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La storia non è mai uguale a sé stessa
I paragoni storici forzati non aiutano a capire il presente
Dal 24 febbraio 2022, primo giorno dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, si sono sprecati i parallelismi con temi e grandi eventi della storia del Novecento.
«È inevitabile, questo fa parte del nostro processo conoscitivo: cerchiamo di capire quello che sta succedendo facendo riferimento a quello che conosciamo già. È naturale far ricorso alle analogie. Queste, tuttavia, implicano un alto livello di distorsione e di semplificazione, ed è necessario utilizzarle con estrema cautela. Possono fornirci qualche spunto di riflessione, ma non debbono essere una sorta di camicia di forza entro la quale rinchiudere la nostra capacità di analizzare quanto sta succedendo».
Leopoldo Nuti è professore ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi Roma Tre, oltre che direttore della Rivista Italiana di Storia Internazionale e membro del Comitato per la pubblicazione dei volumi dei documenti diplomatici italiani. Le analogie scaturite dall’invasione russa toccano nel vivo la sua materia di insegnamento e studio, e nello specifico le precipitose evoluzioni delle relazioni internazionali che caratterizzarono lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda. Proprio termini come “Terza Guerra Mondiale” e “Nuova Guerra Fredda” hanno spadroneggiato sui giornali nel descrivere l’evoluzione della guerra ai confini dell’Europa, oltre che l’assetto internazionale, che va cambiando di giorno in giorno. «L’importante è non lasciarsene imprigionare, non lasciarsi padroneggiare dalle analogie, limitandosi a quelle, perché inevitabilmente significa ottundere la nostra capacità di capire davvero che cosa sta succedendo».
Lo scoppio della guerra
L’aggressione subita dall’Ucraina, per quanto parzialmente pronosticata, non ha rappresentato certo un fulmine a ciel sereno. La mancata difesa del territorio ucraino e il tentativo di interlocuzioni con il presidente della Federazione Vladimir Putin, perciò, ha attratto più di un paragone con quanto accaduto alla vigilia del secondo conflitto mondiale. In particolare, l’atteggiamento relativamente conciliante dell’Occidente e in particolar modo dell’Europa nei confronti della Russia è stato paragonato con il contestato appeasement promosso dai governi europei prima del settembre 1939. Più volte è stata evocata la conferenza di Monaco del 1938.
Ma il comportamento dei governi europei è difficilmente paragonabile ad un appeasement. «C’è stata una reazione piuttosto forte sia da parte dell’Unione Europea, che sinceramente mi ha stupito per il livello di coesione, e mi fa pensare anche che, per essere stata presa in tempi così rapidi, forse fosse stata preparata in precedenza». Un coordinamento che sconfesserebbe un comportamento “attendista” da parte dell’Occidente. «Credo, e qualche analista l’ha sostenuto, che l’amministrazione Biden abbia preso una decisione molto importante quando ha scelto di rendere pubblica la sua intelligence sullo schieramento militare russo, che lasciava prefigurare un’aggressione – una informazione che purtroppo da molti non è stata presa seriamente anche per colpa degli stessi Stati Uniti, che nella storia ci avevano abituato a informazioni distorte, come nel 2003 quando propinarono la storia delle armi di distruzione di massa in Iraq. E credo che la condivisione di questa intelligence sia stata alla base di una qualche preparazione con le diplomazie dei Paesi europei nel caso dello scenario peggiore. Che poi è quello che si è verificato».
