Strade per la sostenibilità

La finanza è e deve essere uno strumento al servizio delle persone e dell’economia reale.

14/01/2021

Secondo un’analisi condotta dalla famosa agenzia di rating internazionale Standard And Poor’s, in Italia, solamente il 37% della popolazione adulta conosce i meccanismi base della finanza. Una prima serie di misure va indirizzata a sensibilizzare e a favorire la consapevolezza dell’importanza della finanza per lo sviluppo sostenibile, nel pieno rispetto dei parametri sociali e ambientali delle nostre società. L’Impact Investing o SRI (Sustainable and Responsible Investment), è una strategia per investimenti sostenibili. Secondo la definizione elaborata nel 2013 dai Soci del Forum per la Finanza Sostenibile:  “l’Investimento Sostenibile e Responsabile mira a creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso attraverso una strategia di investimento orientata al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo”.

Infatti, è proprio attraverso la quotazione in borsa e quindi l’accesso al mercato dei capitali, che le società, oltre ad ottenere un miglioramento dei propri standard creditizi, nonché una maggiore visibilità ed esposizione ai mercati dei capitali, riescono a raccogliere ingenti quantità di denaro. Questo avviene grazie all’emissione di strumenti finanziari, fondamentali per il sostentamento e la crescita della propria attività di impresa.

Dunque guardare alla sostenibilità sociale ed economica dell’economia non può prescindere dalla riorganizzazione dei criteri ESG e dalla conversione dei fondi comuni di investimento, in fondi socialmente responsabili.

 

Luci e ombre del credito bancario

Prima di entrare nel dettaglio della questione ESG e dell’Impact Investing, è per noi importante ribadire in questa sede un punto di vista  già più volte espresso su Scomodo.

Il credito rappresenta uno strumento essenziale per l’attività dell’impresa, per lo sviluppo, il finanziamento e la crescita aziendale, ma anche per il sostentamento e la copertura dei costi nei momenti di crisi.

Il credito e gli enti creditori si trovano in una posizione centrale per lo sviluppo economico dei paesi. Basti pensare che oltre 2\3 delle società in Europa fanno fronte alle proprie spese e ai propri investimenti grazie a capitale proveniente da prestiti bancari.

Abbiamo già affermato con forza come sia necessario e inesorabile che i finanziamenti concessi dagli Istituti tengano conto dell’impatto socio-ambientale e cerchino il profitto in nuovi settori compatibili con un’idea di sviluppo sostenibile.

Alla comune valutazione di merito creditizio fondata su elementi economici si affianca dunque la valutazione socio-ambientale fondata su elementi non economici: la responsabilità sociale d’impresa –  che supera la dicotomia profit/non profit e privilegia il concetto di “beneficio sociale per la comunità locale” -, la valutazione dell’impatto sociale e culturale sul territorio, la valorizzazione di determinati settori, l’impatto ambientale delle attività finanziate.

Per la stesura dell’articolo, abbiamo intervistato Tommaso Rondinella, responsabile dell’ Ufficio Modelli di Impatto e VSA( Valutazione Socio-Ambientale) presso Banca Etica. “Le linee guida della banca portano all’esclusione dai canali di finanziamento di quelle imprese attive in settori considerati non responsabili. Inoltre, tutte le istruttorie di finanziamento verso persone giuridiche sono accompagnate da una valutazione socio ambientale. Questa è effettuata con la somministrazione di un articolato questionario utile a dedei parametri di validità creditizia non economica.  valutatori sociali, soci della banca iscritti ad un albo interno, validano le risposte del cliente e producono un parere sulla sua finanziabilità”.

Lo strumento di valutazione di impatto è inoltre fondamentale per i risparmiatori ai fini della conoscenza dell’effettivo impiego del denaro depositato presso l’istituto in questione. L’esigenza è quella di avere un metodo di misurazione dell’impatto generato dalle attività svolte dall’organizzazione nel suo complesso e, specificatamente, dal finanziamento erogato dalla banca.

