Three seas initiative: integrare l’Est nell’Unione Europea

Un progetto per unire l’Europa Orientale lungo l’asse Nord-Sud

04/06/2021

Nata nel 2015 come spazio per il dialogo politico ed economico tra dodici paesi dell’UE situati tra il Mar Baltico, l’Adriatico e il Mar Nero, la Three Seas Initiative ha fin dall’inizio voluto rivolgere un’attenzione particolare all’energia (in particolare gas ed elettricità) e alle infrastrutture ma anche alla digitalizzazione. I Paesi promotori di questo ambizioso progetto geopolitico sono stati Polonia e Croazia, arrivando a coinvolgere in un secondo momento anche Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Slovacchia, Bulgaria, Estonia, Lituania, Austria, Lettonia e Slovenia. Eccezion fatta per l’Austria, la quale comunque è entrata nell’UE soltanto nel 1995, è subito evidente che si tratti di Paesi in precedenza appartenenti al blocco socialista-sovietico ed entrati a far parte dell’Unione Europea meno di vent’anni fa. 

Non è un caso che la cooperazione Tre Mari, sin dall’idea originale, dovesse anche favorire la discussione e il coordinamento regionale, oltre che rafforzare il commercio e la cooperazione politica tra i suddetti Paesi.

Il primo vertice della Three Seas Initiative si è svolto nell’agosto 2016 a Dubrovnik, diretto dalla presidente croata, Kolinda Grabar-Kitarovic. A seguire, durante il secondo summit dell’iniziativa tenutosi nel luglio 2017 a Varsavia sotto la guida del presidente polacco Andrzej Duda, si è formato il Three Seas Business Forum. Negli anni l’assemblea ha visto l’alternarsi di molti presidenti dei Paesi membri, tra cui anche i capi di stato di Romania, Slovenia ed Estonia. Il prossimo incontro è già in programma a Sofia e gli argomenti al centro della discussione verteranno sul consolidamento del fondo di investimento 3SI attraverso un maggiore sostegno da parte di tutti gli Stati appartenenti, nonché dai partner strategici, dalle istituzioni finanziarie internazionali e dagli investimenti dal settore privato per l’implementazione del progetto. 

Con l’istituzione del Three Seas Initiative Investment Fund, la Trimarium è diventata anche un veicolo finanziario che consentirà di ottenere il capitale mancante, con lo scopo di sostenere i progetti presenti nel piano. A questo proposito, continua l’attenzione alla sicurezza energetica, alla diversificazione delle rotte e delle fonti di approvvigionamento in tutte le zone interessate, oltre alla sempre più attuale transizione verso fonti energetiche alternative e all’attuazione del Green Deal europeo. La Bulgaria, durante questo prossimo ciclo di amministrazione annuale, intende continuare il lavoro dei gruppi già consolidati per la cooperazione, compresi i team di lavoro del Partenariato per la Cooperazione Transatlantica Energetica (PTEC) guidati dagli Stati Uniti. 

Ancora una volta pertanto si conferma quello che a tutti gli effetti costituisce l’obiettivo primario di questa iniziativa internazionale: sviluppare le infrastrutture energetiche e connettere l’Europa orientale alla regione del Mar Nero, creando così un asse nord-sud capace di competere con quello est-ovest (proveniente dalla Russia).

 

Fondi Europei e Progetti Prioritari: il ruolo del gas nella Three Seas Initiative

La 3SI (Three Seas Initiative) è stata ideata per realizzare una serie di progetti, che in Italia chiameremmo “grandi opere”, con lo scopo di connettere internamente e col resto dell’Unione il blocco orientale. Si tratta di un totale di 77 progetti, di cui 49 risalenti al 2018/2019 e 28 implementati lo scorso anno. Si parla di elettricità (pannelli solari e parchi eolici), infrastrutture transnazionali (ferrovie, autostrade, ponti), 5G e digitalizzazione ma anche di gas. 