Il discorso, tuttavia, si fa più complesso se si prendono in esame i precedenti dei rapporti tra Putin e l’Europa durante tutti gli anni della sua presidenza. «Abbiamo continuato a ragionare basandoci sull’ipotesi che tutto sommato anche la Russia di Putin avesse un suo interesse di fondo a mantenere aperti i legami economici con l’Occidente, che fosse sufficientemente integrata, e soprattutto che il gruppo dirigente degli oligarchi intorno a Putin fosse così avvantaggiato, e ricevesse tanti benefici dai suoi rapporti con l’Occidente da non voler rischiare mosse troppo azzardate. Per cui ci siamo auto-inflitti una lettura relativamente moderata e conciliante della storia della politica estera russa, nonostante segnali preoccupanti che secondo alcuni erano già evidenti sin dal 2008, con la guerra in Georgia, secondo altri dal 2014 con la guerra in Donbass e l’operazione in Crimea. I segnali inquietanti si erano moltiplicati negli ultimi anni, non c’è dubbio». In questo senso, il paragone con l’appeasement è più calzante, ma rimane ugualmente un’analogia affrettata e forzata. «L’illusione che strizzando un po’ l’occhio, cercando delle formule di accomodamento si potesse venire incontro alle richieste del dittatore revisionista di turno è una chiave di lettura possibile, ma francamente mi fermerei qui, non forzerei troppo questa analogia. Anche perché questo presupporrebbe un’ulteriore analogia tra Putin e Hitler, che francamente non so se si è ancora in grado di fare, perché le nostre conoscenze di Putin, per quanto approfondite e frutto di una serie di studi interessanti – penso per esempio ai lavori di Fiona Hill – sono ancora parziali. Capire quanto ci sia di calcolo razionale e quanto di ideologico nelle scelte di Putin è un passaggio molto difficile».
I rapporti dell’Occidente con la Russia e con la Cina nella storia
Se il paragone tra Russia e Germania nazista risulta comunque ancora affrettato, l’idea di poterne giudicare le alleanze per mezzo di parallelismi storici è ancor più fuori luogo. Analisti ed esperti di politica internazionale di primo piano, come l’ex ministro degli Esteri e ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata o il corrispondente europeo David Carretta, si sono lanciati in paragoni con il Patto d’Acciaio e con l’Asse parlando del rapporto tra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese. I rapporti tra le due potenze sono al centro dell’attenzione da anni, ma nonostante i proclami di «amicizia senza confini» il paragone con l’alleanza tra Germania nazista e Italia fascista negli anni Trenta del Novecento è affrettato. «Se proprio volessimo proporre un’analogia tra le due alleanze dovremmo ricordare a chi la propone che l’Asse… era un Asse abbastanza sconnesso. Spesso le iniziative di Mussolini erano prese per bilanciare quelle di Hitler e non perché fossero concordate con lui ma perché il Duce si risentiva del fatto che Hitler lo avesse informato solo all’ultimo momento, come nel caso dell’anschluss o della volontà di occupare la Boemia e la Moravia, e allora Mussolini reagiva occupando l’Albania. Quindi l’Asse implicava una volontà parallela e sistemica di approfittare di una situazione di fluidità dell’ordine internazionale ma non uno stretto coordinamento. In questo senso perciò si potrebbe anche ipotizzare che ci possa essere un parallelismo con l’Asse, se immaginiamo che Russia e Cina procedano in maniera abbastanza sconnessa a cercare di modificare il sistema internazionale, ma solo in questo senso: se per parallelismo con l’Asse invece volessimo intendere un meccanismo ben oliato di collaborazione calcolata nei minimi dettagli francamente mi sembrerebbe abbastanza fuorviante».
Presupporre questo coordinamento, peraltro, sembrerebbe affrettato proprio perché non si hanno prove di un rapporto tra le due potenze tanto solido da prefigurare un appoggio incondizionato da parte della Repubblica Popolare Cinese nei confronti delle iniziative russe. «E lo vediamo anche in questi giorni, con la reazione cinese che è chiaramente molto cauta nel sostenere la Russia, perché la Cina intende chiaramente stare dalla parte del suo partner – non so se chiamarlo alleato sia corretto sino in fondo – e non intende creare eccessivi imbarazzi a Putin, ma al tempo stesso molti analisti sottolineano come la Cina in un certo qual senso abbia più da perdere della Russia da un’inversione del processo di globalizzazione mondiale, perché la Cina è integrata nel sistema economico mondiale, e ne riceve grandi benefici, molto più di quanto non lo sia la Russia. Un ritorno ai blocchi economici, come potevano essere quelli degli anni Trenta, danneggerebbe molto di più la Cina della Russia. Quindi credo che le esitazioni che molti analisti hanno sottolineato nel sostegno cinese non siano wishful thinking, ma siano anche un modo di prendere le distanze da un’avventura di cui forse non si approva sino in fondo la conduzione. La mia impressione – e sono pronto a essere smentito nel momento in cui qualcuno tirerà fuori un documento che dimostra che Putin e Xi avevano concordato tutto nei minimi dettagli – è che Putin possa aver accennato a qualcosa e che Xi gli abbia dato un’approvazione di massima senza immaginare sino in fondo la dimensione massiccia (per non parlare dell’esito tutt’altro che soddisfacente) con cui questa operazione sarebbe stata portata avanti. Ma qui veramente siamo nel campo delle ipotesi, e come storico mi sento molto a disagio nel fare questo tipo di osservazioni».