 

Criteri e rating ESG: strumenti da migliorare

Come detto in precedenza, un aspetto fondamentale dell’impact investing sono i criteri con cui le operazioni di un’azienda vengono valutate, cioè gli “Enviromental, social and governance criteria” che vengono usati dagli investitori per individuare investimenti ad impatto. Prima di analizzare le potenzialità e i limiti di questi strumenti, però, serve specificare cosa rientra nella definizione di criteri ESG e come questi vengono utilizzati. Questi sono degli standard che misurano le performance di un’azienda dal punto di vista ambientale e sociale, prendendo in considerazione, quindi, come vengono gestiti i rapporti con lavoratori, clienti e con il relativo indotto, oltre che l’impatto ambientale. A questi elementi si aggiunge anche un’analisi della governance aziendale, che include la struttura della leadership, il pagamento degli esecutivi, le regole e le procedure interne. Attraverso questi criteri le agenzie di rating danno una valutazione delle aziende, che verrà poi usata come indicatore dagli investitori che decideranno di basare il loro investimento su una valutazione più ampia rispetto a quella solamente economica.

Quello descritto fino a questo punto è un meccanismo i cui potenziali benefici sono ben evidenti. La possibilità di avere a disposizione un modo pratico per combinare il ritorno economico ad un impatto positivo sulla società e sull’ambiente è una prospettiva di grande interesse per molti investitori, specialmente in questo momento storico. Inoltre da ciò si può facilmente intuire perché questo settore relativamente nuovo sia in fase di crescita costante. Ciò nonostante, non è da tralasciare che nell’ambito della valutazione delle aziende e dei criteri ESG si debbano ancora compiere dei passi importanti per risolvere alcuni problemi, e per rendere prassi comune una metodologia che lega sviluppo economico, sociale e ambientale.

In questo senso, infatti, l’OECD ( Organization for Economic Co-operation and Development) riporta, in uno studio sulla finanza sostenibile e resiliente, che, rating ESG provenienti da diverse agenzie, e riguardanti la stessa azienda, possono avere risultati estremamente differenti. Con questo report viene messo in luce come i criteri ESG abbiano, su più fronti, ampio margine di miglioramento. In tal senso, Tommaso Rondinella spiega quali sono alcuni problemi dei criteri e dei rating ESG. A partire dalla poca uniformità e regolamentazione dei criteri con cui le performance aziendali sono valutate da parte delle agenzie, fino alla insufficiente rendicontazione da parte delle aziende:

“Non c’è al momento nessun percorso in atto per uniformare i criteri degli ESG. Ci sono alcuni standard a livello internazionale che si vanno sempre più consolidando anche a livello settoriale. Il GRI (Global Reporting Initiative) fornisce alle aziende le linee guida e gli strumenti per la stesura di resoconti, in linea con gli standard, riguardo all’impatto sostenibile. C’è anche il  SASB (Sustainability Accounting Standards Board), soprattutto negli Stati Uniti, che fornisce degli standard di ciò che deve essere pubblicato sul fronte ESG da parte delle imprese. E’ chiaro quindi che ci stiamo muovendo per omologare l’informazione che deve essere contenuta nei bilanci di sostenibilità, nella cosiddetta relazione non finanziaria. Sul fronte del rating questo ancora non c’è, è ancora tutto molto in mano ai provider di informazione, c’è poca trasparenza, si sa poco di come sono costruiti, e, quindi, non è sorprendente che arrivino a risultati molto diversi. Le singole imprese offrono informazione non perfettamente standardizzata, per cui, a parità di rating, se si considerano gruppi di imprese diverse, l’informazione che può essere molto spesso incompleta, perché in partenza c’è un problema sulla rendicontazione. Nessuno indica cosa bisogna obbligatoriamente pubblicare, in generale ci sono degli standard, ma la pubblicazione di informazioni resta discrezionale. L’indicatore particolarmente negativo, perciò, probabilmente non verrà pubblicato nel report di sostenibilità. In sintesi, si può affermare che sebbene l’informazione prodotta dalle società sia  sempre più standardizzata, non essendo obbligatoria viene pubblicata in maniera discrezionale.”

