Il turismo vaccinale nell’era Covid-19

La nuova frontiera dei viaggi low-cost

Con l’espressione “turismo vaccinale” si intende un nuovo fenomeno che riguarda una forma di soggiorno all’estero con lo scopo di vaccinarsi. Essendo una modalità che si è sviluppata recentemente, al momento è abbastanza complicato delineare un paradigma unico. Infatti, questi flussi di turisti sono iniziati per ragioni differenti ed ogni nazione protagonista ha affrontato in modo diverso questo vantaggio. Per alcuni Paesi queste campagne vaccinali sono state guidate dalla volontà di una ripresa economica, soprattutto dal punto di vista del settore terziario: non solo in questi mesi, ma anche in vista dell’estate alle porte.

 

Isolati e felici

Una modalità di agire molto discussa dal punto di vista sanitario consiste nel modello delle isole Covid-free, il cui caso più eclatante nel contesto europeo è la Grecia. La Repubblica Ellenica ha iniziato la campagna vaccinale da tempo, così da prevedere che tra aprile e maggio gli abitanti delle sessantanove isole elleniche riceveranno il vaccino. Atene ha portato avanti una campagna vaccinale a tappeto sia nei piccoli centri che in molte isole per preservare la stagione estiva e il turismo ad essa connesso. Grazie a questo modus operandi hanno potuto registrare la prima isola in Europa ad essere totalmente Covid-free: Kastellorizo. Tutti gli abitanti di quest’isola hanno ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer, diventando una dei luoghi più sicuri nonostante la sua poca notorietà. Gli effettivi risultati della campagna vaccinale greca si stanno manifestando non solo dal punto di vista sanitario, ma anche economico. Infatti, le stime della Commissione europea registrano una crescita economica attorno al 3,5%. La creazione di zone sicure sta aiutando molto la ripresa economica del Paese ellenico, considerando il fatto che si tratta di un’economia fondata in prevalenza sul turismo e il settore agro-alimentare.

Tutt’altro caso è invece quello riguardante le isole Mauritius. Il paradiso dell’oceano Indiano ha ampliato il suo piano vaccinale includendo anche tutti i visitatori internazionali maggiorenni di lungo periodo. Lo scopo di questo ridimensionamento del programma vaccinale consiste nel preservare il Paese tramite il raggiungimento dell’immunità di gregge, in modo tale da poter consentire la riapertura dei confini internazionali. Tutti coloro che otterranno il visto premium, che è rinnovabile, hanno la facoltà di trascorrere fino a dodici mesi nel Paese. Nell’ex colonia inglese l’opportunità di vaccinarsi arriva – senza costi aggiuntivi – per circa 1,2 milioni di persone, ovvero non solo i residenti, ma anche coloro che possiedono un permesso di lavoro o residenza e i turisti con il visto. La scelta di Mauritius di allargare il piano vaccinale a tutti i visitatori deve essere considerata in relazione alla dipendenza economica del Paese al turismo. Prima della pandemia queste isole erano abituate ad accogliere ogni anno quasi un milione e mezzo di persone. Inoltre, il 20% della forza lavoro è impiegata nelle varie attività connesse al settore terziario e all’indotto.

 

Un vaccino d’élite

Un altro modus operandi è quello messo in atto dagli Emirati Arabi, che è stato paragonato ad una diplomazia del siero. Da un’inchiesta del “Financial Times” viene evidenziato come nel Paese del Golfo ci siano vaccini in grande quantità e siano stati già effettuati su oltre sei milioni di abitanti, considerando che la popolazione totale dovrebbe essere più o meno di dieci milioni. Grazie a questa abbondanza, politici, persone facoltose e regnanti hanno ricevuto il vaccino negli ultimi mesi. In questo Paese chiunque lo richieda può avere l’opportunità di essere vaccinato gratuitamente, anche con il Sinopharm, del quale è programmata la produzione in loco. Sempre secondo il “Financial Times”, gli Emirati Arabi potrebbero aver inaugurato il “turismo vaccinale”, tuttavia al momento il siero tanto desiderato viene riservato solo alle persone abbienti e che posseggono rapporti importanti con Abu Dhabi e Dubai. Alcuni volano verso quest’ultimo emirato per ricevere il vaccino, mentre altri facoltosi vacanzieri vanno ad aprire delle società offshore, in modo tale da poter richiedere la residenza ottenendo anche il siero. Qui vengono somministrati vaccini per chi ne necessita per motivi di lavoro e allo stesso tempo ai turisti benestanti che compiono questo viaggio a questo scopo. 

