro del mondo causando un danno d’immagine incalcolabile alla Cina. L’impossibilità di mantenere chiuso uno dei fulcri economici globali ha quindi spinto la Cina a promuovere per la prima volta da inizio pandemia delle concessioni pensate per rimettere in moto l’economia di Shanghai.
Come riportato dal South China Morning Post, la Commissione per l’Economia e per le Tecnologie dell’Informazione di Shanghai, organo preposto al controllo della sviluppo industriale della città, ha iniziato ad allentare le misure del lockdown cittadino verso le industrie, in comune accordo con le autorità governative. In questo caso si parla di vere e proprie “white list” di aziende, direttamente scelte dagli organi del PCC in quanto ritenute d’importanza strategica per l’economia e la società cinese, a cui viene permesso di riprendere la produzione. Per il momento si parla di 666 aziende, scelte principalmente all’interno del settore automobilistico, della produzione di semiconduttori e della produzione energetica, tra cui figurano anche colossi multinazionali come Tesla.
Proprio l’azienda di Elon Musk è stata una delle prime ad implementare questo nuovo regime di ripresa della produzione tramite l’utilizzo di un “sistema a circuito chiuso”, che prevede per gli 8000 operai dello stabilimento il trasferimento all’interno dell’edificio come condizione necessaria per riprendere i lavori. Gli stabilimenti delle aziende scelte divengono così delle vere e proprie bolle, all’interno delle quali il lavoratore è costantemente sorvegliato tramite screening di massa ed è totalmente impossibilitato a tornare a casa. Una concessione che può apparire minima ma necessaria nell’ottica del governo di Pechino per la ripresa di una supply chain così gravemente colpita da un mese di nuovo lockdown e che vede in Shanghai uno dei suoi snodi fondamentali a livello globale.
Questo primo provvedimento mostra la volontà da parte del governo cinese di cercare una mediazione rispetto alla dura politica sanitaria che lo aveva fino ad oggi contraddistinto. Gli avvenimenti di Shanghai han dimostrato alla leadership di Xi Jinping come l’economia e la popolazione cinese possano entrare in profonda difficoltà all’interno delle fasi di lockdown e i video delle proteste dei cittadini sono stati un duro colpo per la credibilità a livello internazionale del leader cinese. La Cina si appresta così a muovere verso una posizione sempre più mitigata e ad introdurre gradualmente il concetto di convivenza con il virus, per quanto questo debba passare per forza di cose da un miglioramento delle percentuali di popolazione vaccinata nelle fasce d’età a rischio e nel perfezionamento dei vaccini nazionali per aumentare la loro efficacia nei confronti di Omicron.
Articolo di Luca Bagnariol