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The Ride ep.5 – Il governo Meloni e i confini
The Ride è l’analisi della trovata settimanale dei partiti, a caccia di consenso o di potere.
«I ministri che fanno viaggi della speranza, i Paesi africani a cui si chiede di frenare il fenomeno migratorio, i proclami come “Aiutiamoli a casa loro”… ma poi bisogna farlo. In questi anni siamo passati dal buonismo al cattivismo senza una vera programmazione di politiche durature […] Come può uno scoglio arginare il mare… L’immigrazione è un fenomeno epocale e se non ci si mettono testa e cuore continueremo a subirla, magari finendo per nominare un inutile commissario all’emergenza».
Queste parole non sono uscite dalla bocca di un frustrato capitano di una barca di un’organizzazione non governativa che salva vite nel Mediterraneo, o da quella di Elly Schlein. Intervistato dal direttore de La Stampa Massimo Giannini, a criticare le politiche del governo è l’ex capo della Polizia e responsabile della sicurezza e cybersicurezza nazionale, Franco Gabrielli.
Il curriculum di Gabrielli coincide con la sua storia nella gestione dell’immigrazione, cioè esattamente ciò che ci si potrebbe aspettare da un dirigente di alto livello delle Forze dell’ordine. È stato stretto collaboratore di Marco Minniti quando quest’ultimo era il famigerato ministro dell’Interno e principale responsabile della linea dura del PD contro le migrazioni. Era ancora capo della Polizia durante la stagione degli show in divisa salviniani contro i migranti. E, in quanto tale, anche diretto superiore di Matteo Piantedosi, oggi ministro dell’Interno e prefetto di Roma dal 2020, responsabile di una stagione di sgomberi mai davvero volta al termine.
Le critiche di Gabrielli non sono segno di un animo intimamente immigrazionista (nell’intervista ribadisce che non si potrebbe accogliere chiunque perché «questo creerebbe ulteriori tensioni in Europa»). Piuttosto, è una testimonianza utile a capire quanto questo esecutivo sia clamorosamente impreparato a gestire un fenomeno di questa portata.
Il governo guidato da Giorgia Meloni non ha idea di cosa fare di fronte alle migrazioni. L’atto più rilevante è stato il duro colpo alle ONG che operano nel Mediterraneo, già ostacolate al tempo da Minniti con un “codice di condotta” e oggi severamente multate in caso di mancata obbedienza alle indicazioni del governo. La giustificazione per questo colpo era una teoria smentita dai fatti: le ONG sarebbero, secondo il governo Meloni, un pull factor, un incentivo per i trafficanti di esseri umani a mettere in mare navi stracolme di persone nella speranza che siano le navi di coloro intenti a salvare vite. A dicembre persino l’agenzia europea Frontex, responsabile della difesa dei confini europei, ha smesso di riferirsi alle ONG come pull factor.
D’altronde, nessun pull factor basterebbe da solo a spiegare la portata che il fenomeno ha assunto nel corso degli ultimi mesi. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, in Italia dal primo gennaio al 30 marzo sono sbarcate 27.223 persone. Di queste, 6.548 sono arrivate nell’arco di quattro giorni, 2.814 nella sola giornata di venerdì 24 marzo. L’hotspot di Lampedusa è sempre stracolmo. Ha posti letto per 400 persone. Sabato 25 marzo è arrivato a ospitarne 3.850.
Come prevedibile, purtroppo, a un numero così alto di sbarchi corrisponde un numero altrettanto allarmante di naufragi. Cinque imbarcazioni sono affondate tra mercoledì 22 e sabato 25 marzo. Nonostante i salvataggi, 68 persone sono morte o disperse.
Il mantra del governo è sempre lo stesso: “fermare le partenze”. Ma è una missione che parte da un assunto problematico, ovvero che siano i Paesi di confine a fermarle.
I naufragi della settimana passata sono stati tutti a largo delle coste tunisine, e le navi salpano quasi tutte dalla città di Sfax. La Tunisia è l’emergenza del momento, e probabilmente ha ragione il giornalista tunisino Mohamed Khalid Jelassi quando lo definisce un “allarme interessato” per l’Europa. L’economia del Paese è in caduta libera (inflazione al 15% per i generi alimentari di largo consumo, per dirne una). Il governo tunisino non ha stretto l’accordo previsto con il Fondo Monetario Internazionale per una serie di clausole, a partire da una serie di privatizzazioni e di abolizioni di sussidi statali. Allo stesso tempo, il presidente Kais Saied sta smantellando pezzo per pezzo la democrazia nel Paese. A luglio 2022 ha fatto approvare, con un referendum votato con un’affluenza del 30%, una nuova Costituzione sostitutiva di quella del 2014 scaturita dalla stagione delle primavere arabe. «Il nuovo testo costituzionale smantella molte garanzie sull’indipendenza del potere giudiziario cessa di tutelare i civili dai processi in corte marziale e garantisce alle autorità il potere di limitare l’esercizio dei diritti umani o di rinnegare gli obblighi internazionali in nome della religione», aveva dichiarato Heba Morayef, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International. Alle ultime elezioni, a dicembre, ha votato l’11% degli aventi diritto. Nel frattempo, Saied si è reso protagonista di una campagna xenofoba contro i migranti subsahariani, facendo riferimento a «un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia sostituendo una popolazione araba e musulmana con una nera».
Uno dei pochi governi a difendere a spada tratta il governo di Tunisi è quello italiano. I motivi sono due.
Innanzitutto, perché secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni se non verranno dati aiuti la Tunisia «crollerà» e «arriveranno 900.000 migranti». E in effetti secondo un sondaggio governativo il 65% dei tunisini ha intenzione di emigrare.
Secondo: il governo Meloni ha bisogno della Tunisia per contenere le migrazioni, sul modello di quanto fatto in Libia. I “viaggi della speranza” a cui faceva riferimento Gabrielli sono questi: a gennaio, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro dell’Interno Piantedosi erano a Tunisi, a garantire l’appoggio dell’Italia al governo tunisino nella richiesta di fondi, in cambio di una mezza garanzia sul fermo delle partenze. Fermo che non si è mai concretizzato.
Il modello libico, poi, non è un buon modello se ti interessano i diritti umani. Vari rapporti, dell’ONU e non solo, denunciano torture e violenze di ogni tipo ai danni dei migranti nei centri di detenzione gestiti dalla Libia. Se il governo italiano dovesse decidere di stringere un memorandum con Tunisi simile a quello con cui finanzia il governo di Tripoli si rivelerebbe, di nuovo, per quello che è: un esecutivo ingenuo la cui unica strategia per affrontare le migrazioni è aiutare i governi dei Paesi di confine a violare i diritti umani.
Articolo di Pietro Forti