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In Ucraina, tra le ONG nate per aiutare le vittime della guerra
“Il 24 febbraio ha cambiato la mia vita”, così ha iniziato a raccontare di sé e della sua organizzazione l’attivista ucraina residente nei Paesi Bassi, Veronika Mutsei. Lo scoppio della guerra ha effettivamente portato a enormi cambiamenti: per gli abitanti dell’Ucraina, coinvolti direttamente, ma anche per il resto dell’Europa.
Se per alcuni la reazione immediata è stata quella di paralisi e incapacità di realizzare l’accaduto, per altri invece agire è stato spontaneo se non addirittura necessario. Nei primi giorni molti hanno partecipato alle proteste e alle manifestazioni nelle rispettive città, come nel caso di Veronika, mentre altri hanno iniziato a donare o inviare beni di prima necessità.
Tuttavia, manifestare per molti non era sufficiente. A fianco delle già esistenti organizzazioni sono nate quindi altre ONG, fondate da individui spinti da un forte desiderio di aiutare il proprio Paese o da persone desiderose di dissociarsi dalle azioni del proprio Paese, mettendo a disposizione le conoscenze derivate da precedente esperienza politica.
Zeilen van Vrijheid (Vele di Libertà)
“Zeilen van Vrijheid” è una ONG nederlandese ufficialmente nata il 10 marzo ma operativa sin dai primi giorni della guerra. I fondatori, Dan, di origine russa, e Veronica, ucraina, si sono trovati a collaborare insieme per inviare materiale sanitario in Ucraina . “All’inizio”, afferma Veronika, “collaborare con volontari russi non è stato facile ma la scelta di Dan di rinunciare al passaporto russo nel 2014 dopo l’annessione della Crimea ha reso più facile collaborare con lui”.
“Inizialmente, spinta dal desiderio di aiutare concretamente, sono riuscita a comprare moltissimi medicinali grazie alle donazioni”,racconta Veronika, “poi mi sono però resa conto che numerose ambulanze sarebbero andate distrutte nei primi giorni di guerra e quindi ho deciso di cercare dei mezzi da inviare in Ucraina”. Già durante la prima settimana Veronika, che a quel punto aveva già unito le forze con altri volontari è riuscita a inviare a Kiev un primo convoglio costituito da due ambulanze recuperate dal Belgio cariche di medicinali e due auto da usare per l’evacuazione.
Per meglio gestire gli introiti provenienti dalle numerose donazioni, i due fondatori hanno deciso di aprire una associazione. Grazie all’aiuto di conoscenti, l’organizzazione è stata aperta in tempo record, circa tre giorni, invece delle canoniche due/tre settimane. “In due settimane potevamo salvare così tante vite, o perlomeno provarci. Non dico che lo abbiamo già fatto ma tentiamo”.
I convogli
Così come il primo, il secondo convoglio ha avuto come destinazione finale la capitale Kiev, da dove i mezzi sono poi stati smistati. Dopo un confronto con persone residenti nelle aree più a rischio è stata però presa la decisione di inviare i successivi convogli direttamente alla destinazione finale senza tappe intermedie né a Kiev né a Leopoli, evitando così che i mezzi rimanessero inutilizzati.
“Sono stata una delle autiste del secondo convoglio”, afferma con un certo orgoglio Veronika, spiegando in quale modo le ambulanze giungono a destinazione. Grazie a un gruppo consolidato di autisti da tutta Europa, ma soprattutto nederlandesi, il convoglio raggiunge il confine polacco-ucraino dopo aver percorso quasi 1500 chilometri tra Germania e Polonia. Una volta varcata la frontiera, i mezzi vengono lasciati agli autisti ucraini che, a causa della guerra, non possono varcare il confine per recuperare le ambulanze. Veronika sottolinea che ha deciso di condurre personalmente il secondo convoglio perché, nonostante i cittadini con passaporto europeo siano liberi di varcare i confini ucraini in entrata e in uscita, in situazioni di emergenza potrebbero sorgere complicazioni anche legate alla barriera linguistica (in quanto molti volontari non conoscono l’ucraino).
Al momento i convogli inviati sono quattro: il terzo contava 8 ambulanze, divise tra Charkiv, Makariv, Kiev e Mykolaiv, mentre il quarto, giunto domenica 10/04, ha consegnato 10 ambulanze e un’autopompa diretta a Lugansk, nel Donbass.