Sembra impossibile, eppure esistono i remoti angoli di paradiso nei quali il virus non è mai arrivato. In una società dilaniata dalla pandemia, in cui tante economie si avvicinano sempre più al collasso, c’è spazio anche per isole tanto lontane agli occhi di un occidentale da fare della loro distanza un punto di forza. È il caso di Nauru, in Micronesia, un piccolo Stato insulare nel mezzo dell’Oceano Pacifico tristemente noto per i suoi fallimenti: dallo sperpero delle ricchezze accumulate durante gli anni settanta grazie ai giacimenti di fosfati, allo status di Paese meno visitato del pianeta. Oggi è principalmente un campo d’accoglienza profughi australiano, nonché la nazione con il tasso di obesità più alto al mondo. Diversamente dal passato, in cui l’isola ha sicuramente mal gestito le proprie risorse, questa volta Nauru si sta facendo trovare pronta. Pur non avendo mai avuto casi, si sta preparando ad affrontare il Coronavirus rifornendosi di vaccini grazie al programma COVAX, un piano che mira a coordinare le risorse internazionali per consentire un equo accesso ai vaccini anti Covid-19. Sono poco più di settemila le dosi AstraZeneca che hanno raggiunto l’isola, comunque sufficienti per arrivare a coprire all’incirca il 33,2% della popolazione. Proprio gli abitanti del Pacifico occidentale, così distanti dalle grandi questioni geopolitiche che stanno alla base anche di situazioni come quella che viviamo, sono vittime indirette della pandemia.

Nell’ottica del recente fenomeno del “turismo vaccinale” quei luoghi come le isole oceaniche si trovano ad un punto zero, privi persino della possibilità di azionare un piano del genere, oltre che in forte svantaggio tanto per le condizioni economiche cui versano, quanto per la loro posizione geografica che, perlomeno nella storia recente, non era mai stata così irraggiungibile.

 

Eccezioni alla regola

Inevitabilmente diverso sarebbe qualsiasi caso studio presente sul suolo europeo, ma quello serbo è un vero e proprio unicum. Le vaccinazioni procedono a una velocità più che raddoppiata rispetto all’Italia, grazie agli ottimi accordi che lo Stato ha conseguito per l’approvvigionamento delle dosi da parte di tutti i maggiori produttori. Inoltre, è addirittura possibile scegliere quale siero farsi inoculare fra ben cinque alternative (tra cui anche il russo Sputnik V e Sinopharm, di produzione cinese). 

A poter disporre di questa opportunità però non sono stati soltanto i cittadini, ma anche gli stranieri, prima che il governo revocasse tale possibilità per dare la priorità ai serbi. Non era necessario essere residenti, né avere il permesso di soggiorno perché quello a vaccinarsi alla Fiera di Belgrado, il più grande hub vaccinale del Paese, sembrava essere un reale invito. Gli unici requisiti erano legati alla compilazione di un modulo sul portale governativo eUprava, all’acquisto online di una sim card e all’attivazione di un numero di telefonia mobile serbo per essere contattati alla prima disponibilità. Non è passato molto tempo prima che la notizia facesse il giro del mondo e sempre più persone iniziassero a recarsi in Serbia per ottenere la somministrazione del siero da loro scelto. I Paesi dai quali sono state registrate più partenze sono la Macedonia del Nord, la Bosnia ed Erzegovina e Montenegro, ma anche dall’Italia molte agenzie di viaggio hanno cominciato a proporre pacchetti vacanze dotati di hotel, guida turistica e vaccino. Tuttavia, ad oggi, la premier Ana Brnabić ha temporaneamente sospeso questo servizio per concentrarsi sull’immunizzazione dei cittadini serbi, non escludendo comunque in futuro una nuova campagna vaccinale destinata ai soli Paesi balcanici vicini.

Si è fin troppo parlato di quanto la stessa Unione europea abbia effettivamente rallentato la distribuzione delle dosi sul suo territorio, da una parte a causa degli accordi non rispettati delle case farmaceutiche, dall’altra da una discutibile diplomazia internazionale che senza ombra di dubbio ha preferito – e sta tuttora preferendo – alcune produzioni a discapito di altre.

Se la Serbia è stata lodevole nell’approvvigionamento dei vaccini, c’è chi ha pensato direttamente di realizzarli nel proprio Paese. Questo sta succedendo a Cuba che, grazie ai finanziamenti statali, sta portando avanti la ricerca su ben cinque sieri sperimentali. Una volta raccolti i dati, l’obiettivo sarà pubblicare i risultati dei test clinici sulle maggiori riviste scientifiche e infine sottoporli all’Organizzazione mondiale della sanità per una valutazione delle loro caratteristiche in modo tale da ottenere l’autorizzazione all’utilizzo. Il governo cubano sta puntando tutto su Soberana 2 e Adbala, i più avanti nella sperimentazione, nell’ottica di immunizzare L’Avana entro l’estate, vendere le proprie dosi agli Stati rimasti più indietro nella “corsa ai vaccini” – come Iran e Venezuela, preclusi dalle trattative statunitensi – e soprattutto rilanciare il turismo, una delle principali fonti di guadagno dell’isola. Cuba è pronta a produrre cento milioni di dosi: sufficienti per la sua immunità di gregge, l’esportazione e la vaccinazione di chi arriva per le vacanze. Pertanto, per i tour operator che cercano di promuovere il fenomeno del “turismo vaccinale”, i Caraibi si aggiungono alla lista delle destinazioni ideali pensate appositamente per chi, negli anni del Coronavirus, è attratto non solo dal consueto relax, ma ha anche un occhio di riguardo per la propria salute.

 

Questo articolo è un adattamento dell’approfondimento La nuova frontiera dei viaggi low-cost nell’era Covid-19 che potete trovare sul numero 41 di Scomodo abbonandovi qui.

Articolo di Caterina Cammilleri e Marina Roio