Tre luoghi abbandonati che raccontano Torino

Gli spazi abbandonati di Torino rispecchiano l'evoluzione della città negli ultimi decenni. Ne abbiamo raccontati tre

21/04/2020

Passeggiando per le strade di Torino si possono ancora notare grandi palazzi di cemento, fabbriche in disuso e grandi investimenti pubblici lasciati a marcire: sono i segni del passato di Torino, della città-fabbrica per eccellenza del secolo scorso e allo stesso tempo i simboli della sua transizione politica, economica e socio-culturale. Gli anni ’90 e 2000 hanno infatti rappresentato per il capoluogo piemontese l’inizio di un profondo mutamento cittadino, volto a trasformare Torino in una città terziaria a tutti gli effetti; sono ancora visibili le molteplicità di interventi da parte dell’apparato statale e dei privati, impegnati in progetti di riqualificazione di luoghi, strutture e quartieri che lascia spazio a mille perplessità. Torino quindi è attualmente un cantiere a cielo aperto, ancora a metà tra il suo passato e il suo futuro incerto e contraddittorio. Ci sono tuttavia luoghi emblematici del passato torinese che non si possono ignorare e che hanno in qualche modo cambiato la storia urbana e sociale della città. 

 

EX THYSSENKRUPP ACCIAI SPECIALI TERNI

Posizione dell’area: Corso Regina Margherita 400, Torino.

Superficie totale: 150.000 mq

Proprietà: Thyssenkrupp

Anno di abbandono definitivo: 2008

L’ex Thyssenkrupp Acciai Speciali Terni si erge sull’area occupata da Fiat Ferriere fino al 1978. Lo storico complesso siderurgico entra in funzione con la denominazione di “Teksid Acciai” e blocca la produzione di ferro per le auto della Fiat in favore di quella di acciaio, destinato al mercato internazionale. Negli anni a seguire la società accumula un grosso debito e con la conseguente privatizzazione lo stabilimento cambia nome e diventa noto sotto l’acronimo AST (Acciai Speciali Terni) passando nelle mani dei due colossi tedeschi Thyssen e Krupp. In quegli anni il complesso era comunemente noto come “ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni”.  “La Thyssen” è stata lo scenario del rogo avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 che provocò la morte di sette operai. L’incendio scoppiò nel reparto trattamento termico della linea decapaggio n°5, abbandonato dalla dirigenza in vista del trasferimento degli impianti a Terni e della chiusura dell’intera fabbrica per scelte di posizionamento internazionale della multinazionale. Dall’inchiesta sul caso, la scelta della dismissione risulta essere la causa della massimizzazione dei risparmi (intensificazione dei ritmi e cumulo di straordinari da parte degli operai) e dello sfruttamento di quegli impianti fino al punto di rottura, generando un latente pericolo per la vita e per l’integrità fisica dei lavoratori. Ciononostante, l’ex ad della Thyssen Harald Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitz, condannati in via definitiva nel 2016 per omicidio colposo plurimo, sono rimasti a piede libero per tredici anni. Sconteranno finalmente una pena, anche se di soli cinque anni, in Germania. Laddove quella notte si consumò il dramma, ora l’area è recintata e ci sono le transenne. E così, sulla mappa della città si aggiunge un altro spazio negletto segnato da una grande incognita.

Ex MOI

Posizione dell’area: Via Giordano Bruno 201, Torino.