Come funziona l’organizzazione: lavoro di gruppo e ricerca ambulanze
L’organizzazione si fonda su 5 coordinatori: Veronika che si occupa degli sponsor, della ricerca dei mezzi, Dan che si occupa del rapporto coi media, Oleg che è coordinatore degli autisti, Maria, ex dipendente del Ministero della Salute ucraino, coordinatrice sanitaria. Da poco si è aggiunto anche un coordinatore logistico che si occupa del magazzino affittato grazie a una cospicua donazione.
“All’inizio compravamo dei campers, non delle ambulanze, e non avevano nemmeno le barelle. Ora però inviamo le ambulanze dotate di barelle e attrezzatura di base”. Il costo di ciascun mezzo si aggira intorno ai 30.000€ ma la scelta di “Zeilen van Vrijheid” è quella di mandare ogni mezzo carico di materiale sanitario, cosa che inevitabilmente richiede maggiori risorse. Ovviamente, non sono i volontari a decidere cosa sia necessario ma gli ospedali locali, che sono in contatto con la coordinatrice sanitaria Maria. Ultimamente, è aumentata anche la richiesta per attrezzature specifiche come i fissatori che hanno prezzi che variano tra i 1500€ e i 2000€.
A metà intervista Veronika si è brevemente assentata e, una volta riconessa, si è scusata, affermando che “le ore prima della partenza dei convogli sono sempre febbrili e sono costantemente impegnata”.
Anche la ricerca di ambulanze si è evoluta col trascorrere delle settimane: i primi mezzi sono stati recuperati tramite siti di auto usate. Questo significava tuttavia dover ogni volta fare delle verifiche per accertarsi dell’idoneità del mezzo. Ultimamente, con la crescita dell’organizzazione, è stato possibile mettersi in contatto con organizzazioni di emergenza-urgenza nederlandesi. Una volta che un mezzo non è più idoneo all’utilizzo nei Paesi Bassi viene solitamente ricondizionato e venduto come camper. “ Ora però queste associazioni quando sanno di avere delle ambulanze che presto saranno fuori servizio ci contattano e ci chiedono di quali attrezzature abbiamo bisogno” dichiara Veronika.
Nonostante le pressioni del team marketing (un’introduzione recente insieme ai social media), Veronika ha voluto sottolineare che l’organizzazione non chiede mai un feedback dall’Ucraina in quanto assolutamente non prioritario. Tuttavia, molto spesso giungono video e fotografie fatte dai sanitari che fungono a tutti gli effetti da riscontro. Una delle ambulanze donate è stata vista a Bucha nei giorni successivi alla macabra scoperta che è rimbalzata sui giornali di tutto il mondo.
Helping to Leave
Di organizzazioni nate per aiutare il popolo dell’Ucraina nell’emergenza ce ne sono moltissime. Alcune come la già citata “Zeilen van Vrijheid” si dedicano all’invio di beni di prima necessità e attrezzature (mediche nel caso nederlandese) mentre altre sono orientate a fornire informazioni che aiutino gli ucraini nella fuga dal loro Paese. Una di queste è “Pomogaem Uechat” o “Helping to Leave”, fondata da volontari russi emigrati in Georgia ma ora internazionalizzatasi. Tra i volti più noti c’è Irina Fat’janova che per un anno e mezzo è stata a capo della sezione pietroburghese dell’organizzazione di Naval’nyj, prima di dover abbandonare la città per motivi politici. Proprio lei insieme all’amica Alina Muzyčenko ci ha raccontato in videochiamata del progetto fondato il 24 febbraio in risposta alla necessità di non restare a guardare.
Il 25 febbraio è stato quindi aperto un canale telegram dove tuttora vengono pubblicate informazioni rilevanti, specialmente legate agli itinerari di evacuazione e al coprifuoco. Con lo scopo di sistematizzare il flusso di informazioni, i volontari hanno creato parallelamente al canale una chat-bot attiva 24/7 dove è possibile ottenere informazioni specifiche da un operatore. Dall’11 marzo anche gli individui che vogliono collaborare in qualità di autisti (lungo i corridoi di evacuazione) possono fare domanda attraverso il bot.
Osservando l’attività delle organizzazioni già consolidate, i volontari di “Helping to Leave” si sono resti conto che ciò che mancava era innazitutto una visione d’insieme (“dall’alto”) di tutte le organizzazioni che offrono aiuto, delle vie di fuga, dei documenti necessari e delle informazioni fondamentali come gli orari del coprifuoco e la posizione dei rifugi antiaereo. “Per questo motivo”, dice Irina, “abbiamo assunto la funzione di aggregatore di informazioni”.