Una “nuova Guerra Fredda”?
Le analisi che sottolineano la formazione di un nuovo blocco opposto a quello occidentale, tuttavia, non si limitano ai paragoni con le cause del secondo conflitto mondiale e ciò che ne scaturì. Già da tempo, infatti, era possibile rintracciare rimandi evidenti alla storia del Novecento come chiave di lettura nel rapporto dell’Occidente con Russia e Cina. I parallelismi nella storia più ricorrenti, e probabilmente più impropri, vedono nell’attuale contesto internazionale di rapporto tra le potenze la possibilità di una “nuova Guerra Fredda”.
«È poco utile per capire quel che sta succedendo. La Guerra Fredda è stato un periodo con caratteristiche ben precise che lo hanno reso unico e irripetibile. Quelle caratteristiche erano legate al vuoto di potere che si è creato in Europa alla fine della Seconda Guerra Mondiale e in particolar modo al tracollo della Germania, al modo in cui quel vuoto di potere fu riempito con la crescita dell’Unione Sovietica e l’ingresso degli Stati Uniti sulla scena politica europea per bilanciare la crescita e il peso dell’URSS. Quindi, una lotta di potenze. Che però aveva – e questo è ciò che la rese unica – una valenza ideologica senza precedenti, per cui lo scontro per il futuro dell’Europa è diventato anche uno scontro che ha assunto termini globali, ed è stata la dimensione ideologica a dargli questa rilevanza globale. Motivo per cui era tanto importante chi controllava il Vietnam del Sud quanto chi vinceva le elezioni a Prato o in un’altra qualunque città italiana. Esagero, chiaramente, ma lo faccio perché non possiamo vedere la Guerra Fredda solo come uno scontro tra potenze o solo come uno scontro ideologico, perché altrimenti non capiamo cosa sia stata, e applichiamo questo termine con grande disinvoltura alla situazione attuale, al rapporto tra gli Stati Uniti e la Cina, “quella è la nuova Guerra Fredda” e via dicendo».
L’analogia rintracciabile nel rapporto attuale tra sfere di influenza, dunque, è verosimile solo in parte. «Quella pervasiva, globale dimensione ideologica che ha caratterizzato la storia di quello scontro adesso non c’è. Si può caratterizzare quello che succede in Ucraina come scontro tra una dittatura e il mondo libero – benissimo, ma la Russia di Putin non ha la stessa capacità di attrazione che aveva l’Unione Sovietica. Ci sono simpatizzanti pro-russi sparsi qua e là, ma chi prova a paragonare questo con l’enorme fascino che l’Unione Sovietica ha esercitato fino a un certo punto della sua storia… non conosce la storia. E non sa quanto il comunismo potesse fare presa, a torto o ragione, sui cuori e le menti delle popolazioni, ad esempio, del Terzo Mondo, impegnate nella lotta anti-imperialista. Quello che vediamo è una specie di pallida, distorta caricatura di quello che fu. La stessa cosa vale per la tensione tra Stati Uniti e Cina, che si può pure provare a inquadrare in uno schema ideologico, ma mi sembra una forzatura, almeno per ora».
Soprattutto, questo inquadramento ideologico e l’idea di una divisione granitica in blocchi è quanto meno sminuito dall’interdipendenza economica tra potenze, in particolare tra Stati Uniti e Cina. Interconnessione, questa, prodotta tanto dalla globalizzazione quanto frutto di scelte di politica economica ben precise. E molto distante da quanto successo negli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale e all’alba della Guerra Fredda. «L’Unione Sovietica era un blocco a sé stante dal punto di vista economico, che rifiutò di essere integrato nel sistema occidentale nel momento in cui Molotov si alzò dalla conferenza di Parigi con Bidault e Bevin (ministri degli Esteri rispettivamente francese e britannico, ndr) nel luglio del 1947, rifiutando di partecipare al piano Marshall. Rifiutò pur avendo disperato bisogno di quegli aiuti, perché li vide come uno strumento per limitare l’autonomia dell’URSS sul piano internazionale, sostanzialmente accettando di fare un blocco a sé stante, restando al di fuori da ogni tipo di rapporto economico stretto con il mondo occidentale ancora per parecchio tempo». Uno scenario decisamente lontano dal presente, e attualmente impronosticabile data la suddetta interconnessione economica tra i due “blocchi”.