In particolare, i progetti che ruotano intorno al gas sono più della metà di tutti quelli del settore energetico che costituisce il 31% delle opere programmate. Lo scopo principale è sicuramente quello di cercare l’indipendenza energetica dalla Russia che è la maggiore esportatrice di gas verso gran parte degli stati che fanno parte della 3SI. In particolare, Austria, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria importano tra il 75% e il 100% del loro gas dalla Russia ma anche la Lituania e la Polonia sono fortemente dipendenti con rispettivamente il 25%-50% e 50%-75% di gas proveniente dalla grande vicina. Fa eccezione la Croazia che riesce a soddisfare per il 40% il proprio fabbisogno di gas, importando il resto. Il tutto in un contesto in cui l’Unione Europea ha diminuito il proprio export di gas dell’11% nel 2019 aumentando invece l’import del 4,2%. 

Stiamo parlando di 13 progetti di cui uno composto di 4 progetti tra i quali vi è quello che finora ha ricevuto la quantità più cospicua di finanziamenti europei: la Baltic Pipe, che mira a connettere la Danimarca con la Polonia. In questo modo, il gas norvegese (secondo esportatore verso l’Europa dopo la Russia, tenendo conto che il gas ucraino e bielorusso proviene in gran parte dalla Federazione) potrebbe affluire fino in Polonia, alleviando la dipendenza energetica. Oltre a rientrare nell’ambito della 3SI, questo gasdotto è anche un Progetto di Interesse Comune dell’Unione Europea sin dalla creazione di questo sistema nel 2014 e ad oggi ha ricevuto, secondo gli ultimi dati, 265 milioni di euro dai fondi europei, il 30% del costo totale. I restanti costi sono stati coperti da investimenti nazionali e privati. La tabella di marcia prevede che il gasdotto sia operativo per ottobre 2022. La recente revoca del permesso di costruzione da parte delle autorità danesi a causa di preoccupazioni di tipo ambientale fa sì i lavori termineranno sicuramente in data successiva; questo solo nel caso si trovasse una soluzione

I Progetti di Interesse Comune (PCIs) non sono altro che una serie di infrastrutture transnazionali considerate rilevanti dall’Unione Europea. Come i progetti della 3SI, essi spaziano dai trasporti e le telecomunicazioni all’energia. La prima fase del progetto è stata operativa dal 2014 al 2020 producendo quattro elenchi di PCIs, concludendo con un report finale sulle spese effettuate e un resoconto dei progetti attivi, completati e bloccati. Come detto in precedenza, esiste un legame tra i PCIs e la Three Seas Initiative: dei 13 progetti (o meglio 16), 11 ricadono all’interno della lista dei PCIs, ricevendo quindi fondi e sostegno politico dall’Unione Europea. Di questi solo due sono stati completati: la stazione di compressione 1 presso Velika Ludina, a pochi chilometri dalla capitale croata Zagabria e il rigassificatore (LNG station) dell’isola croata di Krk, nota in italiano come Veglia, inaugurato il 29 gennaio di quest’anno. Questi due progetti sono strettamente collegati in quanto rendono possibile inviare il gas che approderà nei prossimi mesi a Krk fino in Ungheria o viceversa far defluire il gas proveniente dall’Ungheria verso ovest. Se al rigassificatore ha contribuito l’Unione Europea, finanziando il 46% delle spese (circa 106€ milioni ), la stazione di compressione 1 è stata costruita interamente dal sistema di trasmissione croato Plinacro, di proprietà statale. 

Oltre al rigassificatore di Krk, la Three Seas Initiative prevede la costruzioni di altri 3 rigassificatori: due nel Baltico (Paldisk e Skulte) e uno in Polonia (Danzica). Inoltre, c’è anche l’intenzione del governo lituano di acquistare il già esistente rigassificatore di Klaipeda (un rigassificatore galleggiante, FSRU) per assicurarne il funzionamento fino al 2044 attraverso interventi di manutenzione. Anche quello di Danzica sarebbe un rigassificatore galleggiante (FSRU) ma, sebbene gli studi preparatori siano conclusi, per l’entrata in servizio bisognerà aspettare almeno il 2025 in quanto i lavori non sono ancora iniziati. Si è invece arrivati a un accordo finale per l’ampliamento del rigassificatore di Świnoujście (rimosso dalla lista dei PCIs), il maggiore hub della regione, per il quale l’Unione Europea ha stanziato circa 128 milioni di euro; i lavori dovrebbero concludersi entro il 2023.  