Un’altra caratteristica peculiare di questo progetto è sicuramente il supporto economico diretto. “Nonostante molto denaro sia stato raccolto a fini umanitari, mancavano organizzazioni che si occupassero di fornire aiuto diretto per l’acquisto di biglietti per i mezzi di trasporto, cibo e medicinali” fa notare Irina.
Queste scelte non sono frutto di una intenzione originaria ma derivano dalla decisione di modellare il proprio servizio in base alla necessità delle persone che si rivolgono al bot, tenendo conto delle richieste più frequenti
Essendo i volontari in maggioranza cittadini russi, una grande sfida è stata quella di guadagnare fiducia e costruirsi una reputazione. Inizialmente infatti la diffidenza era molta. Tuttavia, grazie alle chiare prese di posizioni e alla condanna del trasferimento forzato di ucraini e ucraine nella Federazione Russa, sono riusciti a superare questo ostacolo.
I trasferimenti forzati (di cui ha parlato anche il Washington Post) sono forse uno dei temi più scottanti dell’intero processo di evacuazione e presentano numerosi problemi legali. Irina e Alina hanno confermato che se la persona è in possesso del passaporto varcare il confine verso altre destinazioni (Finlandia, Georgia o altri Paesi) non è affatto difficile. Il dilemma sorge in assenza del documento, in quanto la carta d’identità ucraina non è considerata valida dalle autorità russe e le autorità consolari dell’Ucraina, per ovvi motivi, non sono in grado di assistere i connazionali. A questo si sommano l’umiliante processo di ispezione, l’interrogatorio (spesso riguardante le posizioni politiche), il controllo dei cellulari, la registrazione delle impronte digitali e il soggiorno in veri e propri campi di smistamento. Al momento dalla Federazione Russa “Helping to Leave” ha ricevuto 200 richieste di aiuto (che spesso riguardano intere famiglie o più gruppi familiari). Chiaramente si tratta di una percentuale molto piccola rispetto alle 25.000 consultazioni aperte e le 7000 risolte dall’apertura del bot fino al 4 aprile, ma si tratta di una questione delicata e pericolosa sia per i volontari che per gli ucraini e le ucraine.
Come lavorano i volontari e con quali risorse
Nei primi giorni di emergenza non esisteva un vero e proprio sistema di formazione dei volontari e non c’erano né social media né sito web. Col passare dei giorni però, grazie anche alla precedente esperienza politica di molti volontari, ha iniziato a prendere forma un processo sistematico di formazione che ora si svolge in 3/4 giorni contro gli 1/2 di inizio emergenza.
Il processo per diventare volontario è strutturato in più fasi: incontro con uno psicologo, controllo delle referenze (background check), autenticazione a due fattori, corso online e prove pratiche con richieste d’aiuto reali. Ovviamente l’organizzazione dispone anche di esperti che si occupano di casi specifici legati a determinate zone geografiche o a richieste particolari (es: supporto medico e/o psicologico).
Rivolgendosi a un bot, l’utente riceve informazioni da un operatore volontario, il quale, se necessario, trasmette le informazioni al supervisore che trova nei vari canali telegram l’itinerario adatto per l’evacuazione ed eventualmente un autista. Se l’autista non ha mai collaborato con “Helping to Leave”, entra in azione il fact-checker (solitamente ucraino) che si mette in contatto con la persona e, dopo una serie di domande, comunica le sue conclusioni al supervisore. Il supervisore trasmette le informazioni all’operatore che a sua volta le comunica all’utente. Questo processo ha permesso nell’ultimo mese di creare una rete di autisti e organizzazioni che lavorano in stretto contatto senza continuo bisogno di verificare le informazioni.
Tutto questo progetto viene sostenuto attraverso raccolte fondi, metodo ampiamente sperimentato da chiunque abbia esperienza politica d’opposizione in Russia. Dal 25 febbraio al 4 aprile sono stati raccolti più di 150.000€, di cui 50.000€ spesi in aiuti diretti alla popolazione ucraina. Inizialmente i fondi venivano raccolti su carte russe ma in seguito alle sanzioni è diventato complicato trasferire il denaro da conti russi all’estero e quindi al momento le donazioni dalla Russia sono sospese. Per ovviare a questo problema, i volontari di “Helping to Leave” hanno deciso di ricorrere alla criptovalute. Le donazioni da carte europee e ucraine invece continuano a essere accettate normalmente.
Articolo di Luca Zucchetti e Roman Musatkin