La storia delle due Resistenze
Nonostante il rimando frequente a eventi e periodi della storia la cui importanza è segnata dal rapporto tra le grandi potenze, il dibattito pubblico, politico e mediatico in Italia è dominato, soprattutto nei giorni che hanno preceduto il 25 aprile, da un paragone quasi inevitabile: quello tra la resistenza Ucraina contro l’invasione russa e la Resistenza italiana nella lotta per la liberazione dal nazifascismo.
Anche qui, tuttavia, è soprattutto il contesto internazionale che caratterizza i due eventi a rendere poco calzante il paragone. «Se posso essere sincero, mi sembra veramente un falso problema, frutto di una logica tutta italiana di voler ricondurre tutto alla Resistenza, un modo inutile di provare a capire cosa stia succedendo in Ucraina. È chiaro che c’è una resistenza. Però per poter fare un paragone dobbiamo prima cercare di definire che cosa sia stata la Resistenza in Italia, e lì c’è un dibattito storiografico enorme e ancora aperto». Ad alimentare la discussione sull’ipotesi di una comparazione, tra le altre cose, vi è stata un’attenzione particolare al ruolo delle altre potenze, a partire dal contributo dell’Occidente alla resistenza ucraina. Il paragone con la Resistenza italiana si è fatto insistente nel discutere la possibilità di un sostegno militare all’Ucraina, per mezzo ad esempio dell’invio di armi, deviando la discussione su quanto gli aiuti alleati avrebbero “aiutato la Resistenza” al livello militare a partire dal 1943 e quanto potrebbero invece farlo oggi. Le due posizioni opposte differiscono sull’utilità di questi aiuti. Chi sostiene l’opportunità di “armare l’Ucraina” sostiene che i partigiani furono decisamente aiutati dagli Alleati; chi al contrario si oppone all’invio di armi lo fa argomentando che armare la resistenza arrecherà solo più sofferenze al popolo ucraino.
Tuttavia, nessuna delle due opinioni poggia su analisi storicamente accurate.
«Il punto da discutere, semmai, è quanto in Italia possa aver contribuito sul piano militare anche la Resistenza. La risposta è “abbastanza”, perché ha contribuito a inchiodare nelle retrovie un ampio numero di divisioni tedesche e repubblichine, perché ha contribuito a facilitare una serie di operazioni degli Alleati. Ma nessuno storico militare si sognerebbe di dire che la Resistenza è stato il fattore decisivo nella vittoria alleata in Italia. Questo non significa minimizzare il contributo della Resistenza o dire che è stata inutile come ahimè ogni tanto si legge, tutt’altro. È stata molto importante dal punto di vista militare ma le cose vanno contestualizzate e viste nel loro contesto; quindi, è stata importante sul piano militare, molto più importante sul piano politico e persino etico, vorrei dire».
La Resistenza italiana combatté per la liberazione dal nazifascismo non con “sostegno alleato”, dunque, ma all’interno di uno scontro tra nazifascisti e alleati sul territorio italiano. Un contesto completamente diverso della guerra attuale.
«Non capisco bene il senso del paragone con quanto sta succedendo in Ucraina, perché innanzitutto in Italia c’erano eserciti alleati che combattevano la guerra con noi e per noi, in Ucraina c’è l’esercito ucraino. Assistito dall’Alleanza Atlantica indirettamente con i rifornimenti di armi, munizioni, intelligence eccetera, ma mi sembra una situazione molto diversa. In Italia combattevano oltre ai partigiani, il Primo Raggruppamento motorizzato, il Corpo Italiano di Liberazione e i gruppi di combattimento, ma erano unità inquadrate all’interno degli eserciti alleati. Potevano dare un contributo importante ma circoscritto. Mi sembrano due contesti molto, molto diversi. Dopodiché, se mi chiede se la resistenza ucraina sia legittima le dico “certo”, ovviamente lo è, com’era legittima la nostra. Ma cercare di legittimarla e giustificarla facendo un paragone con la nostra Resistenza mi sembra che dimostri di non capire né la nostra né la loro».
Articolo di Pietro Forti