Stato-Nazione

06/10/2020

“Quando i confini dello Stato-Nazione diventano un limite per assolvere ai propri compiti, viene sostituito da soggetti in grado di varcarne le soglie.”

Nella scienza giuridica lo Stato si fonda su tre pilastri: il territorio, il popolo, la sovranità. Il “popolo” rappresenta la legittimazione politica, la creazione di una appartenenza nazionale che nasce dall’ancestrale legame di sangue; la “sovranità” indica il potere inteso come imperio dello Stato-apparato, che regola e tutela; e il “territorio” è la dimensione spaziale dove tutto ciò si costruisce e si identifica. Unendo i pezzi, lo “Stato-Nazione” risulta in un ente politico strutturato, fondato su un’appartenenza culturale, etnica e territoriale, che nasce per rispondere a due esigenze: la tutela degli individui e la creazione di un sentimento di appartenenza.

Dedicare un’indagine ai limiti dello Stato Nazione può sembrare una mossa azzardata agli occhi dei lettori, considerato che dagli albori della globalizzazione, negli anni ’80, giuristi, politologi, giornalisti e sociologi vari ne profetizzato ciclicamente la definitiva caduta. In un certo senso si può affermare che quella dello Stato Nazione è la crisi più longeva e prevedibile che potessimo aspettarci.

Eppure nessun soggetto è riuscito nel sostituirsi a questo immortale ente nella scacchiera internazionale. Questo perché serve ancora una monade, una “unità” che possa operare sul piano internazionale, sia con strumenti coercitivi che di tutela, al pari degli Stati sovrani. Se già nello scorso secolo erano emersi soggetti in grado di esercitare una certa influenza (basta pensare al potere che vantava la Compagnia delle Indie Orientali) è pur vero che questa rimaneva, appunto, un’influenza priva di un vero e proprio potere coercitivo.

Il motivo di una nuova indagine in questo senso va allora ricercato in una diversa portata dei soggetti sovrastatali, grandi proprietà multinazionali in particolare, che non solo vedono accresciuto il loro potere contrattuale verso gli Stati, ma che giungono quasi ad assolverne le funzioni. Rivolgendosi direttamente ai cittadini, i grandi proprietari riescono ad avvertire con un certo anticipo la necessità di agire, muovendo rapidamente le loro risorse. Ne è un esempio Microsoft, che nella zona di Seattle ha investito 500 milioni di dollari per porre rimedio alla crisi abitativa riguardante soprattutto le classi medie. Sempre le grandi compagnie informatiche sono riuscite a garantire una tutela dei cittadini con un’efficacia maggiore rispetto alla comunità internazionale: in seguito l’attuazione di una legge liberticida ad Hong Kong, compagnie tra le quali Facebook, Twitter, Telegram e Google hanno messo in pausa il normale servizio di trasmissione di informazioni alle autorità nazionali. Allo stesso modo Tiktok, nata e situata a Pechino, si è mossa in tal senso ed ha addirittura smesso di offrire il suo servizio agli abitanti dell’ex colonia britannica.

Anche quando gli Stati hanno voluto prendere le redini nella sfida del progresso la crescente velocità, che mal si concilia con i tempi della democrazia, e la complessità delle materie ha spinto il legislatore, tanto italiano quanto europeo, a sacrificare la democraticità dei processi decisionali in virtù di una pretesa neutralità dei principi tecnici. Se a questo logoramento sommiamo uno sviluppo della tutela giuridica degli individui sul piano ultra statale, che forza i limiti degli Stati fino a condannarli, ecco che la sovranità dello Stato si indebolisce, e con essa la sua legittimazione.

I pilastri di “sovranità”, “popolo” e “territorio” sono profondamente dipendenti l’uno dall’altro, così che se il primo vacilla, le scosse colpiscono anche gli altri due. Se il legame tra popolo e sovranità trova immediata collocazione nella legittimazione popolare, per il territorio occorre premettere che la dimensione spaziale della nazione e la società che la abita si definiscono a vicenda. Per cui la difficoltà, sul piano politico, di ricucire la bandiera di un “interesse nazionale”, si traduce in una difficoltà, anche amministrativa, di ricostruire identità e processi sull’unico livello statale. In un sistema sociale complesso rende necessario costruire un’appartenenza più complessa, che sul piano dimensionale si dovrà riflettere in una politica multilivello.

Sull’esito di questa prevedibile e prevista crisi dello Stato-Nazione sono state spese diverse parole in letteratura, così come ne sono stati previsti diversi esiti. Ciò che il lettore troverà sarà piuttosto un tentativo di ricostruzione di un quadro complesso, in cui l’unica certezza è stata la necessità di cambiare radicalmente la prospettiva per uscire dagli schemi oramai decennali con cui leggiamo questa crisi. Una pubblicazione “senza parole” è allora la sede migliore per lanciarsi in un’analisi inflazionata, su cui di parole ne sono state spesi fiumi, ma per la quale infinite parole non sarebbero sufficienti a restituire la complessità.

Articolo di Chiara Falcolini

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