Per quanto riguarda invece il rigassificatore di Skulte, in Lettonia, l’Unione Europea non ha previsto stanziamenti, mentre il governo lettone l’ha inserito nei suoi progetti prioritari nel contesto della Three Seas Initiative. Il vantaggio di questo rigassificatore, stando alle dichiarazioni della compagnia, è il collegamento diretto con il deposito sotterraneo di Inčukalns (il cui ampliamento invece ricade all’interno dei PCIs) che eviterebbe spese ulteriori di trasporto e per la costruzione di interconnettori. La compagnia incaricata della costruzione del rigassificatore di Paldiski, Alexela, si è vista rifiutare la richiesta di fondi europei nel 2017 ma ha affermato che il progetto continuerà. 

Un dettaglio interessante è che di questi 13 progetti solamente uno è completato e un paio hanno raccolto tutti i fondi necessari alla costruzione. Ciò significa che tutti gli altri, anche alcuni di quelli inseriti tra i progetti prioritari del 2018, non possiedono fondi a sufficienza o non ne hanno affatto. Se è vero che la stazione di compressione 1 in Croazia è stata costruita senza il supporto europeo, è altrettanto vero che la cifra necessaria era modesta e tutti gli altri progetti, specialmente quelli di una certa rilevanza economica (vedi Baltic Pipe), si appoggiano pesantemente a questi finanziamenti. 

 

La soluzione per un’Europa più coesa o la condanna del progetto europeo?

Per comprendere l’importanza geopolitica della Three Seas Initiative non si può che partire dalla sua peculiare posizione geografica. L’iniziativa è infatti un progetto tutto est-europeo, un unicum per un’area storicamente percorsa da forti rivalità. L’importanza di un tale progetto in quest’area è facilmente spiegata dal ruolo che la stabilità dell’Est Europa gioca nel mantenere gli equilibri dell’intero continente. É facile pensare a diverse occasioni in cui l’Est Europa, e l’area balcanica, hanno avuto un ruolo fondamentale nel cambiare la storia europea. Allo scoppio delle due guerre mondiali è stata proprio la mancanza di una potenza in grado di opporsi all’espansione tedesca a determinare le sorti della guerra. Oltre alle ragioni di sicurezza, l’Est Europa è l’area dell’UE che cresce a tassi maggiori; Polonia, Ungheria e Romania addirittura sono cresciute con tassi vicini al 5% nel 2019.

Data la rilevanza dell’area, sorprende quindi poco l’attenzione degli Stati Uniti, soprattutto alla luce del rinnovato interesse dell’amministrazione Biden per gli affari europei. Si è già parlato dell’importanza che la Three Seas Initiative gioca nell’indipendenza energetica dalla Russia dell’Est Europa. L’iniziativa, dal punto di vista statunitense, potrebbe anche essere un ottimo strumento per ostacolare la collaborazione russo-tedesca, soprattutto nell’ambito energetico. L’appoggio americano alla Three Seas Initiative si affianca infatti all’opposizione della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 in una strategia più ampia di lotta all’influenza energetica russa sul mercato europeo.

Il Nord Stream 2, a oggi quasi completato, è un gasdotto che collega direttamente Russia e Germania, pensato per aumentare la capacità di esportazione del gigante russo Gazprom e garantire alla Germania un ruolo centrale nella rete distributive europea del gas. Il progetto è particolarmente problematico per due motivi principali. Prima di tutto, il gasdotto, che si affiancherebbe al già esistente Nord Stream 1, rischia di aumentare notevolmente la dipendenza europea dal gas russo. In secondo luogo, la rinforzata connessione energetica diretta tra Russia ed Europa rischia di sminuire il ruolo strategico giocato dall’Est Europa, in particolare dall’Ucraina, di guardaporta del mercato europeo del gas.

