L’Ungheria si sta sempre più avvicinando alla Cina

Le politiche vaccinali e di apertura alla Cina di Orban si stanno rivelando sempre più problematiche per l’Unione Europea.

Fin da quando è riuscito ad ottenere la vittoria nelle elezioni presidenziali in Ungheria del 2010, Viktor Orbán ha da sempre rappresentato un problema per l’Unione Europea. Le politiche messe in atto dal Primo Ministro ungherese nel corso di questi 11 anni, mosse principalmente da una rigida applicazione del principio di sovranità nazionale e dalla totale volontà di smarcarsi dalle linee guida della massima organizzazione del continente europeo, hanno spesso messo in luce la fragilità dell’Unione, rivelatasi incapace di contrastare un così aggressivo processo di accentramento del potere statale nelle mani del leader di Fidesz. Una debolezza sancita dallo stesso Europarlamento, che nel Gennaio del 2020 aveva approvato una risoluzione ad ampia maggioranza nella quale non solo si condannavano le politiche del governo di Budapest (oltre a quelle del governo polacco, forse il paese che maggiormente si avvicina al caso ungherese all’interno dei 27), ma anche l’incapacità della Commissione di prendere provvedimenti contro le palesi violazioni dello stato di diritto perpetuate dai due paesi. 

Questa tendenza è stata ancor più accentuata dalla pandemia che ha colpito l’intero globo: la gestione della crisi sanitaria è divenuto solo l’ennesimo terreno di scontro del lungo braccio di ferro che intercorre fra la Commissione e il Primo Ministro ungherese.

 

La strategia vaccinale ungherese contro i piani dell’Unione

Il Leader di Fidesz ha visto nell’organizzazione della campagna vaccinale per il proprio paese un campo perfetto per poter continuare ad affermare la sovranità ungherese e la propria sostanziale autonomia dall’Unione. Fin dai primi istanti della campagna di vaccinazione europea, ambito nel quale la Commissione sta concentrando le proprie forze per cercare di dimostrare la propria validità come soggetto geopolitico autonomo ed efficace, l’Ungheria ha sempre messo in mostra la sua voglia di distaccarsi dalla strategia del massimo organo esecutivo continentale: questo ha portato alla decisione di anticipare di un giorno le prime somministrazioni dei vaccini, rispetto alla simbolica data del 27 Dicembre scelta dai restanti 26 paesi, e alle dure critiche mosse da Orbán già nei primi giorni di Gennaio sui ritardi da parte dell’Unione nell’ottenimento di dosi e sulla lentezza dell’EMA di porre i vaccini russi e cinesi sotto i trials necessari per la loro approvazione a livello continentale. Già durante questo intervento, il Primo Ministro Ungherese aveva messo in luce l’attenzione e le speranze che il suo governo riponeva verso i vaccini provenienti da Russia e Cina, che ha poi portato l’Ungheria a bypassare il processo di approvazione dell’EMA e dare il consenso per l’utilizzo dello Sputnik V e del Sinopharm. Una scelta che ovviamente non può lasciare indifferente la Commissione, che proprio in questo momento è impegnata in una dura battaglia di sanzioni economiche con Mosca e Pechino, frutto della costante politica di apertura verso Est portata avanti dal Leader ungherese, che ha reso di fatto l’Ungheria il “cavallo di Troia” perfetto per il governo di Xi Jinping per estendere la propria sfera d’influenza all’interno anche del continente europeo. 

 I dati sembrano effettivamente dare ragione alla strategia ungherese, che con il 27% di copertura vaccinale della popolazione nazionale guida le graduatorie europee, segnando un duro colpo per la campagna vaccinale europea, che la Commissione sta cercando di gestire al pari delle restanti potenze mondiali pur non disponendo di filiere di produzione vaccinale interne e soprattutto mancando di quegli strumenti necessari per sviluppare una politica di potenza fondamentale nella contrattazione con le case farmaceutiche. Queste mancanze sono state percepite da  Orbán, il quale, sfruttando la totale assenza di strumenti coercitivi da parte delle istituzioni europee per imporre la totale adesione al piano vaccinale ai paesi membri, ha deciso di imporsi e concedere l’autorizzazione ai vaccini provenienti da Russia e Cina, rinsaldando anche in questo modo anche i sempre crescenti rapporti con queste due grandi potenze ostili all’Unione. Non appare dunque casuale la scelta del Leader ungherese di scegliere Sinopharm per la propria vaccinazione: un messaggio, lanciato dai propri profili social ufficiali, direttamente rivolto a Xi Jinping, per ancor di più sottolineare quanto l’Ungheria sia un alleato fedele per le politiche di Pechino. 

