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Teatro India si trasforma in Radio India
Il teatro ai tempi della reclusione
Cinque compagnie romane – DOM, Industria Indipendente, Muta Imago, MK e Fabio Condemi – hanno dato vita a febbraio ad un nuovo progetto teatrale presso il Teatro India. La vera data di avvio tuttavia la possiamo ritenere coincidente con la festa dello scorso settembre in occasione del ventennale del teatro – da sempre espressione di ricerca e sperimentazione artistica – quando la nuova direzione ha chiesto a queste cinque compagnie di immaginarla reinventando completamente la funzione degli spazi dell’India. Oceano Indiano nasce proprio da questa volontà: aprire il teatro non solo in occasione degli spettacoli in sala, ma porre una particolare attenzione sulla funzione sociale dei suoi spazi e sul loro legame con la città, trasformando così l’India in un luogo di residenza e contestualmente di accoglienza del pubblico attraverso una programmazione dalla natura più varia, che offra una pluralità di visioni artistiche grazie a proposte provenienti da compagnie di generazioni e discipline diverse. Noi di Scomodo siamo stati chiamati, nei mesi tra febbraio e giugno, a raccontare questo progetto in costante evoluzione, con l’intento di avvicinare il lettore ad una nuova prospettiva di teatro.
Lo scoppio dell’emergenza ha inaugurato un nuovo percorso per le compagnie promotrici del progetto, abbiamo assistito alla nascita di una web radio: una striscia quotidiana in onda dalle 17 alle 20 su spreaker.com i cui contenuti saranno poi riascoltabili in podcast.
In un momento in cui vengono meno il contatto tra esseri umani e l’accessibilità agli spazi fisici di condivisione, il progetto Oceano Indiano, concentrato su un nuovo modo di percepire gli spazi in relazione ai rapporti umani che li ravvivano, trova ancor più ragione di esistere, poiché sceglie di conferire al vuoto che ci divide una nuova e diversa percezione, quella di etereo spazio comune. Uno spazio colmo di pensieri, emozioni, incontri: il nostro spazio sospeso, che si forma nel momento in cui c’è interazione tra i soggetti e cristallizza l’essenza delle relazioni tra questi. Quello che permane e ci salva nonostante la distanza, sono le relazioni: con amici e familiari, che forse ascoltiamo e conosciamo meglio in questo periodo piuttosto che nella vita quotidiana cui siamo abituati e nella quale freneticamente ci destreggiamo; con noi stessi, con cui siamo ora faticosamente obbligati a convivere… Da queste riflessioni nasce l’idea di una radio, con l’intento di condividere, offrire e stimolare connessioni, in contrapposizione all’ondata di dirette social che ultimamente entrano sempre piú spesso nelle nostre giornate: queste certamente intrattengono, ma non fanno che renderci fruitori passivi. Sono concessi fugaci ed effimeri commenti, ma raramente si vengono a creare situazioni di dialogo, dibattito, incontro, obiettivo invece di questa web radio, il cui variato palinsesto è teso a coinvolgere attivamente il pubblico fino a farlo diventare parte integrante del progetto e ad ideare modalità creative e inedite di incontrarlo.
Le compagnie teatrali hanno creato una nuova realtà, “una nuova dimensione, che è meno plastica rispetto a uno spettacolo”, ma più invadente nella vita del pubblico. Ascoltare la radio, o un podcast, significa lasciare che gli speaker entrino nella vita degli ascoltatori,
affidare loro il compito di arricchire un luogo e un momento. Si crea un legame tra gli autori e chi ascolta, nonostante siano, come tutti, separati gli uni dagli altri, ognuno dentro la propria casa.
<<La radio comunica attraverso un solo linguaggio, quello sonoro, mentre il teatro è l’unione di più linguaggi. Però in questo limite si sta bene, è quasi confortante avere tutto sotto controllo in una timeline, mentre il lavoro dal vivo è pieno di imprevisti, di incontri, di materia>> afferma Muta Imago, cui controbatte però Fabio Condemi, riportando la propria esperienza: << Nei miei lavori come regista io non sono mai presente come interprete o performer. Il giorno in cui lo spettacolo debutta è anche il giorno in cui il mio lavoro è finito, che io sia più o meno convinto del risultato. In teatro quindi cerco di limare il lavoro fino alla fine, in radio tutto ha un respiro diverso: è come un diario di appunti, con i suoi errori e ripensamenti, con parole non mie, incontri, innamoramenti e la musica che mi piace, o che mi consigliano.>>. Si sposa con questa descrizione “Record” di Michele Di Stefano: ogni episodio è un’intervista a musicisti improvvisati su album che non hanno mai fatto uscire, creando un divertente gioco di ruolo, che coinvolge profondamente l’ascoltatore. Uno scambio assolutamente naturale che pur parlando di qualcosa di inventato, lascia qualcosa di vero. I due interlocutori si immergono in una conversazione intima e l’ascoltatore ne è rapito, senza saper più riconoscere realtà da finzione. La bellezza del programma, infatti, non è la verità che viene raccontata, ma l’armonia e la grazia del dialogo. Opinioni piuttosto contrastanti quelle delle compagnie sopracitate, eppure tutte entusiaste e immerse nel loro lavoro. All’inizio del progetto la radio era una sorta di esperimento, una risposta a un momento assolutamente inaspettato la cui durata era sconosciuta. Ora, però, si ha una migliore conoscenza delle disposizioni del lockdown e quello che era iniziato come un esperimento, si afferma come una realtà che sta prendendo sempre più forma, nonostante la sua immaterialità fisica, e che non si vuole fermare. La programmazione è stata infatti riconfermata fino al 24 maggio, anche grazie al crescente numero di ascolti e di nuovi artisti che, incuriositi, si sono interessati al progetto, proponendosi di partecipare. Una cantina romana dove si balla, si canta, si approfondiscono conoscenze, fino a diventare un unico Superorganismo che si muove, ma non per forza, per due ore a tempo di musica, inarrestabile, come avviene nel programma a cura di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri di Industria Indipendente. Sintesi delle opinioni delle varie compagnie è l’esperienza di Industria Indipendente:<< L’aspetto sonoro è fondamentale in tutte le nostre creazioni. È interessante pensare di creare qualcosa che escluda la vista e la presenza nello stesso luogo. I corpi non sono realmente esclusi, sono da un’altra parte e ascoltano>>. La radio è uno spazio profondo. Uno spazio che si può dilatare o restringere concedendo la percezione della presenza di un corpo attraverso il suono. La fisicità rimane, ma assume una forma differente rispetto a quella a cui siamo abituati. La radio è un medium potente, nonostante spesso sia pensata come un banale sottofondo dei viaggi in macchina. Arriva in maniera più naturale al pubblico rispetto a una performance, eppure mantiene la bellezza e la sincerità tipiche del teatro. Nel programma “Tutt* nell* stess* cas*”, Matteo Angius e Riccardo Festa chiedono a tutti i loro ospiti una parola da aggiungere al “vocabolario della quarantena”. In una puntata, Lorenzo, antropologo di Portland, sceglie la parola freshness, freschezza, che a noi appare calzante anche per descrivere l’intero progetto Radio India. Infatti, ascoltando i vari programmi, quello che colpisce è la piacevole spontaneità degli autori, l’invito implicito ad accogliere la freschezza – a volte nascosta – che ci circonda nella quotidianità, “una vignetta simpatica, la verdura che siamo riusciti a comprare dopo un’ora di fila, gli stati meditativi che ci tengono in riga”.
Articolo di Gaia Del Bosco, Marta Bernardi, Carlotta Vernocchi e Lorenzo Cirino