Sono proprio questi due rischi a mettere in allerta gli Stati Uniti. In primis gli americani sono interessati a evitare che l’Ucraina, alleato di grande rilevanza strategica, perda definitivamente il suo ruolo come intermediario nel trasporto del gas russo verso l’Europa. Inoltre, vorrebbero evitare una crescita eccessiva della dipendenza energetica europea dal gas russo. Questi due obiettivi sono rafforzati dalla rinnovata competizione di potenze che si sta facendo sempre più agguerrita. Il supporto alla Three Seas Initiative, sancito da Trump e sostenuto tacitamente dall’amministrazione Biden, mira quindi a un duplice obiettivo.

Sebbene gli Stati Uniti siano interessati principalmente a garantire l’indipendenza energetica dei propri partner europei, la Three Seas Initiative potrebbe danneggiare la centralità tedesca nello scacchiere europeo. Tale possibilità non ha particolarmente destabilizzato l’amministrazione Trump, poco interessata a mantenere rapporti stretti con lo stato che ospita le più grandi basi militari americane all’estero.

 Proprio il rischio che la Three Seas Initiative aumenti ulteriormente le ostilità tra i paesi dell’Est Europa e l’UE ha attirato numerose critiche all’appoggio americano al progetto. Se infatti gli Stati Uniti mirano principalmente a indebolire i rapporti Russia-Europa e Germania-Russia, la presa di posizione sulla Three Seas Initiative potrebbe rendere le già tese relazione tra Est Europa e istituzioni europee ancora più complicate. Alcuni degli stati membri dell’iniziativa, specialmente Ungheria e Polonia, hanno già avuto diverse occasioni di scontro con il resto dell’Unione ed è difficile che un ulteriore scontro sulla questione del gas russo non conduca ad un aumento delle tensioni. 

Nonostante i pericoli di frattura all’interno dell’Unione, la Three Seas Initiatives potrebbe costituire un’occasione unica per fermare l’intrusione cinese nei Balcani e nell’area est europea. Già dal 2019 un maggior coinvolgimento di Germania e Unione Europea sembra aver portato un cambiamento significativo nel ruolo strategico del progetto. La Cina ha recentemente investito ingenti somme in vari paesi dell’area, dalla costruzione di campus universitari in Ungheria alle iniziative promosse del gruppo 17+1. Una maggior collaborazione tra istituzioni europee e paesi est-europei potrebbe garantire un maggior margine di manovra all’UE, permettendo così di contenere l’avanzata cinese e i tentacoli della BRI. Una tale prospettiva potrebbe diventare sempre più allettante per l’Unione dato che la scarsità di finanziamenti per i progetti prioritari dell’iniziativa probabilmente costringerà i paesi dell’area a ricorrere ai finanziamenti dell’Unione. A ciò si aggiunge l’incerto futuro del format 17+1 e del ruolo cinese nella regione.

Insomma, un maggior coinvolgimento europeo nell’iniziativa potrebbe risolvere due problemi fondamentali dell’Unione: la riottosità dei paesi est europei alle norme europee basate sulla Rule of Law e la minaccia delle grandi potenze alle periferie. La rilevanza del secondo problema si farà inoltre gradualmente più pressante vista la crescente competizione tra grandi potenze mondiali. Sebbene una seconda guerra fredda sembri poco plausibile, l’Unione Europea non può permettersi di perdere un’area storicamente così centrale per il mantenimento degli equilibri internazionali. L’Est Europa potrebbe essere il campo di prova definitivo per l’Europa unita, e potrebbe essere una buona palestra, considerata la possibile convergenza tra interessi americani ed europei, con la Germania come osservato speciale

Articolo di Caterina Cammilleri, Matteo Cortellari e Luca Zucchetti