Ad oggi, la risposta della Commissione si fa ancora attendere, ma vi è l’assoluta certezza che essa arriverà prossimamente. Questa sicurezza deriva dalla totale sudditanza del massimo organo europeo rispetto agli Stati Uniti, un rapporto ancillare, così definito spesso dall’esperto di geopolitica Dario Fabbri, memore del fatto che sono stati gli USA a permettere lo sviluppo dell’integrazione politico-economica europea in seguito al secondo conflitto mondiale. Un così netto favoritismo da parte di uno degli alleati all’interno del continente europeo, cuore strategico del seppur fragile dominio geopolitico americano sul globo, nei confronti dei due rivali più temuti dagli Stati Uniti non può di certo passare inosservato presso gli uffici dell’amministrazione centrale americana. Questi quasi certamente si sono già mossi per mettere sotto pressione la Commissione, nel tentativo di imporre al organo presieduto da Ursula Von der Leyen di far rientrare immediatamente nei ranghi del piano vaccinale europeo i paesi ribelli che sempre con maggiore vigore volgono il proprio sguardo a Est verso le offerte dei maggiori competitor geopolitici degli USA. Se la Commissione si rivelerà incapace di  intervenire prontamente contro l’insubordinazione ungherese, molti paesi dell’Est Europa potrebbero seguire l’esempio dell’Ungheria: già Polonia e Repubblica Ceca hanno iniziato i contatti con Pechino per garantirsi delle forniture dei vaccini sviluppati da Pechino. Un rischio che Commissione e Stati Uniti non possono permettersi di correre, specie nel pieno di un neonato conflitto economico che le vede impegnate contro il governo di Xi Jinping, mentre la relazione fra Ungheria e Cina non fa altro che rafforzarsi.

 

Il rapporto sempre più forte tra Ungheria e Cina

Risalgono a più di dieci anni fa i primi contatti registrati tra i due paesi,che singolarmente considerati, non presentano punti in comune.  Eppure, con il tempo hanno saputo costruire una coalizione funzionale ad entrambi. l’Ungheria ad oggi può essere considerata lo stato più filocinese tra i membri dell’Unione Europea, dal canto suo la Cina ha saputo scegliere strategicamente il miglior partner con cui iniziare un corteggiamento a vantaggio non solo personale ma anche della controparte.

L’elezione del partito Fidesz nel 2010, ha segnato l’inizio della cosiddetta politica “opening to the est”. Da quel momento in poi l’Ungheria è stata guidata in questa tessitura di rapporti da oltre un decennio da Viktor Orban, che ha instaurato dialoghi basati su interessi prettamente economico commerciali con Russia, Turchia, ma soprattutto con la Cina di Xi Jinping. L’Unione europea si è trovata così e ancora adesso si trova molto spesso a dover mettere quasi in discussione la trasparenza e la lealtà dell’Ungheria, causando aspri dissidi tra gli stessi stati membri.

Il leader ungherese è infatti da parecchi anni in collisione con gli organi comunitari, ha avuto difficili negoziati sia con la Commissione europea e subito dopo anche con il Fondo monetario internazionale (FMI). Le due istituzioni hanno cercato di costringerlo a tagliare il deficit di bilancio e l’austerità impopolare durante il governo di Medgyessy e Ferenc Gyurcsány. Fonti giornalistiche ungheresi hanno fatto trasparire che il paese stava cercando delle fonti di denaro alternative a quelle europee, proprio con l’intento di tagliare questo cordone ombelicale che li rendeva dipendenti economicamente all’occidente, in quel momento Xi Jinping rappresentò l’unica via di fuga possibile, in un contesto di forte pressione finanziaria.

“Abbiamo ricevuto un aiuto storico dalla Cina perché abbiamo bisogno di questa sicurezza per poter procedere con coraggio alla ristrutturazione economica che abbiamo intrapreso”, diceva Viktor Orbán in una conferenza stampa post-negoziazione quando ha annunciato che la Cina avrebbe acquistato titoli di stato ungheresi.

Sugli effettivi investimenti della Cina però pare ci sia quasi un velo di mistero, che rende poco chiare e trasparenti le innovazioni apportate nel territorio del partner occidentale. Alla fine del 2015, stando ai dati condivisi dal governo ungherese, gli investimenti del Dragone ammontavano a quota 3,5 (circa) di miliardi di dollari. Per la Banca nazionale ungherese invece, lo stock di investimenti provenienti da Pechino non avrebbe superato il tetto di circa 200 milioni di dollari. Nel 2018, Rhodium Group, uno dei più importanti centri di ricerca sulla Cina, parlava invece di 2 miliardi di euro di transazioni effettuate dal 2000. Ad oggi uno tra i più importanti e certi investimenti è stata sicuramente l’acquisizione di Borsodchem (azienda ungherese di produzione di materie prime chimiche con sede a Kazincbarcika, nel nord dell’Ungheria) e l’espansione di Huawei nello stesso paese, entrambi però decisi ben prima del 2010.