 

Modalità di intervento e prospettive future

I problemi evidenziati non rendono di per sé negativi questi strumenti, piuttosto mettono in luce come alcuni interventi siano necessari per poter sfruttare a pieno il loro potenziale positivo e aumentare la diffusione. Dal punto di vista dei policy makers, infatti, è necessario prendere alcune misure che possano risolvere le questioni della rendicontazione incompleta, della mancanza di uniformità dei criteri e della trasparenza per quanto riguarda i provider dei rating. L’analisi di Rondinella, a questo punto, si concentra su come si stanno muovendo i governi:

“Qualcosa si sta facendo, in particolare sulla rendicontazione, e quindi sulla pubblicazione da parte delle imprese di bilanci di sostenibilità confrontabili. Questa cosa si è messa in moto, ma deve ancora migliorare. Per esempio, deve essere ancora estesa alle medie imprese, che adesso ne sono fuori. È necessario andare a diffondere sempre di più una cultura di rendicontazione che vada al di là di quella economica, ma si allarghi a quella sociale e ambientale. Temi su cui, al momento, la grandissima maggioranza degli operatori economici non si pone alcun problema. “

Un’altra tipologia di interventi, ugualmente necessari, per rendere le pratiche, come per esempio l’investimento ad impatto, sempre più diffuse, è quella degli incentivi di natura fiscale. L’Unione Europea, in particolare, sta guidando i paesi membri in questa direzione grazie al Next Generation EU. Parte dei fondi del programma verranno infatti raccolti con l’emissione di green bonds, che vincolano l’utilizzo dei fondi per attività a impatto ambientale positivo. Questa iniziativa, da un più ampio punto di vista, si pone in linea con il progetto del Green New Deal europeo, che porterà in questo senso a incentivare l’utilizzo di strumenti come l’investimento ad impatto, con il fine di ridurre le emissioni e l’impatto ambientale degli stati europei. Da questo punto di vista Rondinella si sofferma sulle politiche economiche che lo stato può mettere in campo:

Quello che può fare lo stato, inoltre, è incentivare materialmente, quindi per esempio a livello fiscale, tutto l’investimento ad impatto. Qualcosa probabilmente vedremo in questa direzione con il Recovery Fund, e in generale con il Green New Deal della Commissione Europea. Ma ci sono stati casi importanti anche in Italia negli ultimi anni, come ciò che è stato fatto sulle rinnovabili e sul fotovoltaico in particolare. Lo stato, inoltre, dovrà sempre di più trovare anche degli strumenti innovativi, i social impact bonds e i green bonds, ad esempio, sono strumenti che nel mondo si vanno sempre più definendo e praticando; qui in Italia, invece, ancora molto meno. Per quanto riguarda gli incentivi, si tratta fondamentalmente di offrire sconti fiscali a chi finanzia, e poi mappa, l’impatto generato. Non solo sconti ma anche garanzie, come quella offerta dal FEI, il fondo europeo per gli investimenti, per le imprese sociali. In questo caso, qualora l’impresa non abbia titoli di proprietà per poter garantire il debito, questo viene garantito dal FEI, e quindi la banca può concedere i prestiti in maniera più facile. È un modo per dare accesso al credito a tante realtà che hanno un impatto sociale o ambientale rilevante, ma che sarebbero a rischio di essere escluse dal circuito creditizio. Gli strumenti di politica economica, quindi, possono essere i più diversi. Ci sono molti spazi, e sicuramente poi il ritorno sarà positivo, perché la trasformazione ecologica, o in generale la trasformazione verso un’economia più sostenibile, dà i suoi frutti nel medio e nel lungo periodo, al di là dei costi immediati per le finanze pubbliche”.

Articolo di Nicolò Lauzi e Lorenzo Cirino