Superficie totale: circa 100.000 mq2

Proprietà: Gruppo Intesa San Paolo e Prelios Sgr

Anno di abbandono: 2006-2011 e definitivamente nel luglio 2019

Se il motto delle Olimpiadi Invernali del 2006 di Torino era Passions live there, c’è da domandarsi quale sia il motivo per il quale la passione per l’architettura urbana ed il suo mantenimento, in Italia, non è mai andata di pari passo con questo principio.    Lo studio di architettura di Benedetto Camerana fu il vincitore di un concorso promosso al livello internazionale per poter progettare e realizzare il Villaggio Olimpico. Il progetto verteva sulla riqualificazione del quartiere Filadelfia, un quartiere popolare che ha ospitato, nei decenni, dapprima tutti gli operai impegnati nella costruzione della stazione Lingotto, e successivamente gli operai Fiat e Lavazza. L’Ex MOI, l’area interessata del progetto, riprende il nome dai Mercati Ortofrutticoli all’Ingrosso, che dal 1934 ai primi anni ‘90 hanno animato le strade del quartiere. Si sognava un nuovo complesso residenziale, si auspicava ad una sostenibilità della infrastruttura a lungo termine e poi ci siamo tutti svegliati, senza preavviso, nel 2011 con i primi insediamenti informali che hanno occupato, a mano a mano, le quattro palazzine colorate principali: una delle tante conseguenze del fallimentare “Piano Emergenza Nord Africa” (i fondi per la collocazione dei migranti si esauriranno senza risanare la situazione – un cliché all’italiana). C’è un buco nella narrazione dal 2006 al 2011, nel quale l’Ex MOI diventa ufficialmente il Mostro di Torino. L’infrastruttura inizia a cedere, non c’è un mantenimento comunale o un progetto istituzionale. Se il protagonista rimane l’abbandono, ora i coprotagonisti diventano i 1400 migranti, i centri sociali torinesi e qualche ONG fornendo un sostegno rivolto ad una reale inclusione sia nel sistema sociale che sanitario italiano. Il focus di tutte le giunte precedenti e della nuova amministrazione cinque-stelle del 2016 sembrano perdere completamente di vista l’obiettivo principale (di fatto la riqualificazione dell’area) ponendo tutte le attenzioni sul “problema migranti”. Inizia così il cosiddetto “sgombero dolce” nel 2017 con la presentazione del Piano MOI (Migranti un’Opportunità d’Inclusione) con la partecipazione del Gruppo Intesa San Paolo per ricollocare gli occupanti. Purtroppo, la comunicazione tra il Comitato Solidarietà Rifugiati e Migranti (il gruppo interdisciplinare instauratosi nel complesso olimpico a difesa degli ultimi) ed il Gruppo Intesa San Paolo è stata fallimentare causando la dispersione ed il mancato ricollocamento, di fatto, di alcune famiglie. Nel luglio 2019, l’Ex MOI viene del tutto sgomberato, inseguendo un mero progetto manageriale; di tutta l’area rimane attiva la sede dell’Arpa, un ostello della gioventù ed una foresteria universitaria. Si è parlato di adibire la zona a pista ciclabile, poi di ospitare un distaccamento della Città della Salute ed, infine, di un fantomatico Museo del Torino Calcio. Di idee e progetti, le più quotate sono le chiacchiere da quartiere. Oggi, murato e recintato, l’Ex MOI è lasciato con un nuovo solo protagonista: l’inutilità.

LE EX POSTE 

Posizione dell’area: Via Claudio Monteverdi 114/120

Superficie totale: 13’272 mq

Proprietà: Poste Italiane

Anno di abbandono: 2009

Il quadrante nord-est della città costituisce l’ex cuore pulsante dell’industrializzazione torinese e ha ospitato fin dal dopo guerra le infrastrutture pubbliche della città. A settant’anni dal boom economico, di queste rimangono solo gli immensi scheletri dimenticati, grigi e silenziosi. Ne è la prova l’edificio delle Ex Poste e Telecomunicazioni, un tempo polo d’eccellenza delle Poste Italiane; costituiva il centro della distribuzione dei pacchi postali, della corrispondenza speciale e delle consegne celeri. In questa fabbrica, con giganteschi rulli trasportatori, sistemi di smistamento su due piani e centinaia di addetti e furgoni in movimento giorno e notte, venivano caricate le corrispondenze dei torinesi. Da quando la telematizzazione delle poste ha portato ad uno spostamento delle infrastrutture in luoghi più strategici, il complesso è entrato a far parte dei 900mila mq che la delibera del consiglio comunale del giugno 2009 fa diventare protagonisti della variante n°200 del piano urbanistico regolatore generale. Si tratta di un ambizioso progetto di riqualificazione che promette a Torino di abbracciare la via dell’economia e della conoscenza: il raggruppamento “To make!” guidato dalla società torinese RecchiEngineering, ha vinto una gara internazionale lanciata dal palazzo civico nel 2012. L’obiettivo era di “trasformare un’area oggi priva di identità urbana in un motore del cambiamento, il cuore della città intelligente che è al centro della strategia di crescita di questa Amministrazione”, spiega Ilda Curti, assessore all’Urbanistica, Integrazione, Arredo Urbano della Città di Torino nel suo intervento all’incontro del 2013 CHANGING THE CITY. L’Ex Poste dovrebbero quindi trasformarsi nell’ennesimo polo terziario di avanguardia. Dal 2009 non si è più parlato delle sorti di questo edificio, fino al 2015 quando sono stati avviati i lavori tesi a sigillare l’ingresso del complesso. Oggi si parla di una demolizione per lasciar spazio alla nuova arteria portatrice di sviluppo” per il quartiere: la linea 2 della metropolitana, di cui ancora non si vede neanche l’inizio ormai da anni. Abbandonato prima che lo spending review diventasse una necessità statale per il funzionamento degli uffici, con lo scopo di evitare gli sprechi, il vecchio Palazzo Rosa è quindi una carcassa ormai in decomposizione, senza colori e svuotato dalle ultime cose di valore lasciate indietro, dalla grande insegna al neon giallo alle scatole piene di lettere mai consegnate.

 

Articolo di Redazione Torino