Nonostante ciò pare però che si sia creata una condivisione tra coniugi consolidata nel tempo, in quella che potrebbe essere definita la più classica delle relazioni win-win, e da allora Budapest ha dato più volte dimostrazione di lealtà a Pechino, non è un caso se gli ungheresi boicottano quasi sempre le risoluzioni con cui il Consiglio europeo condanna le azioni del governo cinese. Budapest ha inoltre promosso la cultura cinese nel proprio stato, permettendo ai cinesi di inaugurare Istituti Confucio in più città, permettendo l’instaurazione di legami ambigui con giornalisti, studenti, universitari ed anche professori. Questo ha sicuramente messo sotto gli occhi delle istituzioni ungheresi una minaccia non poco rilevante, che non può essere del tutto ignorata: lo spionaggio. I cinesi “non si fidano di altri oltre al proprio”, affidando seri compiti di spionaggio a gruppi etnici cinesi. Inoltre, “non stanno organizzando classiche reti di agenti in Occidente, ma amici bianchi per la grande Cina”, ha spiegato un ex capo dell’intelligence ungherese. L’intelligence cinese usa questi “amici” per ottenere informazioni o per rafforzare le posizioni cinesi, i cosiddetti compiti di rete, ma questo rapporto è molto più sciolto, più informale del reclutamento regolare.

La cultura cinese però non è stata profusa limitatamente, come si sosteneva pocanzi, all’apertura di Istituti Confucio, ma anche attraverso vere e proprie sedi universitarie cinesi dislocate in Ungheria, ne è un esempio l’Università Fudan di Shanghai, una delle istituzioni d’élite cinesi di istruzione superiore, che aprirà il suo primo campus in Ungheria tra qualche anno. Secondo l’Istituto statistico ungherese (KSH) nel 2013 c’erano solo 446 studenti cinesi in terra magiara. Nel 2019 il numero era circa sei volte tanto. Il numero di universitari cinesi in Ungheria è cresciuto fortemente nell’ultimo decennio. Detti incrementi sono dovuti non tanto per le politiche governative, ma perché le università magiare hanno cercato di far fronte al calo delle risorse pubbliche loro allocate attraendo studenti stranieri che pagassero il massimo della retta. Sono proprio gli studenti uno dei mezzi più utilizzati in ambito di spionaggio. Per altro, l’università Fudan oltre ad essere un’importante centro culturale, è soprattutto uno strumento di propaganda del partito comunista. Secondo quanto riportato da Direkt36 (uno dei maggiori mezzi d’informazione indipendenti in Ungheria) più di un quarto dei docenti e degli studenti sono membri del partito. Il giornale chiarisce però che non tutti gli studenti cinesi che si trovano in Ungheria eseguono per conto del proprio paese d’origine atti di spionaggio, anche se il Partito comunista cinese si è dimostrato molto risoluto nel convincere i propri connazionali a prestarsi a questo tipo di attività, non solo con incentivi economici ma con mezzi sicuramente più persuasivi come le intimidazioni rivolte ai familiari rimasti in patria.

A tranquillizzare Orbàn e l’intero territorio ungherese in merito alla questione dello spionaggio, è proprio la Cina. Quest’ultima infatti pare non abbia l’intenzione di eseguire queste attività direttamente nei confronti del suo partner, ma di considerare questo solo come un trampolino di lancio verso l’intero territorio europeo. Questa tesi nasce ed è fronteggiata grazie alla creazione del cosiddetto “passaporto d’oro” varato dal governo ungherese nel 2012, permettendo a molti stranieri facoltosi di acquisire la cittadinanza ungherese, e quindi conseguentemente di poter circolare liberamente all’interno del perimetro comunitario, senza alcun limite.Un altro fenomeno curioso e allo stesso tempo rilevante, è stato l’acquisto repentino di immobili da parte di cittadini cinesi, per un ammontare di quasi tremila immobili nella capitale. Il fatto ancora più bizzarro è il prezzo con cui sono stati pagati i beni, cifre ampiamente oltre il valore e in generale il prezzo richiesto dal mercato. Secondo i contatti di Direkt36, questo potrebbe lasciar pensare che dietro le transazioni si celi direttamente l’intelligence cinese ma al momento non è emerso alcun utilizzo illegittimo di queste proprietà.  

Mentre l’intelligence cinese pone le prime basi del suo operato all’interno dell’Unione Europea, il legame sempre più forte fra Cina e Ungheria rischia di rappresentare uno dei pericoli maggiori per le strategie geopolitiche della Commissione, che a causa delle politiche del leader ungherese deve ora guardarsi dal pericolo cinese anche all’interno delle proprie mura di casa.

Articolo di di Federica Carlino e Luca Bagnariol